sabato 10 gennaio 2009
Il Papa: dalle elezioni in Terra Santa dirigenti capaci di guidare la riconciliazione (Marroni)
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Su segnalazione di Elisabetta leggiamo:
Il conflitto in Medio Oriente. Ratzinger riunisce i diplomatici presso la Santa Sede - L'Osservatore romano: tregua a Gaza
«Pace solo con nuovi leader»
Il Papa: dalle elezioni in Terra Santa dirigenti capaci di guidare la riconciliazione
Carlo Marroni
CITTÁ DEL VATICANO
Per far ripartire con successo il processo di pace in Medio Oriente serve una nuova classe dirigente. Senza troppi giri di parole Benedetto XVI, nel discorso annuale al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, non lascia spazio a dubbi sull'approccio realista sulla crisi di Gaza finalizzato alla pace. Nell'immediato occorre ripristinare la tregua e rilanciare i negoziati tra israeliani e palestinesi. E in prospettiva è necessaria una nuova classe dirigente in grado di portare avanti il processo di pace attraverso con una visione globale alla complessità dei problemi mediorientali.
Un posizione - rilanciata anche dall'Osservatore Romano e dal commento del direttore Giovanni Maria Vian - che ribadisce gli appelli degli ultimi giorni: «L'opzione militare non è una soluzione», da qualunque parte provenga.
Ma è attorno al richiamo alle prossime scadenze elettorali israeliane e palestinesi (un appello che per il ministro degli Esteri, Franco Frattini, non ha voluto significare una indicazione "politica") che il discorso ruota: le prossime elezioni in Terra Santa portino «dirigenti capaci» di guidare il processo di pace, ha detto il Papa agli ambasciatori nella Sala Regia del Palazzo Apostolico. «È molto importante che, in occasione delle scadenze elettorali cruciali che interesseranno moltiabitanti della regione nei prossimi mesi, emergano dirigenti capaci di far avanzare con determinazione questo processo e di guidare i loro popoli verso la difficile ma indispensabile riconciliazione. A questa non si potrà giungere - ha aggiunto - senza adottare un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte».
Il capitolo sul Medio Oriente abbraccia tutti i nodi spinosi dell'area: e così ha auspicato il dialogo tra Siria e Israele, una soluzione negoziata per la controversia sul nucleare iraniano e una ricostruzione in Iraq senza discriminazioni. Eppoi l'Asia dove si soffre di mancanza di libertà religiosa, l'Africa della povertà e delle guerre dimenticate dall'informazione dei paesi ricchi, e l'America Latina, che sconta gravi problemi di emigrazione, droga e corruzione e dove invece è fortisima la presenza sul territorio della chiesa cattolica. E un accenno importante al Kosovo: il Papa è tornato a chiedere garanzie per la minoranza serba e per i suoi monasteri ortodossi.
Insomma, la Santa Sede riafferma di voler tenere apetti tutti i dossier di politica internazionale, a partire dagli effetti devastanti della crisi economica e finanziaria pe le famiglie, la «crisi alimentare e il surriscaldamento climatico che rendono «più arduo l'accesso al cibo» e dichiara «urgente» «una strategia efficace per combattere la fame e facilitare lo sviluppo agricolo», denunciando inoltre che «aumenta la percentuale di persone povere nei paesi ricchi».
Per il Pontefice la recente Conferenza di Doha sul finanziamento dello sviluppo- inizialmente criticata dal Vaticano per non aver raggiunto i suoi obiettivi - ha individuato «criteri utili per orientare la gestione del sistema economico e aiutare i più deboli».
Ma è stato comunque il discorso sul Medio Oriente e le sue ricadute a polarizzare l'attenzione.
A partire dal previsto, ma sempre più improbabile, viaggio in maggio in Terra Santa. Se Benedetto XVI confermerà il suo intento «sarà il benvenuto », ha detto all'Ansa l'ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechai Lewy, «ma abbiamo ancora tempo e non premiamo».
Di certo le polemiche, ultima quella generata dalle dichiarazioni del cardinale Martino su Gaza ridotta ad un "lager" non depongono per una schiarita dei rapporti.
Per sostenere la richiesta di tregua rinnovata ieri dal Papa sono andati i vescovi del coordinamento delle Conferenze episcopali di Usa e Europa: a sostegno della Chiesa e dei cristiani in Terra Santa hanno confermato la loro presenza a Betlemme dal 10 al 15 gennaio, per incontri con il nunzio apostolico, monsignor Antonio Franco, con il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal e con i leader religiosi delle denominazioni cristiane presenti. In agenda anche visite al presidente israeliano Shimon Peres e a quello palestinese Abu Mazen. Intanto il vicario apostolico dei Latini di Beirut, il vescovo Paul Dahdah, ieri ha messo in guardia dal «rischio di allargamento della guerra» dopo che il lancio di razzi dal Libano, che sono caduti su territorio israeliano. E ha affermato la immediata necessità di una forza di interposizione. «Se i razzi caduti nella zona dell'Alta Galilea sono davvero partiti da qui - ha detto il vescovo al Sir - il rischio è alto. E in aiuto al dialogo è arrivata anche la Cei: l'antisemitismo, ha affermato, «facilmente si sposa con l'antisionismo». Una denuncia fatta in vista della prossima giornata del dialogo ebraico-cristiano (17 gennaio), " boicottata"quest'anno dalla comunità ebraica italiana a causa della contrarietà alla nuova formulazione (nel rito latino) della preghiera per gli ebrei del venerdì santo.
Nel discorso del Papa, infine, un richiamo importante alla "laicità positiva" emersa nel viaggio in Francia: «Una sana laicità della società non ignora la dimensione spirituale e i suoi valori, perché la religione, e questo non è un ostacolo, ma piuttosto un solido fondamento per la costruzione di una società più giusta e più libera».
© Copyright Il Sole 24 Ore, 9 gennaio 2009
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