domenica 21 giugno 2009

La salvezza dei «fratelli» al centro della spiritualità sacerdotale di padre Pio (Osservatore Romano)


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La salvezza dei «fratelli» al centro della spiritualità sacerdotale di padre Pio

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di Francesco Castelli

Il 2008 è stato un anno di eccezionale importanza per la conoscenza di padre Pio da Pietrelcina. La pubblicazione di due documenti ha svelato aspetti umani e mistici del cappuccino inediti e di profondo significato. Nel febbraio 2008 è avvenuta la scoperta di una nuova lettera, la terza, del vescovo vicario capitolare a Cracovia Karol Wojtyla al cappuccino, nella quale il futuro Pontefice chiedeva a padre Pio di pregare questa volta anche per lui e per la propria difficile situazione pastorale.
Poi, è seguita la pubblicazione degli atti della prima visita apostolica del Sant'Uffizio, compiuta nel giugno 1921, per otto giorni, lunghi e intensi, dal vescovo di Volterra Raffaello Carlo Rossi, futuro cardinale. Un confronto netto e serrato, ma anche equilibrato, durante il quale padre Pio fu chiamato a rispondere su tutti gli aspetti della sua vita, da quelli più semplici della quotidianità fino alle pieghe più intime della sua vita interiore e mistica.
Le risposte del frate, ben 142, trascritte e inviate sub secreto al Sant'Uffizio, offrono oggi un elemento fondamentale per conoscere la spiritualità sacerdotale di questo grande santo del xx secolo: il racconto preciso e dettagliato della stimmatizzazione e con esso della missione a lui affidata dal Signore.
Che cosa accadde dunque quella mattina del 20 settembre 1918, quando padre Pio, dopo aver celebrato la messa, si ritirò in preghiera? Quale missione fu affidata al giovane sacerdote di San Giovanni Rotondo? Padre Pio, com'è noto, era stato sempre restio nel parlare di quel giorno e di quello speciale incontro. "Un misterioso personaggio", così diceva, gli era apparso e gli aveva impresso i segni della passione.
Ora, invece, la pubblicazione degli atti dell'inchiesta ha svelato il contenuto e le stesse parole di quell'incontro. È lo stesso padre Pio a riferirne, sotto giuramento, a monsignor Rossi, a tre anni di distanza dai fatti. La mattina di quel 20 settembre "vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi (sic) della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da Lui favoriti. Di qui si manifestava che Lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua passione. M'invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a Lui che cosa potevo fare. Udii questa voce: "Ti associo alla mia passione". E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo".
In padre Pio, dunque, l'affidamento della missione di "occuparsi della salvezza dei fratelli" era stato indissolubilmente legato con l'annuncio delle sofferenze in unione a Cristo: "Ti associo alla mia passione". Da quel giorno - come in parte già avveniva - quel "Ti associo alla mia passione" era divenuto la ragione della sua vita e del suo amore.
Era cresciuto in lui uno speciale amore per i suoi fratelli. Era come un fuoco che gli bruciava nel petto. Proprio parlando di ciò al suo padre spirituale ebbe a dire: "Per i fratelli (...) quante volte, per non dir sempre, mi tocca dire a Dio giudice, con Mosè: o perdona a questo popolo o cancellami dal libro della vita. Che brutta cosa è vivere di cuore! Bisogna morire in tutti i momenti di una morte che non fa morire se non per vivere morendo e morendo vivere".
Padre Pio si trovò, così, per tutta la vita, ad ascoltare un numero straripante di confessioni, ad avere una personale esperienza della consistenza del male causato dal peccato, della distruzione che esso provoca nel cuore dell'uomo, della necessità che esso sia smaltito, "smaltito con l'amore". Per questo "Ti associo alla mia passione" divenne un elemento caratterizzante la sua fisionomia spirituale di sacerdote nel quale percepì l'indole esigente delle purificazioni di Dio e la fecondità dell'amore sofferente che egli, come sacerdote, poteva offrire al Signore.
Da allora non si allontanò né spiritualmente né fisicamente dal confessionale. Monsignor Rossi apprese che padre Pio vi rimaneva fino a sedici ore al giorno. Domandare il perdono al Signore, aiutare i fratelli nella conversione spirituale divenne - con puntuale fedeltà verso l'invito di quel 20 settembre 1918 - l'imperativo della sua esistenza. La sua domanda di perdono per i fratelli, gli ricordava "Colui che per il perdono ha pagato il prezzo della discesa nella miseria dell'esistenza umana e della morte in croce".
