sabato 3 gennaio 2009
Sydney, la Gmg ha portato frutto. Cresce la comunità cattolica australiana (Scavo)
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Sydney, la Gmg ha portato frutto
Cresce la comunità cattolica australiana. «Riuniti dalla Croce»
A sei mesi di distanza, si moltiplicano i momenti di preghiera riflessione e unità «Credevamo di essere minoranza, adesso sappiamo di vivere in una realtà più grande»
DI NELLO SCAVO
Quando il ragazzo aborigeno, sul ponte del vascello che accompagnava il Papa, cominciò a svelare a Benedetto XVI i segreti delle baie più nascoste di Sydney, in mondovisione tutti capirono che il 2008 per l’Australia sarebbe stato da ricordare.
Solo qualche settimana prima il nuovo premier Kevin Rudd aveva chiesto perdono alla comunità indigena per i soprusi inflitti dai bianchi. E a luglio, per la prima volta, bianchi e aborigeni insieme, a dare il benvenuto alla gioventù del mondo.
Sono trascorsi cinque mesi da quelle invernali ma memorabili giornate.
Adesso che è estate, nel continente più lontano il seme della riconciliazione già germoglia.
«Non mi era mai capitato di dormire a casa di un bianco. Ma a Sydney sono stato ospitato da una famiglia di origine scozzese».
Matthew Shields, aborigeno del Victoria, lo stato più a Sud, è rimasto in contatto con gli ’O Brien. «Comunichiamo con la webcam, forse verranno loro a trovarmi qui a Wagga Wagga, naturalmente saranno ospiti della mia famiglia». Gli ’O Brien sono protestanti, «però a luglio mi hanno accolto lo stesso e sono venuti con il nostro gruppo alla Messa del Papa nell’ippodromo di Randwick».
Gli australiani sono fatti così. Pignoli sulle regole del vivere comune, ma di manica molto larga nei rapporti umani. E la storia a volte la fanno le strette di mano. Se c’è qualcuno che dal 20 luglio passa le giornate a ricambiare sorrisi, pacche sulle spalle e a sentirsi dire 'great Jesus' è Alfio Stuto, italiano solo nel nome. «In effetti la Gmg mi ha fatto venir voglia di imparare la lingua dei miei nonni», racconta il venticinquenne un po’ preoccupato da quel sentirsi ripetere «grande Gesù». Perché Alfio fu l’interprete del Nazareno durante la più spettacolare Via Crucis vivente che sia mai stata mandata in onda. Con lui, tra i grattacieli e le spiagge, c’era anche Marina Dixon, «per tutti qui ormai sono la Madonna, e credetemi, è una responsabilità uscire di casa ed essere riconosciuta per Maria». Marina ci scherza su: «Ormai non dico più parolacce, guido piano e non mando più a quel Paese quelli che corrono in auto come pazzi. Che ne direbbe la gente se la ragazza che faceva Maria si comportasse in modo sgradevole?».
I volti di Alfio e Marina sono il segno di una Chiesa che ha saputo spiazzare.
«Adesso molta gente qui in Australia – osserva Stuto – va facendosi l’idea che essere cristiano, e cattolico, significa saper perdonare e saper chiedere perdono, essere generosi ma soprattutto pieni di voglia di vivere». L’esatto opposto del cliché che vuole i giovani credenti cupi e un po’ fuori moda.
Anche a motivo delle colossali distanze, i meeting nazionali erano una rarità. «Così abbiamo finito per credere che siamo in pochi – osserva Daniel Hooper, della diocesi di Wollongong, a sud di Sydney – e ci eravamo rassegnati al nostro ruolo di minoranza». Non è più così. Al corso per 'giovani leader cattolici' che tra un mese comincerà a Sydney sono arrivate iscrizioni da tutti gli Stati, e difficilmente ci sarà posto per tutti. Matt, uno spilungone ossuto che per i riccioli rossi si fa chiamare 'the carrot', ha passato un anno a portare in giro per l’Australia la Croce e l’Icona delle Gmg accompagnate dal portamessaggi aborigeno. «Qualche volta – racconta 'il carota' – i ragazzi delle parrocchie più lontane mi sembravano sperduti, come abitanti di un mondo lontanissimo. Poi li ho rivisti tutti insieme a Sydney, ed è lì che ho capito che finalmente sotto la Croce e l’Icona mariana per la prima volta i cattolici australiani hanno preso coscienza di essere parte di una comunità più grande». Se n’è accordo anche padre John Fowles, il cowboy dei cieli.
Prima della Gmg ha messo su una squadriglia di quattro ultraleggeri che parcheggia nel retro della sagrestia. «Adesso non abbiamo mai tempo per accontentare tutti, voliamo da una parte all’altra del Paese per partecipare a incontri di preghiera, feste diocesane, raduni di ogni genere. Anche questo è un modo per tenere insieme luoghi e persone così distanti».
Da luglio in molte città c’è un appuntamento fisso che fa il tutto esaurito. Una volta la settimana si celebra 'l’Ora Santa'. «Adesso che ho partecipato a un’adorazione eucaristica – confida Joseph – la Messa mi appare diversa».
Poche settimane fa anche Sarah, che vive a Sydney, ha messo piede in una chiesa: «Abbiamo acceso delle candele pregando per un’intenzione particolare». Ogni candela un nome, ogni nome una promessa.
«Attorno al Santissimo Sacramento si è creata una vasta distesa di luce». I detrattori della Gmg alla vigilia parlavano di «gregge timido e sperduto». Devono ricredersi.
© Copyright Avvenire, 31 dicembre 2008
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