sabato 15 novembre 2008
Andrea Riccardi: "Chi fu veramente Papa Pacelli" (Osservatore Romano)
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Profezia ed eredità di un pontificato drammatico e difficile
Chi fu veramente Papa Pacelli
di Andrea Riccardi
"Sono un Papa politico e perciò enigmatico" - dice il Pio XII di Pier Paolo Pasolini. E aggiunge: "Della carità so solo, come dice l'autorità, che c'è". Insensibile ai dolori degli uomini, rigido e politico. Questa è l'immagine invalsa da quarant'anni in una parte non piccola della storiografia e della pubblicistica. Ma chi fu Pio XII? Lo storico si incontra con due domande: quella sulla figura di Papa Pacelli, ma anche quella sull'enigma della leggenda nera su di lui. Quest'ultimo interrogativo tocca a fondo il modo di fare storia contemporanea.
Chi fu? Fu un Papa di grande popolarità. Non pochi giovani cattolici di allora ricordano come, alla sua morte, nel 1958, sembrasse impossibile un papa diverso da Eugenio Pacelli. Un grande pontificato finiva. Arturo Carlo Jemolo, storico cattolico liberale, ha concluso: "In quei diciannove anni di pontificato incarnò veramente la Chiesa cattolica". Fu considerato un Papa così grande che si sentì il bisogno di concepire l'idea di un papato di transizione. Lo stesso Giovanni XXIII, nei suoi primi passi, è ancora sotto l'impressione di Pio XII e confessa: "Quando sento parlare del Papa intorno a me(...) per esempio: bisogna dire al Papa, bisogna trattare questo col Papa, eccetera, io penso ancora e sempre al santo Padre Pio XII".
Pio XII fu considerato un grande Papa. Fu il primo Papa dei media e la sua immagine entrò nel piccolo schermo delle case europee e nordamericane. Il suo volto divenne noto, come la sua parola pronunciata in parecchie lingue. Dopo che, con l'Ottocento, la figura del Papa cominciò a essere conosciuta dai fedeli, non più solo un nome remoto e venerato, avvenne un'altra svolta con Pio XII: il Papa diventò un leader pubblico presente nei media. Attorno a lui ci fu consenso, eccetto che nel mondo comunista. Le testimonianze ebraiche alla morte - che vengono spesso ricordate - mostrano una popolarità al di fuori del cattolicesimo. Solo "l'Humanité", quotidiano comunista francese, parlò di silenzi sulla Shoah. Ma la stampa comunista dell'Est e dell'Ovest bersagliava da sempre il Papa come collaboratore del nazifascismo.
Che cosa è successo in meno di dieci anni? Come un Papa popolare è divenuto una figura esecrabile che lasciava una pesante eredità? Il processo revisionista su Pio XII, come è noto, ha il suo catalizzatore ne Il Vicario di Rolf Hochhuth, pubblicato nel 1963, nella linea del teatro politico di Erwin Piscator. Madre Pascalina suggerisce che parte della documentazione provenga dal prelato filonazista tedesco, monsignor Alois Hudal, rimosso da Pio XII. Altri pensano alla documentazione fornita da un ecclesiastico non fedele alla Santa Sede. La rappresentazione de Il Vicario a Broadway all'inizio del 1964 aprì un dibattito negli Stati Uniti. Ma la quasi totalità delle organizzazione ebraiche, soprattutto l'Anti-Defamation League e l'American Jewish Commitee furono su altra lunghezza d'onda: guardavano con interesse prioritario al grande cambiamento che il Vaticano II stava introducendo nei rapporti con gli ebrei. Anzi un esperto della League preparò una brochure in difesa del Papa per il National Catholic Welfare Committee. La tournée americana de Il Vicario fu annullata. Nel volgere di qualche anno, però, l'opinione ebraica avrebbe registrato significativi cambiamenti.
