mercoledì 14 ottobre 2009

Il cardinale Turkson: i Padri sinodali ascoltano il grido delle donne africane (Radio Vaticana)


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SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

Il cardinale Turkson: i Padri sinodali ascoltano il grido delle donne africane

Circoli minori al lavoro, oggi, per il secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sul tema della riconciliazione, la giustizia e la pace. Il programma prevede il dibattito, a porte chiuse, sulla “Relazione dopo la discussione”. Il documento è stato presentato ieri pomeriggio dal cardinale Peter Turkson, relatore generale del Sinodo. Nel testo, il porporato ha riassunto i temi principali emersi in Aula finora ed ha dettato le linee-guida sulle quali i presuli dovranno lavorare, in vista dei documenti finali dell’Assemblea. Il servizio di Isabella Piro:

È una Chiesa africana orgogliosa delle sue origini apostoliche e fiera per i suoi antenati nella fede quella tratteggiata dal cardinale Turckson. Una Chiesa che, per rendere più forte il suo compito di riconciliazione, deve ripensare il suo modo di essere e di agire, guardando alla verità e nella fedeltà per la sua missione. La Chiesa-Famiglia di Dio in Africa, continua il porporato, deve essere trasformata dal di dentro e deve trasformare il continente.

Il suo apostolato, allora, comprenderà vari aspetti e il relatore generale ne indica alcuni: liberare la popolazione africana da ogni paura, compresa quella provocata dalla magia e dall’occultismo; assicurare la formazione in ogni campo, dalla catechesi ai mass media, dalla politica alla cultura; sfidare un passato di colonialismo e sfruttamento; resistere alle minacce della globalizzazione.

“The issue of migration came up for special mention…”

Poi, il cardinale Turkson chiede attenzione alla questione delle migrazioni, anche in rapporto alle legislazioni dei Paesi occidentali, e invita a considerare il tema della “etnicità” che può sviluppare atteggiamenti di esclusione e distruggere le comunità vive, trasformandosi quasi in una forma di razzismo.

Il relatore generale del Sinodo non dimentica le “ombre” che coprono la società africana nel campo della famiglia, minacciata dall’ideologia del “genere”, dalla nuova etica sessuale globale, dall’ingegneria genetica, e attaccata dalla salute riproduttiva e da stili di vita “alternativi” al matrimonio tra uomo e donna.

“The Church may see the present and persistent shadows in Africa…”

Ma sono “ombre, continua il cardinale Turkson, che la Chiesa può vedere come sfide ed opportunità per crescere.

Attenzione viene riservata anche alle donne, ancora ai margini della cultura africana: i Padri sinodali hanno ascoltato il loro grido, dice il cardinale Turkson. La Chiesa-Famiglia di Dio è invitata a fare qualcosa contro le gravi ingiustizie perpetrate contro di loro, come poligamia, violenze domestiche, discriminazione nel diritto di eredità, matrimoni forzati. Esse hanno bisogno di essere riconosciute, nella società come nella Chiesa, come membri attivi.

Un altro appello è rivolto alla difesa dei bambini, “la parte più sofferente della popolazione Africana”, dice il relatore generale, che subiscono abusi, sono costretti alla guerra, e si vedono negare il diritto all’educazione. E la stessa cura è riservata ai giovani, nei confronti dei quali si lamenta la povertà delle politiche governative sull’educazione e l’occupazione.

Centrale inoltre la necessità di un esercizio responsabile del potere da parte della leadership africana, che deve stare lontana dalla corruzione, rispettare i governi democratici, senza tollerare i colpi di Stato. Gli episcopati africani, ricorda poi il cardinale Turkson, hanno anche un grande interesse a rafforzare la loro presenza nelle organizzazioni continentali, come l’Unione Africana, in armonia con l’azione della Santa Sede, per stimolare e garantire iniziative di riconciliazione, giustizia e pace.

“The tragedy of the pandemic of Hiv-Aids…”

Poi, il cardinale Turkson sottolinea che la pandemia di Aids non è stata persa di vista, ma che la Chiesa si impegna nello sforzo di ridurre la negativa visione sociale delle persone infette. Un appello viene quindi lanciato perché in Africa i malati ricevano gli stessi trattamenti che in Europa.

Quindi, l’accento va alla richiesta di fermare le fabbriche di armi, di evitare una guerra per l’acqua, di promuovere mass media locali che non strumentalizzino l’Africa. E ancora: il porporato dice no alla bramosia delle multinazionali che vogliono appropriarsi delle risorse naturali dell’Africa, scatenando conflitti non dovuti quindi al tribalismo, e chiede una formazione attiva con i musulmani di buona volontà, in modo da ridurre le tensioni.

Poi, il grande tema della giustizia che è una rivelazione di Dio e che ha come scopo principale non il risarcimento, ma il risanamento attraverso l’ammissione della colpa e il perdono.

Infine, il cardinale Turkson riassume tutto in venticinque domande. Tocca ora ai Circoli minori trovare le risposte adeguate dalle quali scaturiranno, poi, le Proposizioni finali.

