lunedì 3 agosto 2009

Il Presidente della Bocconi, Mario Monti: «Per l’economia un’Autorità mondiale. La sfida dell’enciclica Caritas in veritate» (Ognibene)


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Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

l’intervista

Prosegue l’analisi della lettera di Benedetto XVI con i protagonisti del mondo economico: è la volta del presidente della Bocconi

Monti: «Per l’economia un’Autorità mondiale La sfida dell’enciclica»

Proseguiamo la serie di interviste a commento dell’enciclica di Benedetto XVI « Caritas in veritate » . Dopo il teologo don Mario Toso, l’economista Stefano Zamagni, il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, il cardinale Renato Raffaele Martino, presidente del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Lorenzo Ornaghi, l’ex presidente del Fmi ( Fondo monetario internazionale) Michel Camdessus e il presidente di Microsoft Italia, Umberto Paolucci, è la volta dell’economista Mario Monti, presidente dell’Università Bocconi di Milano.

DI FRANCESCO OGNIBENE

A ppunti, ritagli, libri: la scri­vania di Mario Monti mo­stra che il presidente dell’U­niversità Bocconi di Milano ha pre­so molto sul serio la Caritas in veri­tate, come anche l’intervista che ha accettato di rilasciare ad Avvenire su un’enciclica che parla anche ai gran­di economisti come lui.
E in oltre un’ora di colloquio nel suo studio u­niversitario segue il filo di un ragio­namento che parte dalle pagine di Benedetto XVI per arrivare ai gran­di scenari dell’economia. «Ragio­nando sulla crisi di questi anni – spiega – vedo cose devastanti insie­me a un fiorire di fenomeni nuovi e promettenti. Su questo orizzonte a­desso arriva la luce autorevole del­l’enciclica, in modo approfondito e costruttivo».

Professore, che valore ha il testo del Papa per la riflessione in corso sul­le grandi categorie economiche e sociali?

«L’enciclica giunge in un momento che rende eccezionalmente interes­sante e feconda la riflessione sti­molata dal documento. È vero – co­me qualcuno ha rilevato – che non è la crisi l’oggetto del testo, né è da crisi lo spirito che lo anima. È stato persino notato che c’è una scarsa ri­correnza della stessa parola 'crisi' a vantaggio di un complessivo tono di fiducia. Il Papa coglie il mondo dell’economia e degli studi econo­mici in un momento nel quale so­no aperti assai più del consueto al­la critica e si scoprono bisognosi di ri-orientamento. Si può dire che la 'domanda' di un chiarimento profondo era particolarmente sen­tita, e l’'offerta' che arriva dal Papa trova un ascolto ancora maggiore, anche in ambienti che normalmen­te avrebbero prestato minore atten­zione ».

Cosa l’ha colpita nella lettura della «Caritas in veritate»?

«Mi impressiona molto che l’enci­clica proponga anche un inquadra­mento di princìpi di governo dell’e­conomia in una società globale. Chi è interessato a come può essere ge­stita l’economia in un quadro così complesso trova molti princìpi di ri­ferimento. Quello del Papa è quasi un documento 'tecnico' sul gover­no di una società nella quale l’eco­nomia ha un ruolo importante. C’è un’espressione che mi è rimasta particolarmente impressa, là dove il Papa indica la necessità di una 've­ra Autorità politica mondiale', con la 'a' maiuscola. Dal rapporto tra e­conomia ed etica e tra società e in­dividuo si arriva con naturalezza a un passo straordinariamente impe­gnativo, del quale si avverte l’esi­genza proprio da parte di coloro che studiano e vivono l’economia e i mercati, anche se non condividono l’orientamento etico della Chiesa cattolica».

Qual è a suo avviso il rilievo di que­sta sottolineatura di Benedetto XVI?

