martedì 23 giugno 2009

Il quarto sacramento in via di restauro. Provvedono il Curato d'Ars e padre Pio (Magister)


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Su segnalazione di Alessia e Scenron leggiamo questo commento di Sandro Magister. Non mi piace molto, lo dico francamente, l'accostamento fra i meravigliosi discorsi del Santo Padre e l'intervista di Martini a Scalfari: siamo su due pianeti diversi.
R.

Il quarto sacramento in via di restauro. Provvedono il Curato d'Ars e padre Pio

File interminabili di penitenti facevano la coda al loro confessionale. E Benedetto XVI li propone come modelli per ridar vita al sacramento del perdono. Sorpresa: anche il cardinale Martini è d'accordo col papa. Vuole addirittura un Concilio a questo scopo

di Sandro Magister

ROMA, 22 giugno 2009

Nell'aprire l'Anno Sacerdotale da lui personalmente ideato e voluto, Benedetto XVI ha detto che il suo scopo è di mostrare "quanto sia importante la santità dei sacerdoti per la vita e la missione della Chiesa".
E di tale santità ha offerto come modelli il Curato d'Ars e padre Pio.
Il primo l'ha ricordato nella lettera con cui ha aperto l'Anno Sacerdotale, venerdì 19 giugno, festa del Sacro Cuore di Gesù.
Quanto al secondo, si è recato pellegrino sul luogo dove visse, San Giovanni Rotondo, domenica 21 giugno.
Questi due santi non hanno un profilo alla moda. Entrambi nati contadini, non dotti, l'uno parroco e l'altro frate francescano in due villaggi sperduti della Francia dell'Ottocento e dell'Italia del Novecento. Ma la loro santità era così fulgente che miriadi di persone, anche da molto lontano, accorrevano a implorare da loro il perdono di Dio, in interminabili code al loro confessionale (nella foto, padre Pio).
La preghiera, l'eucaristia, il sacramento della penitenza: di queste tre luci brillava la loro santità.
La terza luce soprattutto colpisce, in un'epoca come l'attuale in cui il sacramento della penitenza è pochissimo praticato, caduto in abbandono anche per la trascuratezza di molti sacerdoti.
Sulla necessità di ridar vita a questo sacramento Benedetto XVI ha particolarmente insistito, nell'aprire l'Anno Sacerdotale.

***

L'ha fatto anzitutto in questo passaggio della lettera di inaugurazione dell'Anno, coincidente con il centocinquantesimo anniversario del "dies natalis" del santo Curato d'Ars, Giovanni Maria Vianney:

"I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento. Al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della presenza eucaristica.

"Seppe così dare il via a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero a imitarlo, recandovisi per visitare Gesù, e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parroco, disponibile all’ascolto e al perdono. In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno.

"Si diceva allora che Ars era diventata 'il grande ospedale delle anime'. 'La grazia che egli otteneva [per la conversione dei peccatori] era sì forte che essa andava a cercarli senza lasciar loro un momento di tregua!', dice il primo biografo. Il Santo Curato non la pensava diversamente, quando diceva: 'Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono, ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui... Questo buon Salvatore è così colmo d’amore che ci cerca dappertutto'.

"Tutti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmente quelle parole che egli metteva in bocca a Cristo: 'Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita'. Dal Santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamo imparare non solo un’inesauribile fiducia nel sacramento della penitenza che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del 'dialogo di salvezza' che in esso si deve svolgere.

"Il Curato d’Ars aveva una maniera diversa di atteggiarsi con i vari penitenti. Chi veniva al suo confessionale attratto da un intimo e umile bisogno del perdono di Dio, trovava in lui l’incoraggiamento ad immergersi nel 'torrente della divina misericordia' che trascina via tutto nel suo impeto. E se qualcuno era afflitto al pensiero della propria debolezza e incostanza, timoroso di future ricadute, il Curato gli rivelava il segreto di Dio con un’espressione di toccante bellezza: 'Il buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi vi confessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come è grande l’amore del nostro Dio che si spinge fino a dimenticare volontariamente l’avvenire, pur di perdonarci!'

"A chi, invece, si accusava in maniera tiepida e quasi indifferente, offriva, attraverso le sue stesse lacrime, la seria e sofferta evidenza di quanto 'abominevole' fosse quell’atteggiamento: 'Piango perché voi non piangete', diceva. 'Se almeno il Signore non fosse così buono! Ma è così buono! Bisogna essere barbari a comportarsi così davanti a un Padre così buono!'.