In tarda mattinata, poi, a colloquio con i giornalisti nella Sala Stampa della Santa Sede, il card. Wilfrid Napier, presidente delegato del Sinodo, ha ricordato le tante attività della Chiesa nel campo della lotta all’Aids. Attività che comprendono il fare informazione sulla patologia, curare i malati, partecipare a programmi che distribuiscono farmaci antriretrovirali ed insegnare, soprattutto ai giovani, il giusto valore della sessualità a scopo procreativo. In questo senso, il porporato ha condannato un certo “imperialismo culturale” di chi vuole donare aiuti all’Africa, in cambio, però, dell’accettazione di ideologie che non le appartengono.

Non c’è sviluppo in Africa senza riconoscimento della parità tra uomo e donna. Un concetto, questo, più volte ribadito al Sinodo. Qualcosa a livello sociale sta cambiando e oggi molte realtà ecclesiali in Africa promuovono i diritti delle donne. Lo conferma Barbara Pandolfi, uditrice al Sinodo e presidente dell’Istituto Secolare Missionarie della Regalità di Cristo. Paolo Ondarza l’ha intervistata.

R. – Sicuramente, la donna in Africa ha un ruolo rilevante per quello che riguarda la vita economica, la vita sociale, la vita nei villaggi. E’ la sua presenza che, per esempio, dà stabilità alla famiglia, è la sua presenza che dà continuità anche al sostentamento stesso della famiglia attraverso il suo lavoro. E’ lei che si occupa del lavoro dei campi, dei bambini ed è una presenza altamente significativa anche all’interno della Chiesa: spesso anima, con la danza e con i canti, la liturgia e guida anche delle comunità. Sicuramente ci sono dei cambiamenti. Sono dei cambiamenti forse ancora piccoli, nascosti, che riguardano soprattutto la consapevolezza che la donna ha di se stessa. Grazie anche all’intervento di molti gruppi e associazioni ecclesiali che aiutano in questo, favoriscono la consapevolezza del ruolo della donna stessa e della sua dignità, che talvolta però è messa in discussione dal non rispetto, anche dalla violenza che la donna subisce, e dalla cultura talvolta maschilista nella quale essa si trova coinvolta.

D. – Le donne africane, che comunque sono state abituate a ricoprire finora una posizione – appunto – di subordinazione, quanta capacità hanno di accogliere il messaggio di promozione della donna?

R. – Molte di loro hanno questa capacità. Loro, di fatto, hanno in parte condiviso le tradizioni dei loro Paesi ma in parte le hanno anche subite. Ci sono molte donne che vivono la poligamia come una disgrazia: non l’hanno scelta, è loro capitata, la devono subire ma vorrebbero liberarsene, così come di altre situazioni di ingiustizia. Poi, credo che ormai ci siano modelli diversi, in Africa: donne che hanno incominciato a lavorare e ad essere valorizzate sia sul piano sociale sia sul piano ecclesiale dei diritti umani. Molti gruppi, anche della Chiesa, riconoscono alla donna un effettivo valore e quindi le danno anche sicurezza, quell’autostima che è necessaria perché possa emergere e possa anche lottare.

D. – La donna africana che cosa ha da offrire come modello, a quella occidentale?

R. – La cosa che impressiona di più, quando incontriamo le donne africane, è la loro grande forza di vivere: la forza di cantare e di danzare in qualunque situazione della vita. E anche cogliere il senso profondo e la forza che la vita è in se stessa. Io credo che questa sia la grande ricchezza che le donne africane possono dare, insieme alla capacità di accoglienza, questa capacità di condivisione. Càpita, qualche volta, che in un villaggio non ci sia niente da mangiare, ma quando arriviamo le donne condividono quel che hanno: una pannocchia di mais, un piatto di manioca …

D. – Qualcuno tra i Padri sinodali ha usato un’immagine significativa: di una donna, Maria, che ha portato Gesù all’Africa, con un evidente riferimento alla fuga in Egitto; e ha detto: “Oggi le donne africane continuano ancora a portare Gesù all’Africa” …

R. – Davvero! La donna è portatrice di un messaggio, di una profezia e in Maria anche della Parola che si fa carne. Per le donne africane, questo credo che si realizzi, e in molti modi. Il primo modo è attraverso la loro fede: hanno un senso profondo di Dio, della presenza di Dio nella vita. Molte donne sono portatrici di un messaggio di pace, di riconciliazione; hanno saputo ricostruire la famiglia che magari è composta da figli provenienti da unioni diverse, hanno saputo spesso accogliere figli frutto di violenza … Quindi, veramente, le donne anche nella società possono davvero portare il messaggio evangelico, in alcuni casi le donne sono anche catechiste. Questo aspetto sarebbe da sviluppare maggiormente, in Africa.

D. – Vorrei concludere questa intervista con un’immagine che lei ha usato nel suo intervento, un’immagine che deriva dalla Genesi …

R. – Nel racconto della Genesi, la prima divisione nel genere umano è stata proprio quella fra uomo e donna: l’uomo che accusa la donna, la donna che spinge l’uomo a commettere il peccato, e questa comunità d’amore che l’uomo aveva poche righe prima cantato, dicendo: “Questa è carne della mia carne, ossa delle mie ossa”, si spezza. E’ conseguenza del peccato. E questo peccato porta l’uomo a dominare la donna. Ecco: credo che la riconciliazione arrivi proprio nel superamento di questo dominio. E arriva nel riconoscere la diversità come ricchezza, e non attraverso un rapporto di potere, di dominio, di violenza.

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