venerdì 19 giugno 2009

Preti e celibato. Una Lettera papale contro i detrattori (Rodari)


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Preti e celibato. Una Lettera papale contro i detrattori

giu 19, 2009 il Riformista

L’anno sacerdotale che si apre questa sera in Vaticano con la recita dei Vespri condita da un’importante omelia di Benedetto XVI (il testo riassumerà l’intensa Lettera del Papa per l’apertura dell’anno sacerdotale resa nota ieri dal Vaticano) cade nel momento giusto.
A scorrere le cronache di questi giorni, infatti, svariati appaiono gli attacchi diretti proprio alla vocazione sacerdotale, cuore pulsante della vita della Chiesa.
E, infatti, non a caso, è stato ieri il segretario del Clero, l’arcivescovo Mauro Piacenza, a parlare sull’Osservatore Romano di attacchi senza precedenti contro il sacerdozio.
Attacchi che, in qualche modo, sono diretti anche contro una delle caratteristiche principali della stessa vocazione sacerdotale, il celibato. Divenuto una prassi nella Chiesa cattolica di rito latino, il celibato è oggi un vincolo sul quale, non ultimo, Benedetto XVI ha speso svariate parole.
Prima ci si è messo Emmanuel Milingo. È di questi giorni la notizia che il vescovo scomunicato dalla Chiesa cattolica dopo le sue note vicende con Moon, sta lavorando in Africa per togliere consensi e preti alla Chiesa: nello Zambia, il Vaticano ha dovuto scomunicare padre Luciano Mbewe con l’accusa di aver creato la Chiesa Apostolica Nazionale Cattolica dello Zambia unendosi apertamente al movimento “Preti Sposati Ora” di Milingo.
In Kenya, invece, è stato un piccolo gruppo di preti cattolici impegnati nell’abolizione della regola del celibato per il clero latino a sostenere di volere ordinare - incapperebbe con questo gesto automaticamente nella scomunica - un vescovo senza il permesso della Santa Sede.
Poi è stata la volta del cardinale Christoph Schoenborn.
Il presidente dei vescovi austriaci, convocato tre giorni fa da Ratzinger per relazionare sul caso Gerhard Wagner (nominato vescovo ausiliare di Linz, si è dovuto fare da parte per le proteste del clero locale che lo hanno ritenuto troppo conservatore), ha portato al prefetto del Clero, il cardinale brasiliano Claudio Hummes, la cosiddetta “Iniziativa dei laici” (Laieninitiativ).
Si tratta, in sostanza, di un appello di cattolici austriaci che chiede l’abolizione dell’obbligo del celibato per i sacerdoti, il ritorno in attività dei preti sposati, l’apertura del diaconato anche alle donne e l’ordinazione dei cosiddetti “viri probati”. Schoenborn ha chiesto a Hummes di leggere il documento «con attenzione». E ha anche parlato della cosa in un’intervista rilasciata alla Radio Vaticana.
Infine ecco un’intervista (di ieri) del cardinale arcivescovo emerito di Milano, Carlo Maria Martini, il quale oltre a proporre non tanto un Concilio Vaticano III quanto un Concilio dedicato interamente alla questione dei divorziati, dice che uno dei problemi che attanagliano la Chiesa è quello del «celibato dei preti».
La Lettera di Benedetto XVI si muove a un’altezza diversa.
Non risponde direttamente alla questione del celibato, ma alza lo sguardo indicando il cuore d’una vocazione, quella sacerdotale, che nell’accettazione del celibato ha senz’altro uno dei suoi punti di maggiore forza e fascino.
L’esempio a cui Ratzinger vuole tutti guardino è uno: San Giovanni Maria Vianney, altrimenti noto come Curato d’Ars. È il suo esempio, la sua storia fatta di lunghi anni trascorsi in parrocchia a confessare e dire messa, a dipingere quell’identikit di prete a cui il Pontefice vuole tutti guardino.
Il Curato d’Ars era mezzo analfabeta. Ma riuscì con il suo amore all’eucaristia e con una dedizione incondizionata ai suoi parrocchiani - «Mio Dio accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorrete per tutto il tempo della mia vita», disse la prima volta che giunse ad Ars - riuscì a creare un movimento spirituale incredibile attorno alla sua chiesa.
Scrive Benedetto XVI: «Entrava in chiesa prima dell’aurora e non ne usciva che dopo l’Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui». Ai suoi parrocchiani insegnava con la testimonianza della vita. Era dal suo esempio che i fedeli imparavano a pregare: era convinto che dalla messa dipendesse tutto il fervore d’un prete.
Passava con un solo movimento interiore dall’altare al confessionale, dove vi rimaneva anche per sedici ore al giorno: «I sacerdoti - ha spiegato Benedetto XVI - non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo o quel sacramento
».
Quello di Benedetto XVI è un invito ai preti a riscoprire la grandezza della propria vocazione. Certo, ci vuole anche allenamento: «La grande disavventura per noi parroci - disse il Curato d’Ars - è che l’anima s’intorpidisce». Sono continuate le infedeltà dei preti: situazioni «mai abbastanza deplorate». Il Curato d’Ars rispondeva al peccato in questo modo: «Teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale». In confessionale faceva così: «Dó ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto».
Egli seppe vivere in interezza i tre consigli evangelici: povertà, castità e obbedienza. Una possibilità valida anche oggi.

© Copyright Il Riformista, 19 giugno 2009 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.

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