Il clima doveva evolversi anche nell'opinione americana con il processo ad Adolf Eichmann (1960) e con la guerra dei Sei Giorni (1967). La cultura della vittima, oggi così rilevante negli Stati Uniti e altrove, non era amata nel mondo di John Wayne e Gary Cooper. Con gli anni Sessanta molto cambia: le minoranze, le vittime, acquistano un loro rilievo nei confronti delle maggioranze o delle istituzioni tradizionali. Il processo di revisione di Pio XII subisce l'impatto del movimento antiautoritario del Sessantotto: quale istituzione incarnava l'autorità tradizionale meglio del Papato e del Papa che lo incarnò sovranamente?
La revisione coinvolge il mondo dei cattolici. Nel 1964, al momento della sua pubblicazione in Italia presso Feltrinelli, Il Vicario fu introdotto da un noto studioso cattolico, Carlo Bo: Pio XII è "un Papa che si adatta a una società che da troppo tempo è stata abituata a non tener conto delle verità del Vangelo". Il silenzio di Pio XII manifesta una Chiesa in pieno "adattamento" al mondo: "Scegliere la strada del minor male risponde in fondo a uno spirito di adattamento". Bo così rappresenta la posizione del Papa dopo Il Vicario: "La Chiesa non è la principale accusata, è soltanto seduta fra altri sullo stesso banco". Un Papa che si adatta. Eppure negli anni dopo il concilio, una parte del dibattito sulla Chiesa verte sulla necessità di colmare il suo iato con il mondo, adattandosi alla realtà.
Già lo scrittore francese, François Mauriac, aveva scritto negli anni Cinquanta: "Il silenzio del Papa e della gerarchia altro non era che un ripugnante dovere; si trattava di evitare sciagure peggiori. Ciò non toglie che un crimine di tanta ampiezza ricada in parte non indifferente su tutti i testimoni che hanno taciuto, quali che siano state le ragioni del loro silenzio". D'altra parte Mauriac era stato sensibile all'arcivescovo di Parigi, cardinale Emmanuel Célestin Suhard, grande figura, ma vicina a Pétain. Dopo la guerra, il modernista Ernesto Buonaiuti - che aveva conosciuto il giovane don Eugenio, prima del suo distacco dalla Chiesa - aveva scritto sul fallimento di Pio XII nel confronto con le grandi domande della contemporaneità: la difesa dell'immutabilità irrorata dal senso della romanità e l'uso dello strumento diplomatico ne erano i principali ingredienti. Su questa linea, vent'anni dopo, si era mosso anche Carlo Falconi, che, prima di lasciare la Chiesa, era stato vicino a monsignor Giovanni Battista Montini. Prima del Il Vicario esisteva quindi uno strutturato pensiero critico su Papa Pacelli, come realista e uomo fuori dal tempo. Ma, dalla metà degli anni Sessanta, diventò un pensiero di massa, per così dire. La miscela di Concilio e Sessantotto, uno spirito del tempo, ansioso del nuovo e del non istituzionale, trovarono in Pio XII un antiprofeta, un realista dell'adattamento.
La sua eredità diventava imbarazzante per i cattolici alla ricerca del nuovo. Il rinnovamento del concilio, il Papato "profetico" di Giovanni XXIII, l'attesa di un rapporto nuovo con il tempo, motivarono, nel giro di pochi anni, lo slittamento della figura di Pio XII da Papa popolare a simbolo del passato: l'ultimo Papa dell'età costantiniana, sovrano e politico, la cui eredità era da liquidare. Influisce lo "spirito del Sessantotto" non solo con la sua carica anti istituzionale, ma con il senso utopico del nuovo e dei tempi nuovi. Non aveva la stessa Chiesa cattolica, la più antica istituzione d'Occidente, con il Vaticano II, detto la sua volontà di uscire dal vecchio? Bisognava rinunciare all'eredità del Papa-re.
La modernizzazione di Paolo VI negli ambienti vaticani, come strutture, corte e arredamento, non andava nel senso di una dimissione della regalità? Certo le forme dell'autorità di Pio XII erano un po' anacronistiche in un tempo di repubbliche e di monarchie nordiche. Il Papa, nato nel 1876, quasi coetaneo di Stalin nato nel 1879, di Churchill del 1874, apparteneva a una cultura dell'autorità segnata da un "cesarismo" nelle figure pubbliche, per dirla con George Mosse. Gli anni Sessanta anelavano a un clima diverso: Kennedy, Kruscev e Papa Giovanni rappresentavano la volontà di uscire da un mondo della politica tipico degli anni della guerra e della guerra fredda? Pio XII diventò quasi anacronistico. Il Papa del concilio e del futuro non doveva essere come Pio XII!