"Faceva nascere il pentimento nel cuore dei tiepidi, costringendoli a vedere, con i propri occhi, la sofferenza di Dio per i peccati quasi 'incarnata' nel volto del prete che li confessava. A chi, invece, si presentava già desideroso e capace di una più profonda vita spirituale, spalancava le profondità dell’amore, spiegando l’indicibile bellezza di poter vivere uniti a Dio e alla sua presenza: 'Tutto sotto gli occhi di Dio, tutto con Dio, tutto per piacere a Dio... Com’è bello!'. E insegnava loro a pregare: 'Mio Dio, fammi la grazia di amarti tanto quanto è possibile che io t’ami'".

***

E di nuovo Benedetto XVI è tornato a sollecitare i sacerdoti a prendersi cura del sacramento della penitenza in questo passaggio di un suo discorso a San Giovanni Rotondo:

"Come il Curato d’Ars, anche Padre Pio ci ricorda la dignità e la responsabilità del ministero sacerdotale. Chi non restava colpito dal fervore con cui egli riviveva la passione di Cristo in ogni celebrazione eucaristica? Dall’amore per l’Eucaristia scaturiva in lui come nel Curato d’Ars una totale disponibilità all’accoglienza dei fedeli, soprattutto dei peccatori.

"Inoltre, se san Giovanni Maria Vianney, in un epoca tormentata e difficile, cercò in ogni modo di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, per il santo frate del Gargano la cura delle anime e la conversione dei peccatori furono un anelito che lo consumò fino alla morte. Quante persone hanno cambiato vita grazie al suo paziente ministero sacerdotale; quante lunghe ore egli trascorreva in confessionale!

"Come per il Curato d’Ars, è proprio il ministero di confessore a costituire il maggior titolo di gloria e il tratto distintivo di questo santo frate cappuccino. Come allora non renderci conto dell’importanza di partecipare devotamente alla celebrazione eucaristica e di accostarsi frequentemente al sacramento della confessione? In particolare, il sacramento della penitenza va ancor più valorizzato, e i sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli per questa straordinaria fonte di serenità e di pace".

***

Nel riferire l'inizio dell'Anno Sacerdotale le cronache giornalistiche non hanno dato quasi nessun rilievo a questa insistenza del papa sul sacramento della penitenza.
Le cronache hanno dato evidenza, piuttosto, al passaggio in cui Benedetto XVI ha deplorato la malvagia condotta di alcuni pastori della Chiesa, "soprattutto di quelli che si tramutano in 'ladri delle pecore' (Giovanni 10, 1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte".
Così come l'altro passaggio in cui il papa ha detto che "anche per noi sacerdoti vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla divina misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l’accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare".
Ma è evidente che l'obiettivo numero uno dell'Anno Sacerdotale indetto da Benedetto XVI è proprio la rinnovata cura della confessione sacramentale.
L'obiettivo è decisamente controcorrente, rispetto allo spirito di resa che tanti vescovi e sacerdoti mostrano di fronte alla caduta in disuso di questo sacramento.
Ma va notato che tale obiettivo è condiviso anche da un alto esponente della Chiesa che pure per molti aspetti è il meno in sintonia con questo e col precedente pontificato: il cardinale Carlo Maria Martini.

È ciò che risulta da una sua intervista con Eugenio Scalfari su "la Repubblica" del 18 giugno 2009, vigilia dell'apertura dell'Anno Sacerdotale.
In essa il cardinale Martini ha ribadito la sua nota personale classifica dei problemi maggiori della Chiesa d'oggi, "in ordine d'importanza":

"Anzitutto l'atteggiamento della Chiesa verso i divorziati, poi la nomina o l'elezione dei vescovi, il celibato dei preti, il ruolo del laicato cattolico, i rapporti tra la gerarchia e la politica".
E ha inoltre rilanciato la sua idea di convocare urgentemente un nuovo Concilio il cui primo tema dovrebbe essere proprio "il rapporto della Chiesa con i divorziati".

Ma subito dopo ha aggiunto:

"C'è anche un altro argomento che un prossimo Concilio dovrebbe affrontare: quello del percorso penitenziale della propria vita. La confessione è un sacramento estremamente importante ma ormai esangue. Sono sempre meno le persone che lo praticano, ma soprattutto il suo esercizio è diventato quasi meccanico: si confessa qualche peccato, si ottiene il perdono, si recita qualche preghiera e tutto finisce così, nel nulla o poco più. Bisogna ridare alla confessione una sostanza che sia veramente sacramentale, un percorso di pentimento e un programma di vita, un confronto costante con il proprio confessore, insomma una direzione spirituale".

