mercoledì 17 giugno 2009
Herr Bockenforde: erede di Marx e consigliere del Papa (Michael Novak)
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Herr Bockenforde: erede di Marx e consigliere del Papa
di Michael Novak
Gli osservatori attendono febbrilmente la nuova "enciclica economica" di Benedetto XVI.
Una simile attesa ricorda quella di quasi 20 anni fa, alla vigilia dell'uscita della molto pubblicizzata Centesimus Annus di Giovanni Paolo II. Anche allora, l'alveare della sinistra europea era dominato da un generale fermento, e si lasciava andare a fantasticherie sul fatto che il Papa si sarebbe collocato alla sinistra di Brandt e di tutti gli altri maggiori esponenti della sinistra europea.Wojtyla diede le istruzioni più a sostegno dell'iniziativa individuale e della persona umana di quanto mai fatto sino ad allora: «La principale ragione della ricchezza delle nazioni è la conoscenza, l'ingegno e le abilità».
E l'arnia sprofondò in un indimenticabile silenzio. Questa volta, i giornali riferiscono di una nuova diatriba animata dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa italiana da parte di un giurista tedesco che gode (a quanto si dice) di una particolare considerazione agli occhi del Papa. Il presupposto da cui tale eminente studioso del diritto fa discendere le proprie preoccupazioni è dato dal fatto che a suo parere il capitalismo abbia oramai esalato l'ultimo respiro. L'autopsia da lui eseguita fornisce al giurista la prova che il decesso sia stato provocato da gravissimi errori nella sua "logica". Quanto alle previsioni sul definitivo "tramonto" e "collasso" del capitalismo, a conclusione della prima settimana di giugno, l'economia statunitense non ha ancora eguagliato il record negativo del 1983. E quel record negativo si verificò proprio prima del più grande e durevole ciclo espansivo dell'economia nella storia dell'umanità, dal 1983 sino al 2008. Inoltre, le dimensioni dell'attuale flessione fanno apparire come irrealistico un paragone con la Grande Depressione del 1929, che non segnò la fine del capitalismo. Se l'economia Usa dovesse registrare ulteriori segnali di flessione anche in seguito al piano di stimolo pari ad un trilione di dollari del giovane Obama, la causa non sarà un'assenza dell'azione dello Stato, ma il de profundis della stessa.
Tre sono i problemi insiti nel virulento attacco mosso al "capitalismo" da Ernst-Wofgang Bockenforde, illustre giurista tedesco. La riflessione dell'insigne studioso prende innanzitutto le mosse da astrazioni, "logica" e "analisi funzionale". Principi ottimi per la didattica in classe. Ma il vero capitalismo è stato plasmato da e si dimostra ricettivo nei confronti di un mondo fatto di contingenze, forgiato dal caso e dominato da un continuo altalenarsi di ostacoli ed opportunità. Contrariamente all'analisi di Bockenforde sulla sua "logica", il capitalismo ha successo proprio in virtù delle sue elevate capacità di adattamento alla realtà quotidiana. Persino la sua realtà interiore risulta concreta, complessa, diversa a seconda della collocazione geografica e del sostrato culturale. Il capitalismo non costituisce un sistema fondato su una logica univoca e su "pochis simi basilari principi". Esso non affonda le proprie radici nella mente speculativa del logico, bensì nell'ordine pratico del sapere pratico. È la sua capacità di adattamento alle piccole e grandi circostanza che ne indica l'origine pratica, men che meno logica. In secondo luogo, come il suo mentore Marx, Bockenforde mostra di non aver minimamente compreso i "principi interni" del capitalismo, né tantomeno le sue principali forze propulsive e la sua energia. Egli rivela la medesima cecità di Marx nell'individuarne i paradigmi che lo distinguono dai sistemi antagonisti (antico, medievale, tradizionale, fascista, socialista, euro-socialista ed agricolo terzomondista). Egli non coglie il segreto racchiuso nella sua creatività, e cioè la capacità di nobilitare l'operato anche dei piccoli imprenditori e di fare affidamento su una serie di principi morali quali l'onestà, il duro lavoro, l'abitudine alla cooperazione e la quotidiana inventiva degli individui. Bockenforde appare infine stranamente poco critico nei riguardi dei rimedi da lui stesso proposti al fine di ovviare alle carenze che imputa al capitalismo. Egli indica come nuovo punto di partenza "il" principio di solidarietà (ne esiste uno soltanto?), di guida e di orientamento da parte dello Stato, ed una particolare attenzione dello stesso al crescente "divario" di ineguaglianza. Proprio riguardo alle variazioni di tale "divario", potrebbe risultare istruttivo prendere in esame il rapido incremento dell'aspettativa di vita anche nei paesi più poveri, quali il Bangladesh, e l'uscita relativamente rapida dalla condizione di povertà di più della metà delle nazioni