Paolo VI, che pure aveva innovato rispetto a Pio XII, lo difese costantemente. Fu Paolo VI, nel 1964, a promuovere la pubblicazione dei documenti vaticani sulla seconda guerra mondiale a soli vent'anni dalla conclusione del conflitto. Si trattava di una decisione molto innovativa per i tempi degli archivi vaticani. Tale decisione mostra come l'accesso alle fonti sia decisivo per scrivere la storia della Chiesa proprio nei suoi punti più controversi. La documentazione di altri archivi, come quella dei diplomatici accreditati in Vaticano, per sua natura, non porta alla piena ricostruzione delle motivazioni e alla complessità dell'agire dei responsabili vaticani. Eppure è su documentazione secondaria che viene scritta gran parte di questa storia, perché quella della Chiesa fa parte del più vasto dibattito della storia contemporanea.
La difesa di Pio XII non è stata condivisa da una parte del mondo cattolico, mentre la sua figura è divenuto simbolo del Papa del preconcilio, l'ultimo Papa-re, quello dei tradizionalisti. Intanto si sviluppava una storiografia critica. Giovanni Miccoli, autore di numerose e significative opere in questo senso, ne è forse l'autore più significativo: egli parla di un "anacronismo" di Pio XII, rinchiuso nell'atemporalità. Osserva che Pio XII e la sua Chiesa, bloccati nella loro rigidità istituzionale e ecclesiastica, privi di senso della storia, ossessionati dal comunismo, non percepirono la realtà mostruosa della distruzione degli ebrei e del nazismo. Una parte degli scritti cattolici su Papa Pacelli sono stati caratterizzati da un tono difensivo, espressione dello stupore che un Papa così popolare potesse essere oggetto di accuse di questo tipo.
Sono stato da sempre convinto che la figura di Pio XII sia uno dei principali luoghi storici della Chiesa del Novecento. In questa prospettiva, nel 1983, promossi presso l'Università di Bari un convegno sulla figura di Pio XII, aperto da una relazione di uno studioso di grande capacità critica, Francesco Traniello, che esprimeva il nostro sforzo: "Pio XII dal mito alla storia". C'era infatti "una nuova verità inattaccabile e indiscutibile" su Pio XII, come afferma Sergio Romano, più nell'ordine del mito che della storia. In quell'occasione rilevavo come molti aspetti di questo pontificato fossero elementi portanti della stagione conciliare e postconciliare, mentre i vescovi novatori del Vaticano II fossero in larga parte creature pacelliane. Per questo mi permisi di parlare di "governo e profezia" nel pontificato di Pio XII, perché esiste, in qualche modo, un certo profetismo pacelliano, sorprendente nell'uomo, considerato fino all'elezione saggio, moderato, equilibrato.
Gli uomini, i problemi, la tradizionale continuità, facevano degli anni di Pio XII un luogo storico decisivo per capire il tempo successivo. Purtroppo il dibattito storiografico contemporaneista si muove spesso nell'ignoranza delle argomentazioni e degli scritti. È un dibattito che, nella diversità delle interpretazioni, non tiene talvolta conto delle acquisizioni, anche perché - come notano gli editori - le questioni attorno a Pio XII fanno vendere e sollecitano emozioni, nonostante i tanti anni trascorsi. Così si ondeggia tra la storiografia e la pubblicistica. Si giunge, attraverso storie che non sono storiografia, al paradosso di John Cornwell: "Fu il Papa ideale per l'indicibile piano di Hitler. Fu la pedina di Hitler. Fu il Papa di Hitler". Oppure alle affermazioni di Daniel Jonah Goldhagen, per cui la Chiesa, in quanto erede di questo Papa, è chiamata a un risarcimento materiale, politico e spirituale.
