mercoledì 13 maggio 2009

Padre Shomali e suor Nobs sulla visita del Papa al Campo profughi di Aida e al Caritas Baby Hospital di Betlemme (Radio Vaticana)


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Padre Shomali e suor Nobs sulla visita del Papa al Campo profughi di Aida e al Caritas Baby Hospital di Betlemme

Nel pomeriggio il Pontefice visiterà la Grotta della Natività e, a seguire, il Caritas Baby Hospital di Betlemme e il Campo profughi di Aida. In serata il rientro a Gerusalemme. Secondo l’Onu i profughi palestinesi sono circa 4 milioni e 600 mila. Nei territori palestinesi gli sfollati sono un milione e 300 mila. Il campo profughi di Aida accoglie circa 7 mila persone. Sulla situazione in questo campo ci parla padre William Shomali rettore del seminario di Beit Jala, al microfono di Roberto Piermarini:

R. – Il Campo profughi di Aida è uno dei tre campi che si trovano a Betlemme; era un terreno che apparteneva alla popolazione cristiana di Beit Jala. Hanno costruito prima di tutto qualche tenda, all’inizio, nel ’48; dopo hanno costruito delle case che adesso sono come tutte le altre case di Betlemme, quelle più povere, con strade malmesse: le fognature sono spesso inesistenti. La popolazione non arriva a più di sei, sette mila persone, per la maggior parte musulmana eccetto qualche famiglia cristiana che aveva dei terreni là e vi ha costruito.

D. – Come vivono queste poche famiglie cristiane all’interno di questo campo profughi, a maggioranza musulmana?

R. – Dipende. C’è qualcuno che vive meglio: non sono mendicanti, direi che sono persone normali.

D. – Sono in armonia con la comunità musulmana?

R. – Direi di sì perché ogni volta che noi cristiani siamo minoritari, non c’è problema. Il problema arriva quando siamo maggioritari, come a Betlemme o in altre città dove il numero è consistente: ma quando siamo un due per cento, non siamo oggetto di minaccia per nessuno.

D. – Quali problematiche ci sono all’interno di questo campo di Aida?

R. – Questa gente vuol ritornare alla sua casa di origine: hanno lasciato la propria terra, la casa, i familiari. Ogni anno la situazione diventa più difficile perché i primi profughi, quelli del ’48, sono quasi tutti morti. Ci sono i figli, ma dopo tre generazioni, la possibilità di ritornare, diventa meno probabile. Dunque, una certa disperazione di ritornare, esiste, sapendo che gli israeliani non vogliono il ritorno dei profughi. Hanno messo questa condizione per qualsiasi soluzione al problema. Forse permetteranno il ritorno dei profughi all’interno dei Territori palestinesi, ma mai all’interno di Israele. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

Prima di arrivare al Campo profughi di Aida, il Papa si reca al Caritas Baby Hospital di Betlemme: un ospedale pediatrico fondato nel 1978 e sostenuto dai vescovi svizzeri e tedeschi. Assicura circa 30 mila prestazioni ambulatoriali e 4 mila degenze all’anno anche grazie all’impegno delle Suore Francescane Elisabettiane di Padova. Roberto Piermarini ne ha parlato con suor Erika Nobs, direttrice delle infermiere dell’ospedale:

R. – Assistiamo i bambini palestinesi che vengono da Betlemme e dalla circoscrizione di Hebron, dalla parte sud del West Bank.

D. – Quindi, sono tutti bambini musulmani, la maggior parte?

R. – La maggior parte sono bambini musulmani, la stragrande maggioranza: il 90 per cento e anche più.

D. – Che rapporto avete con le famiglie musulmane che portano a voi questi bambini?

R. – Di solito un buon rapporto: loro sono contenti e grati per il servizio che diamo. Siamo l’unico ospedale ed hanno veramente bisogno di noi. Ed anche per questo sono grati.

D. – Cosa curate in particolare?

R. – Curiamo tutte le malattie interne e anche tante malattie genetiche, malattie metaboliche, malattie del cuore, dovute al matrimonio tra consanguinei.

D. – Quali sono le difficoltà maggiori che incontrate nel vostro lavoro, nell’ospedale?

R. – Le difficoltà sono quelle del trasferimento a Gerusalemme, quando un bambino ha bisogno di un intervento chirurgico. E’ una grande difficoltà, perché senza permessi non possono partire. Si devono, poi, coordinare le ambulanze. Una nostra ambulanza deve andare al check-point e dall’altra parte deve venire l’ambulanza da Israele, e questo crea difficoltà, perché i bambini a volte sono molto ammalati, ma devono, in ogni caso, cambiare l’ambulanza.

D. – I bambini che voi accogliete nel vostro ospedale, la maggior parte non pagano, non hanno la possibilità di pagare. Ma come va avanti l’ospedale economicamente, avete dei donatori?

R. – Noi abbiamo tanti donatori e siamo grati a tutti gli amici che ci aiutano a portare avanti l’opera: amici dall’Italia, amici dalla Germania, dalla Svizzera, dall’Europa e anche altrove. Possiamo veramente fare una buona opera.

D. – Suor Erika, perché questa visita del Papa al Caritas Baby Hospital? Come vede lei questa visita?

R. – Devo dire che siamo tanto contenti di questa visita, di questa sorpresa che ci fa il Santo Padre. Ma io penso che oltre a visitare i luoghi santi, cioè il luogo dove Gesù è nato, lui voglia vedere anche i bambini Gesù viventi, che abbiamo nel nostro ospedale. (Montaggio a cura di Maria Brigini)

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