«Forse è un punto che avrebbe me­ritato uno sviluppo ulteriore: quel­lo che il Papa dice, infatti, apre il grande capitolo della cessione di so­vranità da parte dei poteri pubblici nazionali. Una 'vera Autorità poli­tica mondiale' è condizione neces­saria per gestire l’economia in mo­do che sia rispettosa di due fonda­mentali esigenze etiche, riguardan­ti l’una la distribuzione nell’oggi, tra Paesi e all’interno dei Paesi, l’altra la distribuzione nel tempo, tra le ge­nerazioni. Diventa eticamente ne­cessario che gli Stati si muovano ver­so una forma di governance che si avvicini a questa 'vera Autorità po­litica mondiale': se non si fanno passi significativi in questa direzio­ne, i problemi distributivi, oltre a quelli della stabilità e della crescita, non possono essere seriamente af­frontati ».

La costruzione di una simile Auto­rità le sembra realizzabile?

«Il mondo sta lentamente avanzan­do in questa direzione. Sono in atto fenomeni di integrazione regiona­le, come quello europeo, nei quali traspare la consapevolezza cre­scente che, data la globalizzazione, i singoli Stati non sono più in grado di esercitare la propria sovranità su tutto. Essa diventa sempre più teo­rica e sempre meno effettiva e ne occorre quindi una condivisione in sedi più ampie. Oltre all’Unione eu­ropea, anche il G8 e ora il G20 van­no in questa direzione, così come l’Onu. Certo, il Papa indica un’isti­tuzione 'mondiale', che abbia 'au­torità' autentica, ovvero una capa­cità rilevante di decisione politica e una forma di legittimazione dal bas­so che agli organismi internaziona­li oggi manca (ad eccezione della Ue, che ha un Parlamento a elezione di­retta). A chi pensa che l’idea di que­sta 'autorità' sia utopistica, ricordo che il mondo ha compiuto grandi passi nell’acquisire la consapevo­lezza che se non si va in quella dire­zione i problemi sono destinati a di­ventare distruttivi per l’economia e la società. La crisi l’ha dimostrato».

La crisi, appunto, ha cambiato i pa­radigmi economici. Anche quelli e­tici?

«Ha aperto gli occhi e le orecchie, disponendo a vedere e ad ascoltare anche chi prima non era propenso a farlo. È diventata una cartina di tornasole che ha fatto comprende­re più largamente tendenze perce­pite in passato solo da pochi. Per questo, il terreno sul quale plana questa enciclica è molto fertile».

Il grande tema che percorre il testo del Papa è quello dello sviluppo. A quali condizioni deve sottostare perché presto o tardi non si mostri ancora effimero e parziale?

«La crisi ci aiuta a capire che la so­stenibilità non è un orpello, ma sem­pre più un requisito indispensabile dello sviluppo. Si sapeva, certo, che il mercato – meccanismo insosti­tuibile per il benessere e la crescita – è soggetto a 'fallimenti', non è suf­ficiente a garantire uno sviluppo so­stenibile, richiede interventi di po­litica economica. Ma la crisi ci ha mostrato che la stessa economia di mercato può non essere sostenibi­le, non essere più accettata, se non affronterà efficacemente i problemi delle eccessive disuguaglianze».

Il Papa scrive che l’umanità globa­lizzata va vista come una «famiglia di popoli». Si ritrova in questa idea?

«Certamente. Sempre più, nella realtà e nella percezione, l’umanità è davvero una grande famiglia co­municante, condizionata e attenta a ciò che accade ad altri compo­nenti, con ricadute nei criteri di giu­dizio e nelle scelte di governo. Lo spazio per preferenze diverse si ri­duce, il che significa che le scelte e­tiche che ispirano le politiche pub­bliche devono essere più armoniz­zate. Un punto che ci riporta dritti all’Autorità mondiale».

È possibile che ci si possa ricono­scere largamente in una tavola di valori etici condivisi per uno svi­luppo più rispettoso dell’uomo, e dunque più solido?

«La discussione sui valori che devo­no guidare condotte individuali e scelte dei poteri pubblici diventa sempre più importante via via che la globalizzazione riduce gli spazi per impostazioni radicalmente di­stanti. Per effetto di questa crisi, l’e­tica è entrata diffusamente nei do­cumenti di istituzioni e banche: si è compreso che essa è nel cuore del­le cose e non un loro aspetto ester­no».