In realtà l'eredità di Pio XII è quella di una storia difficile. I suoi anni sono un periodo in cui la Chiesa si confronta, in grande solitudine, con sfide temibili, come il nazismo e il comunismo che, dopo il 1945, conduce un'opera di distruzione del cristianesimo nell'Est europeo, paragonabile solo alle distruzioni operate dall'invasione islamica nella storia della Chiesa.
La questione comunista è decisiva, perché Papa Pacelli, avverte il presidente Roosevelt del rischio di una presenza di Mosca in Europa e rifiuta l'interpretazione americana di un cambiamento comunista in materia di libertà, significativa coincidenza di visione con Karol Wojtyla. D'altra parte Pio XII, come è noto, non consente che i cattolici nordamericani intralcino la politica di Roosevelt in sostegno dello sforzo bellico sovietico contro la Germania.
Perché il Papa, silente con i nazisti, aveva scomunicato i comunisti nel 1949? Andrebbe ricordato che la storia con i sovietici è lunga e registra anche una fase in cui la Santa Sede tentò di trovare un accordo con Mosca. Pacelli, nel 1925, negoziò con il commissario sovietico Georgij Vasilevic Cicerin a Berlino e poté scrivere al cardinale Pietro Gasparri un parere non pessimistico sul colloquio: "Il Governo dei Soviety, ora per la prima volta e in via di eccezione a favore della Chiesa cattolica, dice di ammettere sul suo territorio la gerarchia soggetta alla Santa Sede, che essa pure riguarda come potere estero". I negoziati falliscono e la situazione dei cattolici in Russia è disperata.
Pio XII, nel secondo dopoguerra, vede come i poteri comunisti vogliano "nazionalizzare" le Chiese cattoliche, rompendo il loro rapporto con Roma e colpendo i vescovi fedeli al Papa, per esercitare un pieno controllo su di esse. In questo clima, soprattutto guardando all'Est, nasce la scomunica, come gesto disperato di denuncia, limite morale a ogni rapporto con i sistemi comunisti, quasi scudo protettivo. L'anticomunismo di Pio XII, scomodo in un'età di negoziati con poteri comunisti, riacquista peraltro un suo valore dopo il 1989.
La personalità di Pio XII è complessa, ma il suo tempo è tormentato. Si è già detto del nazismo, del comunismo e il suo dominio in Europa e in Asia, ma andrebbe anche accennato all'incipiente consumismo con la secolarizzazione, alla fine del colonialismo, ai mutamenti indotti dalla democrazia, allo sviluppo delle scienze. Giovanni Spadolini scrive acutamente nel 1973: Pio XII "non è personaggio adatto ai terribles semplificateurs del nostro tempo; tutto bene, tutto male, tutto destra, tutto sinistra, tutto luce, tutto tenebre". Padre Raimondo Spiazzi, che lo conobbe, ne parla come di una figura poliedrica: una fibra religiosa sensibile, fedele custode della tradizione, capace di immedesimazione in mondi lontani, "a suo agio nel lavoro di ricostruzione di una umanità migliore soprattutto come maestro", ma segnato da limitata "calda spontaneità di movimento e incisività di azione pratica".
Affrontare da un punto di vista storico il suo pontificato è però decisivo per comprendere la vicenda novecentesca della Chiesa. Infatti l'eredità di Papa Pacelli è notevole: i suoi anni hanno avuto un'influenza decisiva, anche perché i quadri della Chiesa nei decenni successivi sono stati scelti e orientati da questo Papa. Nella Chiesa la classe dirigente si sviluppa con un forte senso di continuità, in modo ben lontano dallo spoil system della società politica. Gli uomini di Pio XII hanno fatto la stagione conciliare e postconciliare. Primo Giovanni Battista Montini, stretto collaboratore di Pio XII. Sull'episodio del trasferimento a Milano del futuro Paolo VI nel 1954, sono giunto alla convinzione che non significasse una rottura personale tra il Papa e il suo collaboratore, quanto una sua valorizzazione con l'esperienza pastorale di Milano in un momento in cui quest'ultimo passava un tempo di difficoltà con la curia. Basterebbe pensare a come Montini difese la memoria di Pio XII per le scelte della guerra, in cui era stato direttamente coinvolto - era redattore del messaggio sulla guerra del 1939 - assieme a monsignor Domenico Tardini e al cardinale Luigi Maglione.
