venerdì 8 maggio 2009

Le speranze della comunità cristiana in Giordania (Radio Vaticana)


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Le speranze della comunità cristiana in Giordania

Sull’arrivo del Papa ad Amman ascoltiamo, al microfono di Pietro Cocco, mons. Salim Sayegh, vicario patriarcale latino per la Giordania e fondatore del Centro Regina Pacis per la riabilitazione dei disabili, prima tappa della visita di Benedetto XVI nel Paese:

R. – E’ un sentimento di gioia veramente. Siamo felici di ricevere il Santo Padre perché per noi significa ricevere San Pietro.

D. – Il Papa viene anche come ospite del Re...

R. – Questo suo essere ospite del Re ci riempie di gioia, perché il Re ci rappresenta tutti.

D. – Il Papa si fermerà qui in Giordania quattro giorni, una visita molto articolata. Quali sono gli aspetti principali, a suo giudizio, degli appuntamenti che il Papa ha qui ad Amman?

R. – Prima di tutto incontrerà i poveri dei poveri della Giordania, i portatori di handicap nel Centro Nostra Signora della Pace, ed avrà una parola da dire loro. Lì incontrerà anche i giovani, perché il Centro è sia per i disabili che per i giovani. I nostri giovani in Giordania si sentono molto felici, perchè loro che partecipano alla Giornata Mondiale della Gioventù sono coscienti che è il Santo Padre a venire da loro e non loro ad andare da lui. Hanno preparato una bella lettera da presentare al Santo Padre.

D. – Ci sarà anche una visita alla Moschea Al-Hussein Bin Talal di Amman e un incontro con i capi religiosi musulmani...

R. – La visita alla Moschea riflette quel che vive la Giordania: una vita pacifica. Viviamo insieme ai fratelli musulmani da centinaia di anni. La visita del Santo Padre riflette anche il suo desiderio che tutti vivano in pace nella diversità e nell’accettazione gli uni degli altri.

D. – La Giordania in questi anni è stata molto accogliente nei confronti dei profughi, dei rifugiati, con un impegno in prima fila anche della Caritas della Giordania...

R. – Quando c’è stata la guerra in Palestina, nel 1947-1948, è la Giordania che ha ricevuto i profughi. E adesso in Giordania ci sono tanti campi di profughi palestinesi, che rimangono lì, aspettando una soluzione pacifica giusta e legale per la loro questione. Ci sono anche iracheni, che sono non meno di 600-700 mila, e tra di loro ci sono non meno di 25-30 mila cristiani.

D. – Mons. Sayegh, quali le preoccupazioni, le attese per il futuro, principali della comunità cristiana?

R. – Per la comunità cristiana della Giordania la prima cosa è educare cristianamente i giovani, la gioventù, perché loro riflettono la Chiesa del futuro. Noi oggi non possiamo educare i giovani come siamo stati educati 40-50 anni fa, altrimenti la nostra educazione rimarrà esteriore e non toccherà veramente l’anima. Quindi, dobbiamo portarli alla convinzione della loro fede, della loro missione, in questo mondo musulmano, per dare veramente la bella testimonianza di Gesù Cristo.

Sulle principali sfide per la comunità cristiana giordana, Pietro Cocco ha intervistato Adelheid Durk, responsabile di uno dei progetti umanitari della Caritas Giordania:

R. – Penso che sia il lato economico senz’altro ma anche, soprattutto, la pace perché, essendo una minoranza, rimane sempre un po’ la paura che un domani vada via il re e che vengano gli integralisti. E dopo, cosa ne sarebbe di noi? Questo è sempre un grande interrogativo però c’è sempre anche la speranza, senz’altro, che continui anche il lavoro di creare questi rapporti anche con gli altri perché bisogna convivere, non si può rimanere per sempre gli uni contro gli altri.

D. – Anche la visita del Papa va in questa direzione, proprio della cooperazione, della convivenza pacifica; verrà anche a confermare il cammino del dialogo interreligioso...

R. – Sì. Comunque la Giordania è un Paese molto aperto. Anche il re e tutta la famiglia reale sono molto aperti e molto pro-cristiani e si sente l’importanza dei cristiani, considerati il “lievito nella pasta”. I cristiani sono molto richiesti anche nei lavori perché sanno che lavorano bene e con coscienza. Certo ci sono un po’ di problemi ma sono cose che capitano. In generale però, è un Paese aperto in cui veramente convivono pacificamente cristiani e musulmani.

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