Che il cardinale Martini e papa Joseph Ratzinger si trovino d'accordo su qualcosa, è già questa una notizia.
Ma lo è ancor più per l'oggetto dell'accordo: "ridare una sostanza" al più trascurato dei sette sacramenti. Quella "sostanza" che il santo Curato d'Ars e padre Pio hanno fatto balenare più di tutti, a miriadi di penitenti in cerca della misericordia di Dio.

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5 commenti:

Anonimo ha detto...

Se ieri notte, leggendo il pezzo sono rimasta perplessa, oggi, al luce del giorno, rileggendolo ne sono disturbata. Azzardato accostare la meravigliosa predicazione del nostro Santo Padre sul quarto sacramento ai discorsi salottieri dell'ostico, nell'accezione di sgradevole, duo martini/scalfari. E come voler accostare luce e tenebre, giorno e notte. Semplicemente non regge.
Alessia

Anonimo ha detto...

opinioni...

Fabiola ha detto...

Sono d'accordo con Alessia. Il "dare sostanza sacramentale" al quarto sacramento di Martini mi sembra (se interpreto bene) un togliergliela."Percorso di pentimento", "programma di vita", "costante confronto col proprio confessore": una continua sottolineatura di quello che possiamo "fare" noi, compreso il direttore spirituale, piuttosto che il richiamo a Chi, solo, opera attraverso il confessore. "Sufficit gratia Tua." E', di nuovo e sempre, la questione della fede, non del nostro impegno. Innanzitutto. La coscienza dell'essere poveri uomini e che, senza Gesù, non possiamo fare nulla. Altro ch "programmi di vita:"

gianniz ha detto...

E’ naturale che i media non colgano la centralità del messaggio sottinteso nell’anno sacerdotale!
Hanno quasi espulso dalla loro attenzione gli argomenti di “puro” contenuto “religioso” ormai sancito, da loro, come privato (=senza interesse). Così gli argomenti di squisito carattere religioso, che non si prestano alla polemica, vengono espulsi e coperti da un assordante silenzio. Gli altri (argomenti), che si prestano alla grancassa, vengono suonati rumorosamente, ma non fanno più scappare nemmeno i piccioni. Fin qui tutto normale!
Mi preoccupa invece la fastidiosa sensazione che l’anno sacerdotale non venga colto come centrale proprio da coloro cui è rivolto principalmente: i sacerdoti.
Perchè lo dico?
Mi sbaglierò ma all’inaugurazione in San Pietro quali erano i banchi abbastanza vuoti? Quelli dei sacerdoti cui era stato riservato grande spazio, e giustamente!
Mi è capitato poi di ragionare di questo, amichevolmente, con un sacerdote e, con stupore, mi sono sentito rispondere: “E’ ora di finirla! Come se fossimo noi il centro di tutti i problemi!”..., e mi fermo qui!
Certo, se con questa iniziativa i sacerdoti si leggono e sentono come messi sul banco degli accusati è ovvio che si sentano a disagio! Spero di sbagliarmi.
Spero che, come è nelle aspettative del Santo Padre e di molti, questa iniziativa spinga tutti i sacerdoti a compattarsi attorno a chi, tra di loro e nella Chiesa, prega, si affida, si rende disponibile, si sforza di "ridare sostanza"ai Sacramenti, alla Parola, all’evangelizzazione?

Spero roprio che la fastidiosa sensazione, di cui dicevo prima, non corrisponda alla realtà.

Lapis ha detto...

indubbiamente ci sono non poche differenze tra le parole, sempre chiare e cristalline, del nostro Papa e quelle del cardinale Martini, che a me suonano immancabilmente contorte. Trovo però interessante che il venerabile porporato, pur con il suo tipico linguaggio dei "ni" e dopo aver ovviamente strizzato l'occhio ai divorziati risposati, abbia avvertito la necessità di riconoscere la crisi del sacramento della confessione, invece di dire che sono tanto belle le sedute simil-psicanalitiche che si tengono in molte parrocchie.
Gli Scalfari e gli Augias fanno presto a dire che, ah, se fosse diventato papa... Martini avrebbe fatto chissà quali scintille, ma forse, alla prova dei fatti, tanto rivoluzionario non sarebbe stato.
Comunque le mie sono solo ipotesi e, grazie a Dio, nella realtà abbiamo il nostro papa Benedetto.