L'eredità di Pio XII è notevole. Non meraviglia che si ritrovi tanto del suo magistero nei documenti e nei dibattiti del concilio, divenendo l'autore più citato. Non lo ricordano la Sacrosanctum Concilium sulla liturgia - ma cita solo il magistero fino a Trento -, il decreto sulla vita religiosa, senza note; quello sull'ecumenismo che cita solo due Padri, i concili e la Scrittura; quelli sulle religioni non cristiane e sulle comunicazioni sociali. D'altra parte la Mystici Corporis e la Mediator Dei sono molto utilizzate nella Lumen gentium; la Divino afflante Spiritu ricorre nella Dei Verbum, o le encicliche missionarie nel decreto sulle missioni. Non si tratta di citazioni di maniera per dire la continuità del magistero, ma di una ripresa sostanziosa di problematica e prospettive nella logica di compimento e di sviluppo. Del resto le citazioni di Pio XII sono molte nel magistero di Giovanni XXIII, specie nei primi due anni, mentre si attestano tra le ventuno e le trentasei citazioni nei tre anni successivi. Significativamente Pio XII resta un Papa molto citato anche da Paolo VI, tanto che la sua presenza supera nel 1973, a quindici anni dalla sua morte, il ricordo di Giovanni XXIII.
Il costante richiamo all'insegnamento di Pio XII da parte del concilio e dei suoi due successori può apparire ovvio. Ma c'è anche una continuità di metodo politico-diplomatico della Santa Sede. Eppure su di essi, dagli anni Sessanta, già aleggiava lo spettro dei cosiddetti silenzi. Infatti la questione dei silenzi è divenuta progressivamente una categoria morale applicata in ogni campo. Un capitolo importante della politica vaticana di Paolo VI è il rapporto con i governi dell'Est. La sua grande preoccupazione è la vita dei cattolici in quei regimi: cerca quindi contatti con i governi per garantire un minimo di vivibilità. Non è una politica entusiasmante per l'antico sostituto di Papa Pacelli, bensì - come la definisce il segretario di Stato Jean-Marie Villot - un modus non moriendi. Ebbene questa politica richiede un cambiamento di atteggiamento pubblico verso il comunismo. Emerge dal silenzio del Vaticano II su di esso o da attenuazioni di tono nelle dichiarazioni del Papa. Quella che è interpretata da taluni settori cattolici come volontà di dialogo con il marxismo, è in realtà un atto di amaro realismo per la curia montiniana. Questo avviene negli anni delle denunce del potere sovietico da parte di Aleksandr Solzenicyn.
Si tratta di nuovi silenzi? La persecuzione dei cristiani non è un olocausto, ma una gravissima violenza di massa che colpisce i credenti dall'Urss all'Europa e all'Asia. Il realismo continua a imporre di modulare gli interventi pubblici anche dopo Pio XII. Sono scelte fatte con la collaborazione di monsignor Agostino Casaroli, formatosi alla scuola del cardinale Tardini, personalità diplomatica non timida, ma realista. Del resto così era avvenuto durante la prima guerra mondiale con Benedetto xv, intervenuto sulla strage degli armeni nell'impero ottomano con vari passi e con documenti al sultano ottomano, ma che aveva difeso fino in fondo l'imparzialità riservata della Santa Sede tra i belligeranti. Solo nel 1978, con l'avvento di Giovanni Paolo ii, il Papa, pur proseguendo la politica di contatto con i governi comunisti, comincia a parlare forte dei "diritti umani".
Al di là delle continuità o discontinuità politiche, il pontificato di Pio XII rappresenta un tessuto di approfondimento dottrinale e pastorale che connette la Chiesa della prima metà del Novecento con quella della seconda metà. Pio XII, che ha passato la sua giovinezza sacerdotale durante la crisi modernista e che è succeduto come sottosegretario agli Affari Ecclesiastici straordinari al capofila antimodernista, monsignor Umberto Benigni, è ovviamente uomo della tradizione e della difesa della dottrina. Tuttavia avverte che nei Paesi di antica tradizione cristiana esistono una crisi e un allontanamento dalla Chiesa: ne parla anche a proposito della sua amata Roma cristiana, definita in un discorso terra di missione in alcune sue parti.
