martedì 18 agosto 2009

L’assolutismo della tecnica nega lo sviluppo e viola la dignità dell’uomo: la riflessione del prof. Lucio Romano sulla “Caritas in veritate” (R.V.)


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L’assolutismo della tecnica nega lo sviluppo e viola la dignità dell’uomo: la riflessione del prof. Lucio Romano sulla “Caritas in veritate”

Per conseguire uno sviluppo autentico, è urgente “una formazione alla responsabilità etica nell’uso della tecnica”: è il richiamo di Benedetto XVI nella Caritas in veritate, il cui ultimo capitolo è proprio dedicato allo “sviluppo dei popoli e la tecnica”. Il Papa sottolinea che, “attratta dal puro fare tecnico, la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza”. E aggiunge: la ricerca sugli embrioni, la clonazione “sono promosse dall’attuale cultura del disincanto totale che crede di aver svelato ogni mistero”. Su queste riflessioni di Benedetto XVI, Alessandro Gisotti ha raccolto il commento del prof. Lucio Romano, ginecologo dell'Università Federico II di Napoli e presidente dell’associazione “Scienza e Vita”:

R. – Il Papa pone all’attenzione di tutti il problema – estremamente avvertito – di come la tecnica oggi rappresenti un dato da prendere in considerazione, in ragione anche del passaggio epocale da una globalizzazione delle ideologie ad una sorta di globalizzazione della tecnica. Vediamo quindi che, essendo la tecnica una questione sociale è ineludibile che la questione sociale in quanto tale richiami anche una questione antropologica. Qui entriamo nel cuore del tema, cioè di come la tecnica non venga assolutamente rifiutata da parte del Papa. Ma, laddove la tecnica rappresenti una negazione dell’uomo, un superamento dell’uomo inteso in ottica distruttiva – con tutto ciò che ne può conseguire -, evidentemente non risponde più ad un’ars etica. Il Papa propugna una tecnica si arricchisca di senso e di valore. Il senso ed il valore non possono essere altro che trovati nella dimensione squisitamente umana di una verità antropologica, dove la libertà si coniuga con la responsabilità.

D. – Il Papa mette in guardia proprio dalla tentazione dell’umanità di pensare di "potersi ricreare da sé" attraverso i prodigi della tecnica, della tecnologia. In un certo qual modo un’attualizzazione del mito di Prometeo…

R. – E’ il tentativo che l’uomo cerca da sempre di mettere in essere, la cosiddetta “autopoiesi”: l’uomo che produce se stesso, l’uomo che riproducendo se stesso crede di essere padrone del mondo. Il discorso diventa altrettanto importante perché si vanno a confrontare due razionalità, così come il Papa richiama alla nostra attenzione. Da una parte, la razionalità dove la ragione è aperta alla trascendenza e, dall'altra, una ragione che invece è chiusa nell’immanenza. La dimensione di una tecnica che si autosupporta, si autogratifica è una ragione chiusa nell’immanenza, che non va oltre la dimensione squisitamente orizzontale e, non prendendo in considerazione una verità trascendente, nega la stessa dignità dell’essere uomo. Fede e ragione si aiutano a vicenda. Se noi consideriamo la dimensione tecnica da sola, questa rischia di cadere nello scientismo puro; altrettanto la fede, senza la dimensione della ragione, potrebbe rischiare di cadere nella dimensione del fideismo puro. La fede e la ragione insieme ci danno la possibilità di riconoscere la verità.

D. – Il Papa sottolinea che oggi il "campo primario di questa lotta culturale tra l’assolutismo della tecnica e la responsabilità morale dell’uomo è quello della bioetica"…

R. – Sì, una bioetica che si richiami ad un’antropologia di riferimento. Un’antropologia di riferimento sicuramente personalista, nella dimensione di un personalismo ontologicamente fondato, dove c’è quindi la dimensione di una difesa e di una tutela della vita, dal concepimento fino alla morte naturale e non certamente una bioetica fondata su un’assoluta dimensione di autodeterminazione di libertà irrispettosa dell’uomo. Quello che invece riteniamo una dimensione rispettosa della dignità dell’essere uomo è una bioetica che tenga conto della presa in carico della persona, che l’assista, che si prenda cura, che le sia affianco, che sia tutela della sua vita e che l’accompagni anche nelle fasi terminali a quello che è il naturale progredire, verso la morte naturale. Una bioetica che sia quindi rispettosa dell’uomo e rispettosa di una ricerca scientifica che non sia però sostitutiva del rispetto e della dignità dell’essere uomo.

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