e di miliardi di persone dal 1945. In aggiunta, noi conserviamo vivi ricordi degli infami regimi del XX secolo, che si proponevano di creare un Nuovo Ordine proprio sulla base di un'erronea concezione della "solidarietà", della guida dello Stato e di falsi miraggi di "uguaglianza". Ben ricordiamo quei regimi, pieni di esaltazione e di "amore" cameratesco. Termini quali "solidarietà", "bene comune", "Stato guardiano", "regole ferree" ed anche "uguaglianza" sono, e la storia ce lo ha dolorosamente insegnato, equivoci. E ognuno di questi è tragicamente soggetto a un abuso sconsiderato. Qualora non informati dal rispetto per ogni singolo individuo e per l'iniziativa individuale, questi possono rivelarsi principi di soffocamento e morte, e non di certo di vitalità, vita, inventiva e creatività. È per questo che Giovanni Paolo II delineò con estrema cura la propria concezione della solidarietà, quale sinonimo di amore universale e di universale attenzione alle esigenze del prossimo. Egli si curò di mostrare come, al contrario di quella fittizia, una genuina solidarietà deve osservare rispetto per la "soggettività" tanto delle persone quanto delle più piccole comunità. Il Santo Padre faceva appello, in particolar modo nell'enciclica Sollicitudo Rei Socialis (1987), alla difesa della cultura intersoggettiva della Polonia dagli attacchi del regime comunista miranti a sopprimerla. Tale straordinaria enfasi su ciò che nella cultura anglosassone noi definiamo "l'individuo comunitario" (ossia l'individuo non atomizzato e solo, bensì membro di molte differenti piccole comunità) ci fornisce due diverse forme di protezione dallo Stato, una per il singolo individuo, l'altra per ciò che Burke chiamava "i piccoli plotoni" di tutti i giorni.
In ogni caso, l'insigne giurista tedesco elabora due importanti osservazioni (che non avrebbe avuto bisogno di attribuire a Marx, come fece, in quanto molti altri sono giunti a conclusioni maggiormente attendibili attraverso un percorso più empirico). Egli fa riferimento a due presupposti fondamentali dello stato sociale europeo del secolo XX. Lo stato sociale europeo presuppone in primis la presenza di nuclei familiari delle stesse dimensioni di quelli del XIX - con circa sette salariati a provvedere (mediante il pagamento delle imposte) al sostentamento di ogni pensionato - e altresì la più breve aspettativa di vita del tempo. Ma, da quanto emerge, l'attuale stato sociale laico rappresenta un forte disincentivo alla formazione di nuclei familiari numerosi, offrendo al temper migliorare le condizioni dei poveri nel corso di tutti questi lunghi secoli? Uomini e donne iniziarono a porsi sul serio tali interrogativi. E riuscirono gradualmente a risollevare la condizione dei poveri di molte nazioni, e quindi di altri ancora. Con i molti successi da serbare come insegnamento, e molte nuove conoscenze guadagnate attraverso dure esperienze, stiamo rendendo sempre meno cospicuo il cerchio di quanti vivono "al di fuori del circolo dello sviluppo". Adam Smith affermò che lo sviluppo universale avrebbe potuto non essere il fine consapevole di ogni singolo agente economico. Ma egli propose altresì che una volta fatto accesso nell'alveo del sistema di libertà naturale, i vari popoli della Terra avrebbero beneficiato dei risultati naturali delle leggi della natura, che spinge verso la creatività da esercitare nella massima libertà. Pertanto, l'energia interna del sistema in quanto sistema è in tutto e per tutto morale, e ha rappresentato un elemento di trasformazione della condizione umana. Il liberare ogni donna e ogni uomo dal giogo della povertà costituisce non solo il suo fine, ma il faticoso risultato di un processo costante che ha coinvolto l'una dopo l'altra ogni singola generazione. Io stesso ricordo la distruzione prodotto della guerra e la povertà del continente europeo anche nel corso degli anni Cinquanta; e, per citare un altro esempio, più di mezzo miliardo di cinesi ed indiani sono fuggiti dalla prigionia della povertà. Non è lontano il giorno in cui tutta l'Asia raggiungerà lo status di classe media. E quindi a ruota l'Africa. Nessun altro sistema affronta con uguale serietà il problema dell'allocazione universale dei beni del pianeta rispetto al capitalismo. Nessun altro sistema ha creato, grazie all'immaginazione ed al potere dell'intuizione, più ricchezza e ha contribuito a diffonderla in modo più liberale di quel capitalismo bollato come malefico dagli euro-socialisti. Ai giorni nostri, come Giovanni Paolo II scrisse nella Centesimus Annus, la ragione principale della ricchezza delle nazioni sono le idee, la conoscenza, le abilità. Ciò, in misura maggiore rispetto al profitto, le accesso alla ricchezza, e stili di vita quanto più confortevoli da molti, molti secoli a questa parte. Tutto ciò rappresenta in buona parte un