Un piccolo episodio illustra la sensibilità tormentata di Papa Pacelli, custode della tradizione e alla ricerca di un contatto nuovo con la gente. Egli confida ai suoi familiari di aver perduto il sonno nei giorni prima dell'approvazione della riforma del digiuno eucaristico. Le riforme liturgiche vanno nel senso di una restaurazione dell'antico, come per la Settimana santa, ma anche di un adattamento che renda la liturgia più accessibile ai fedeli, come con la messa della sera, la riduzione del digiuno eucaristico e l'introduzione parziale delle lingue volgari in Cina, dal 1949, si può dire tutta la messa in cinese, eccetto il canone.
Adattamento della Chiesa? È quel che Bo rimprovera a Pio XII nei confronti della guerra. Ma l'adattamento promosso da Pio XII è per il rilancio della missione della Chiesa. È l'adattamento che Pio XII richiede ai religiosi, che conoscono un grande sviluppo negli ordini antichi e nelle nuove congregazioni nel Novecento: il punto più alto è proprio negli anni di Papa Pacelli. Il Papa procede alla riforma dei religiosi, sia nella riscoperta del carisma del fondatore, che in una cooperazione più forte con la missione. Ma nascono anche forme di vita religiose nuove, come l'Opus Dei approvata a Madrid nel 1941 e a Roma nel 1946, gli istituti secolari. Si noti anche il rapido itinerario compiuto dalle piccole sorelle e dai piccoli fratelli di Gesù. Colpisce anche l'accesso facile che la fondatrice, piccola sorella Magdaleine di Gesù, ebbe presso il Papa. In realtà - sia detto per inciso - è attestata una certa accessibilità del Papa non solo alle folle cattoliche, ma anche alle singole persone: un giovane piemontese diciassettenne, inquieto sulla sua vocazione, ebbe la sorprendente possibilità di parlarne al Papa, che gli consigliò di entrare dai gesuiti.
Pio XII volve a un rilancio della missione della Chiesa, anche perché sembrava intuirne una crisi da qualche sintomo. Per Papa Pacelli la Chiesa doveva farsi missionaria: ne è espressione la manifestazione più alta e partecipata del pontificato, l'Anno santo del 1950, il proclamato gran ritorno. Dal dopoguerra sono insistenti gli inviti alla mobilitazione. Riccardo Lombardi, il gesuita che anima dal 1952 il movimento per un mondo migliore - tanto influente in America Latina -, è il missus dominicus del Papa, come lo definì Montini. Esitante a condurre una riforma strutturale o a operare cambiamenti, di cui sentiva però la necessità, Pio XII autorizzò il gesuita a mobilitare i cattolici in una prospettiva per lui necessaria. La missione era prioritaria. Permise i preti operai in Francia e poi li chiuse nel 1954, quando gli sembrò si mettesse in discussione il sacerdozio cattolico; ma ne riorganizzò la presenza con la prelatura della Missione di Francia.
Le arditezze apostoliche, nella prospettiva di un rilancio missionario della Chiesa, sono consentite e auspicate, purché si evitino le "false opinioni che minacciano la dottrina cattolica", così si esprime nel 1950 nell'enciclica Humani generis. Il quadro del rilancio della Chiesa va completato accennando alle missioni dove, facendosi erede della linea di attenzione alle culture di Benedetto xv e Pio xi, Papa Pacelli prepara l'impatto con la stagione delle indipendenze che sente prossima. Richiede però - con due encicliche missionarie - un nuovo impegno di tutto il mondo cattolico, che portò a una vasta mobilitazione in questo senso. Durante il suo pontificato, avvenne il raddoppio dei preti nelle missioni - più di 18.000 - mentre i preti africani passarono da poco più di 300 a 1.800. L'ordinazione del poco più che trentenne, monsignor Bernardin Gantin, nel 1957 nella cappella di Propaganda Fide, fatta dal decano cardinale Eugène Tisserant, dal prefetto di Propaganda Fide e dal cardinale Celso Costantini, costruttore della strategia missionaria dal primo dopoguerra, è un evento simbolico di come l'eredità missionaria di Benedetto XV e Pio XI, passando per Pio XII, divenga realtà della Chiesa del concilio e del dopo concilio.
