martedì 20 ottobre 2009

Perché sull’islam a scuola in Vaticano non tutti la pensano come B-XVI (Rodari)


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Perché sull’islam a scuola in Vaticano non tutti la pensano come B-XVI

di Paolo Rodari

L’apertura del cardinale Renato Raffaele Martino, presidente di Iustitia et Pax, all’ipotesi di un’ora di religione musulmana nelle scuole italiane – assicurando i debiti “controlli”, si tratterebbe, oltre che di un “diritto”, di un meccanismo che permetterebbe di evitare che i giovani di religione islamica finiscano nel “radicalismo”, ha detto il porporato – non è stata del tutto digerita nei piani alti del palazzo apostolico.
Qui, infatti, si suole essere più prudenti quando in ballo vi sono questioni inerenti la religione islamica.
Eppure, l’uscita di Martino (questi, presidente di Iustitia et Pax, a breve e per raggiunti limiti d’età potrebbe lasciare l’incarico al cardinale africano Théodore-Adrien Sarr, arcivescovo di Dakar: le sue parole sull’islam potrebbero però far slittare la nomina in modo che non sembri una conseguenza delle sue affermazioni), manifesta un dato: una linea precisa, e soprattutto decisa e forte in merito all’islam la chiesa e il Vaticano sembrano non averla del tutto. O meglio, quello che sembra mancare è una prospettiva d’insieme che permetta a tutti di dire le medesime cose senza sovrapposizioni.
A fronte di un significativo silenzio (ieri) dell’Osservatore Romano, si registrano, infatti, diverse reazioni. Subito c’è stato il cardinale Georges Cottier, teologo emerito della casa pontificia, che in qualche modo ha fatto sua l’apertura di Martino. Mentre meno favorevoli sono stati il cardinale presidente della Cei, Angelo Bagnasco, e il cardinale arcivescovo di Torino, Severino Poletto. E che i primi due (Martino e Cottier) appartengano alla curia romana mentre i secondi (Bagnasco e Poletto) all’episcopato italiano sembra essere più che altro un caso. Sulla linea da tenere quanto all’islam, e quindi anche circa l’ora di religione islamica, infatti, le divergenze non paiono essere tanto fra Vaticano e Conferenza episcopale italiana quanto tra cardinale e cardinale, tra vescovo e vescovo. Esiste, insomma, al di là del caso specifico del dibattito attorno alla concessione o no dell’insegnamento dell’islam nelle nostre scuole, un problema di concezione delle diverse gerarchie cattoliche rispetto all’islam: c’è chi continuamente propone più che un serio dialogo con l’islam un accomodamento nei confronti dell’islam stesso e chi, invece, cerca in qualche modo di fare proprio il pensiero del Papa che in merito è stato più volte chiaro.
Non c’è dichiarazione di Benedetto XVI dedicata all’islam e ai rapporti coi musulmani, non c’è discorso pronunciato in una qualche moschea del mondo in cui egli non abbia usato la parola “reciprocità”: la libertà religiosa è un diritto per tutti ma dev’essere messa in pratica in un regime di reciprocità.
Martino non è nuovo a uscite di questo tipo. Già nel 2006 aveva detto che “se in una scuola ci sono cento bambini di religione musulmana, non vedo perché non si possa insegnare la loro religione”. Anche allora, come in queste ore, vi fu chi ne trasse la più logica delle conseguenze: se si nega l’insegnamento dell’islam nelle scuole pubbliche, allora si cancelli anche quello della religione cattolica. E in difesa del valore dell’insegnamento della religione cattolica in Italia e contro, invece, un’apertura incondizionata – un cedimento appunto – all’islam, dovette intervenire direttamente l’allora presidente della Cei, il cardinale Camillo Ruini: “Se in linea di principio non appare impossibile l’insegnamento della religione islamica – disse – occorrono alcune fondamentali condizioni”: non vi dev’essere contrasto “nei contenuti rispetto alla nostra Costituzione, ad esempio riguardo ai diritti civili, a cominciare dalla libertà religiosa, alla parità tra uomo e donna e al matrimonio” e “bisognerebbe assicurarsi che l’insegnamento della religione islamica non dia luogo di fatto a un indottrinamento socialmente pericoloso”.
In sostanza, più o meno le parole usate dall’attuale presidente della Cei, Bagnasco, in risposta al cardinal Martino delle scorse ore.
E, ancora, più o meno le medesime parole pronunciate da Ratzinger nel 1999 in un’intervista apparsa sul settimanale tedesco Welt am Sonntag: l’attuale Pontefice si era detto in linea di principio non contrario alla cosa purché vi fossero garanzie che non si trattasse d’indottrinamento “ma d’informazione equilibrata sull’islam”.
In Vaticano esiste un dicastero appositamente dedicato al dialogo interreligioso, in particolare al dialogo con l’islam. Lo guida il cardinale francese Jean-Louis Tauran. Questi prese il posto occupato ad interim dal cardinale Paul Poupard dopo che l’arcivescovo inglese Michael Louis Fitzgerald (l’uomo del dialogo interreligioso sotto Papa Wojtyla) era stato nominato nunzio in Egitto.
L’allontanamento fu letto in curia come una sconfessione di quel tipo di dialogo di cui Fitzgerlad era seguace: quello, appunto, che in nome della necessità di trovare punti di contatto tra le religioni accetta di mettere in secondo piano parole come “reciprocità” e “identità”. Tauran ha lavorato sodo. Recentemente ha anche guidato l’incontro con una delegazione dei firmatari della celebre “Lettera aperta” – “A common word” – di 138 “saggi” islamici. Ma una linea comune rispetto all’islam anch’egli fatica a trovarla. Complice, anche e soprattutto, l’impossibilità di trovare un unico interlocutore nel mondo islamico.

Pubblicato sul Foglio martedì 20 ottobre 2009

© Copyright Il Foglio, 20 ottobre 2009 consultabile online anche qui, sul blog di Paolo Rodari.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Questa dell'ora di religione islamica non i sembra una buona idea. Da quello che reisco a capire nelle intenzioni del Santo Padre, il dialogo è una cosa, ma la reciprocità è un'altra. Torniamo lle radici della nostra religione cristiana, l'unica che porta alla salvezza