dono di quel "capitalismo" di cui egli non percepisce minimamente l'essenza. Il vero capitalismo è un capitalismo che trae propriamente ed organicamente origine in, e da, una specifica forma di governo e da una cultura di libertà ben definite. (Non ignorate questa trinità: cultura, forma di governo, economia). L'elemento propulsivo, il motore di un sistema economico talmente radicato e dinamico risiede nei cuori e nelle menti di tutti gli intraprendenti e creativi cittadini. Esso scaturisce dal vigoroso impulso ad indagare la natura ed i motivi della ricchezza delle nazioni (nazioni, non individui). Il suo grande obiettivo sistemico è di spezzare le imperiture catene della povertà che per millenni hanno soggiogato in condizioni di servitù la razza umana. In che modo, chiese ironicamente Montaigne secoli fa, le persone vivono ad un livello più elevato rispetto al tempo di Cristo? Cosa è stato sinora fatto po stesso scarse motivazioni a sopportare i sacrifici derivanti dal mantenimento di famiglie cospicue nel corso di svariati anni di vita coniugale. Il secondo presupposto dello stato sociale del Vecchio Continente si imperniava sul principio secondo cui ogni nazione in cui vigesse un tale sistema potesse vigilare sui propri confini, sui flussi migratori, sul mercato del lavoro e sulla valuta. Ma ad oggi né gli esseri umani né il capitale umano (idee, capacità, conoscenza, solidi principi morali, ecc...) possono essere tenuti prigionieri dai confini. Le società contemporanee sono di gran lunga più aperte che in passato, e anche più pacifiche. In effetti, il professor Bockenforde dimentica completamente di rendere omaggio a quella particolare combinazione tra forma di governo democratica (o più propriamente repubblicana), sistema economico inventivo ed incentrato sulla mente, e cultura umanistica (di estrazione specificamente giudaico-cristiana) che ha assicurato ai cittadini europei delle ultime tre generazioni la più grande pace interna, il più facirappresenta nell'ottica del Santo Padre la forza propulsiva, la forza che oggi guida l'azione economica. Il profitto, affermò, costituisce una misura necessaria di quanto correttamente risorse e sforzi vengano utilizzati. Esso non è il motore principale. Le economie che bruciano un'enorme quantitativo di lavoro e di altri fattori produttivi al solo scopo di produrre nient'altro che perdite non apportano vantaggio alcuno alla specie umana. Sistemi come questi comportano sprechi ingenti.
Chiedete a quanti ritengono che il profitto costituisca un'oscenità se pensano che le perdite siano un qualcosa di innocente; e quale dei due è foriero di maggiori benefici per l'umanità? Sarebbe strano se delle creature quali l'uomo e la donna, plasmati ad immagine e somiglianza di Dio per essere creativi e dare sfogo alla propria immaginazione, fatti per essere previdenti nei confronti dei beni terreni, si rivelassero incapaci di scoprire le leggi naturali della libertà ordinata e di una creatività produttiva. Sarebbe strano se gli esseri umani non fossero in grado di rinvenire in tali leggi delle nostre anime il segreto della ricchezza che Dio ha sparso per la natura. Poiché è dalle cose umili come il catrame ed il greggio del deserto che l'oro nero si ricava attraverso le raffinerie (ma non prima del XIX secolo). È nel granello di sabbia che il silicone così vitale per le comunicazioni elettroniche si nasconde. Tuttavia non sono solamente le arti utili, ma anche le più eccelse forme di creatività artistica, e le più alte forme di libertà spirituale che si dipanano di fronte a noi, beneficiari della moderna economia politica. Se non siamo in grado di trarre vantaggio dalle ricchezze caritatevoli, artistiche e spirituali che a noi si rivelano - noi che non siamo privi del cibo o di acqua per dissetarci, non siamo privi degli svaghi, né dei mezzi per scoprire e quindi sviluppare i nostri talenti - allora scenda la sventura su di noi. Poiché saremmo le più sfortunate tra tutte le creature. Coloro che affermano di voler distruggere il capitalismo nella sua attuale forma umana, pieno di difetti come tutte le cose umane, dovrebbero essere terrorizzati al solo pensiero che il loro auspicio possa prendere corpo. E a che scopo poi? E cosa accadrebbe ai poveri? Coloro che sono nati poveri, e che ora poveri non lo sono più, raramente smettono di rendere grazie al sistema che ci ha consentito di prenderci le nostre responsabilità, come le donne e gli uomini liberi dovrebbero fare. Se non siamo all'altezza delle responsabilità che ci siamo assunti, la colpa è da imputare non al sistema ma a noi stessi.
© Copyright Liberal, 17 giugno 2009 consultabile online anche qui.
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1 commento:
Lo dicevo io che ne leggeremo delle belle!!!
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