La Chiesa di Pio XII si sente movimento nel mondo, sia nelle società europee che nei cosiddetti mondi nuovi. Deve farsi presente in tutti i modi, perché per Pio XII la radice dei mali moderni è l'assenza di un radicamento in Dio e nell'insegnamento della Chiesa. La Chiesa di Pio XII, il Papa diplomatico, riduce di molto le attese verso la diplomazia e gli Stati, seppur conduce una politica concordataria; in realtà confida soprattutto nei popoli, cercando il contatto con la gente, come nota un testimone della vita di Pio XII. È convinta, dopo la guerra mondiale, di dover proporre una via di civiltà cristiana. La Chiesa è, per Papa Pacelli, non impero ma "educatrice di uomini e di popoli": "Con uomini così formati - dice nel discorso programmatico per il concistoro del 1946 - la Chiesa prepara alla società umana una base, sulla quale potrà riposare con sicurezza".
La Chiesa non è legata a civiltà del passato né a una sola civiltà, non è "inerte nel segreto dei suoi templi", ma cammina guidata dalla "legge vitale - dice Pio XII - di continuo adattamento". Pio XII, con il più ampio magistero tra i suoi predecessori, discute di tutto, anche di temi remoti, e lo fa per mostrare che niente è estraneo alla Chiesa e per condurre questa a vivere in mezzo alle nuove realtà contemporanee. Il vasto capitolo sulla vita, il corpo, la salute, le cure, la riduzione della sofferenza - dove ci furono posizioni innovative - è un esempio di questo atteggiamento del Papa.
Le sollecitazioni, le esigenze di cambiamento, i problemi, sono tanti. Il Papa assume su di sé tanta problematica, la ricerca di nuove piste, la responsabilità di dare impulso, prefigurandosi non solo come dottore ma anche come profeta. Questo lo fece con fatica di un uomo che il cardinale Tisserant, un po' duramente, considerava "indeciso, esitante". Per Tardini era invece delicato e fragile. Padre Yves Congar, che subì le limitazioni del controllo teologico degli anni di Pio XII, scrive acutamente: "Il grande Papa Pio XII non era certo contrario a ogni cambiamento, ma voleva conservarne uno stretto controllo e l'iniziativa".
L'assunzione diretta di tanti compiti da parte del Papa, a partire dal governo della Segreteria di Stato senza segretario, al contatto con la gente, all'insegnamento e alla profezia, rendono il suo ministero faticoso, talvolta drammatico. Il senso drammatico viene accresciuto dalla percezione delle difficoltà e delle crisi con la persecuzione comunista, la secolarizzazione, le "cose nuove" del mondo contemporaneo. Desideroso di adattare e cambiare, ma preoccupato della portata dei cambiamenti, il Papa traccia, personalmente, la linea, moltiplicando iniziative e interventi. Vuole rispondere ai problemi aperti. Molti dei quali emergono poi con i vota dei vescovi in preparazione al Vaticano II.
In realtà la percezione di Pio XII sullo stato della Chiesa fu drammatica soprattutto nei suoi ultimi anni, segnati dalla malattia. La guerra fu un periodo difficilissimo, ma il lungo dopoguerra fu contrassegnato da una complessità inedita. La sua eredità umana e dottrinale è stata quella di un Papa che si è confrontato con la complessità nella tradizione della Chiesa cattolica, ma animato dall'ansia di raggiungere il mondo. La vicenda umana di Eugenio Pacelli è ricca e significativa, emblematica delle difficoltà e delle risorse della Chiesa del suo tempo. Nel 1954, parlando di Gregorio VII, ricordò il "crollo apparente di tutta l'opera sua", ma poi - aggiunse - "egli apparve il vero vincitore della lotta per la libertà della Chiesa". L'eredità di Papa Pacelli, forse come quella del suo lontano predecessore medievale, pur così diversa, si può cogliere nel tempo e con lo studio.
(©L'Osservatore Romano - 16 novembre 2008)
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