Già: ma quale etica, professore?

«Credo che ci siano princìpi sui qua­li è necessario convergere, un 'pez­zo di strada' che tutti devono per­correre insieme, comunque la pen­sino. È difficile oggi non riconoscersi in un’etica dalla quale siano estro­messe molte pessime pratiche che abbiamo visto all’opera e in cui, vi­ceversa, si rinvenga molta più at­tenzione distributiva».

Tra gli economisti vede questa con­divisione?

«La 'scatola' dell’etica non sarà riempita da tutti nello stesso modo, ma quasi tutti vorranno introdurvi almeno un certo numero di ingre­dienti comuni. Questa 'scatola' è vista oggi sempre più come neces­saria al funzionamento stesso dei meccanismi economici e non più come esigenza morale collaterale, successiva o separata».

La Chiesa può influire su un 'risa­namento' etico dell’economia?

«Il pensiero della Chiesa è meno o­scillante rispetto a tante valutazio­ni tecniche, scientifiche, ideologi­che o politiche. Nella sua storia es­sa è arrivata gradualmente – e in al­cuni casi con un certo ritardo – a comprendere il valore dell’econo­mia e del mercato, e quando l’ha fat­to ha piantato paletti giustamente esigenti. Se la mia lettura dell’enci­clica è corretta, adesso però la Chie­sa non suggerisce affatto di gettare il mercato alle ortiche, come sareb­be facile e demagogico fare, e come nel dibattito economico molti han­no fatto. La Chiesa ha una maggio­re stabilità: ha impiegato tempo a riconoscere certi valori, non mi sem­bra voglia liquidarli in modo affret­tato solo perché sono diventati me­no popolari».

Il Papa non liquida il mercato, cer­to, ma propone condizioni perché si metta al servizio l’uomo...

«Trovo rincuorante che la Chiesa oc­cupi questo terreno collocandosi su un livello 'alto' e sottraendosi alla polemica divisiva tipica di altri te­mi. C’è una parte della società che segue con interesse quello che la Chiesa fa, e che sentiva il bisogno di questa enciclica. Noto da parte del­la Chiesa, in particolare, una visio­ne di profondo rispetto per la poli­tica, che essa chiama alla sua vera di­gnità. Ecco: vedere il Papa che chia­ma la politica a onorare la missione e la responsabilità che le competo­no in uno scorcio di storia così com­plesso mi apre il cuore. Mentre, de­vo dire, il cuore mi si chiude quan­do vedo certi politici conclamare la propria adesione a valori sostenuti dalla Chiesa nell’intento principale – si ha a volte l’impressione – di re­cuperare consenso presso i cittadi­ni ».

Da studioso, come giudica il Bene­detto XVI 'economista' della «Ca­ritas in veritate»?

«Il Papa riconosce l’importanza del­l’economia, la necessità di un in­quadramento rispetto ai valori e al governo dei fenomeni, la sua 'non totalità': penso a quella che defini­sce 'economia del dono', un signi­ficativo passo conoscitivo, non un’a­spirazione generica ma l’osserva­zione di una categoria che si va for­temente sviluppando. In questi an­ni abbiamo assistito a due fatti con­traddittori: lo sviluppo di fenomeni estremi nel mercato, in forme a vol­te incontrollabili, insieme a svilup­pi inattesi, come il rapido affermar­si nelle coscienze di nuove sensibi­lità quali quella ambientale, o il ra­dicarsi di un volontariato diffuso e motivato. L’'economia del dono' si è sviluppata moltissimo: se l’eco­nomia non potrà mai basarsi inte­gralmente sul dono, deve tuttavia tenere in attenta considerazione questo spazio che è in grande cre­scita. E che fa capire a noi studiosi dell’homo oeconomicus come ci sia anche un uomo che funziona di­versamente ».

© Copyright Avvenire, 2 agosto 2009

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