lunedì 9 novembre 2009

Benedetto XVI sulle orme di Paolo VI: Parole anche per l'oggi (Zavattaro)


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Il Papa: "Si vanno diffondendo un’atmosfera, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Eppure si avverte con forza una diffusa sete di certezze e di valori. Occorre allora trasmettere alle future generazioni qualcosa di valido, delle regole solide di comportamento, indicare alti obiettivi verso i quali orientare con decisione la propria esistenza" (Discorso)

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BENEDETTO XVI - Sulle orme di Paolo VI

Parole anche per l'oggi

Fabio Zavattaro

L’immagine della vedova e del suo obolo come messaggio contro l’ipocrisia, tensione verso la verità e ricerca di uno stile di vita essenziale: “azzimo”, ricordava il Papa nella sua riflessione di Pasqua.
Ed è alla luce di questa icona della vedova che papa Benedetto, nel suo viaggio a Brescia, parla della Chiesa e rende omaggio alla figura di Paolo VI, figlio della terra bresciana. Da Papa, il 29 giugno del 1975, chiedeva ai neo-sacerdoti di saper ascoltare “il gemito del povero, la voce candida del bambino, il grido pensoso della gioventù, il lamento del lavoratore affaticato, il sospiro del sofferente e la critica del pensatore”. Un programma per mettere in pratica l’“amore appassionato” per la Chiesa che ha cercato “con tutte le sue forze di far comprendere e amare”. Così, ricorda Benedetto XVI, Montini parla della Chiesa nel suo “Pensiero alla morte”: “Vorrei finalmente comprenderla tutta, nella sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità”. Una Chiesa che Paolo VI vuole povera e libera, e qui torna il riferimento alla figura evangelica della vedova del Vangelo di Marco. La Chiesa, dice Benedetto XVI, per riuscire a parlare all’umanità contemporanea deve essere così.
Papa Ratzinger sottolinea, con le parole della prima enciclica montiniana “Ecclesiam Suam”, 6 agosto 1964, che Paolo VI “ha dedicato tutte le sue energie al servizio di una Chiesa il più possibile conforme al suo Signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l’uomo contemporaneo possa incontrare Lui”. E come non vedere, afferma ancora il Papa a Brescia, che “la questione della Chiesa, della sua necessità nel disegno di salvezza e del suo rapporto con il mondo, rimane anche oggi assolutamente centrale? Che, anzi, gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione l’hanno resa ancora più radicale, nel confronto con l’oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane, dall’altra?”.
È dunque più che mai attuale la riflessione sulla Chiesa condotta da Montini; “e più ancora è prezioso afferma papa Ratzinger – l’esempio del suo amore per lei, inscindibile da quello per Cristo. Il mistero della Chiesa – leggiamo sempre nell’Enciclica Ecclesiam Suam – non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev’essere un fatto vissuto”. Papa Benedetto non si ferma qui nel ricordo del suo predecessore che ha portato a conclusione il Vaticano II. Ne ripropone il pensiero sul celibato sacerdotale – è dono che avvicina a Cristo che ha offerto tutto se stesso per la Chiesa. Ne ricorda l’attenzione con la quale guardava alle difficoltà del post-Concilio che si sommavano con i fermenti del mondo giovanile. È il 1978 e Montini, ai seminaristi lombardi, sottolinea come in molti si attendessero “gesti clamorosi, interventi energici e decisivi” e sostiene di non dover seguire “altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta. Non si tratta di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione che Gesù ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza. Anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera”.
La formazione dei giovani costituisce poi una costante nel pensiero e nell’azione di Montini: “Viviamo in tempi nei quali si avverte una vera emergenza educativa. Formare le giovani generazioni, dalle quali dipende il futuro, non è mai stato facile […] si vanno diffondendo un’atmosfera, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona, del significato della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Eppure si avverte con forza una diffusa sete di certezze e di valori”. Generazioni di giovani universitari hanno trovato in Montini assistente della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici, “un punto di riferimento, un formatore di coscienze, capace di entusiasmare, di richiamare al compito di essere testimoni in ogni momento della vita, facendo trasparire la bellezza dell’esperienza cristiana”. Per papa Montini il giovane va educato a considerarsi come persona e non numero nella massa; va aiutato ad avere un "pensiero forte" capace di un "agire forte". Con coraggio, “indicò la strada dell’incontro con Cristo come esperienza educativa liberante e unica vera risposta ai desideri e alle aspirazioni”.
Da “vecchio amico dei giovani”, come si definiva, Montini “sapeva riconoscere e condividere il loro tormento quando si dibattono tra la voglia di vivere, il bisogno di certezza, l’anelito all’amore, e il senso di smarrimento, la tentazione dello scetticismo, l’esperienza della delusione”. Diceva: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”.

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