Nascevano così in lui la gratitudine per l'amore sofferente del Signore - e questo spiegava la sua preghiera continua, notte e giorno, senza cessare - e poi la gioia di associarsi alla sua passione. Per questo scriveva: "Sì, io amo la croce, la croce sola: l'amo perché la vedo sempre alle spalle di Gesù: (...) Deh, padre mio, compatitemi se tengo questo linguaggio; Gesù solo può comprendere che pena sia per me, allorché mi si prepara davanti la scena dolorosa del Calvario".
Sacrifici subiti, incomprensioni, ostilità: tutto accolse pur di essere fedele al quel dono oneroso di domandare perdono per gli altri e di ottenere la gioia dell'amicizia con Dio per i suoi fratelli. Altre sofferenze non andò a cercarle. Anzi, a fronte di una richiesta del visitatore che gli domandava quali mortificazioni al di fuori di quelle prescritte facesse per fugare ogni dubbio, gli rispose. "Non ne fo: prendo quelle che manda il Signore".
"Ti associo alla mia passione" divenne così per il sacerdote padre Pio un modo tutto nuovo con il quale capire le parole del Signore: "Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me" (Giovanni, 12, 32). Anch'egli, da quando venne stimmatizzato, iniziò ad attirare molti non a sé, ma al Signore e al suo amore. A molti, a moltissimi ottenne guarigioni fisiche ma a molti di più quelle dell'anima. "Sono pronto a tutto - diceva - purché Gesù sia contento e mi salvi le anime dei fratelli, specie quelle che egli mi ha affidate" (18 dicembre 1920).
Da allora tanti divennero suoi figli spirituali, numerose furono le grazie, numerosissime le conversioni. I molti che facevano ricorso a lui, andavano via soddisfatti, spiritualmente aiutati e umanamente soccorsi. Proprio con la sua disponibilità d'amore ad associarsi alle sofferenze del Signore, padre Pio verificò visibilmente nella conversione e crescita spirituale dei suoi figli che con "Gesù entra gioia nella tribolazione". Così egli mostrò che "non c'è amore senza sofferenza" - "l'amore si conosce nel dolore", scriveva - e che con l'amore sofferente egli poteva, in un mondo in cui la menzogna è potente, dare pubblica testimonianza di fedeltà all'amore e proprio così alla vera gioia.
In tale maniera il frate di Pietrelcina divenne un vero sacerdote del Signore. Offerente della Vittima divina e vittima egli stesso, colpiva i suoi discepoli e visitatori proprio per il personale e spirituale coinvolgimento durante la messa, piena realizzazione della sua spiritualità sacerdotale.
Sono molte le testimonianze di quanti lo ricordano in modo indelebile sull'altare. Giovanni Paolo II, menzionando la sua personale esperienza nel vederlo celebrare, ebbe a scrivere espressioni vive e forti: "Ho partecipato alla santa messa (di padre Pio), che fu lunga e durante la quale si vide la sua faccia che soffriva profondamente. Vidi le sue mani che celebravano l'Eucaristia; i luoghi delle stigmate erano coperti con una fascia nera. Tale evento è rimasto in me come un'esperienza indimenticabile. Si aveva la consapevolezza che qui sull'altare, a San Giovanni Rotondo, si compiva il sacrificio di Cristo stesso, il sacrificio incruento e, nello stesso tempo, le ferite sanguinose sulle mani ci facevano pensare a tutto quel sacrificio, a Gesù crocifisso. Questo ricordo dura fino a oggi e, in qualche modo, fino a oggi ho davanti agli occhi quello che allora vidi io stesso".
La qualità liturgica della celebrazione di padre Pio che colpiva tutti, perfino il futuro Papa, manifestava un vero cammino interiore di graduale assimilazione a Cristo, nel dolore e nella gioia, nella morte e nella risurrezione, nell'ubbidienza e nella libertà vera. In definitiva, in lui il "sì" alla croce e alle sofferenze permesse dal Signore divenne la via ordinaria della sua gioia e di una più profonda amicizia con Cristo come suo sacerdote.
I suoi figli spirituali dicevano e dicono di aver continuato negli anni a vedere nel suo viso qualcosa di angelico e straordinariamente sereno, nonostante la sofferenza da lui vissuta nel corpo attraverso le stimmate, e, spiritualmente, per la conversione dei peccatori.
Gioia e dolore, sofferenza e beatitudine furono e rimasero così in lui due tratti costitutivi del volto spirituale di sacerdote, proprio come Gesù che per la sua bellezza paradossale è "il più bello dei figli dell'uomo" (Salmo, 44, 3) e allo stesso tempo colui che "non ha bellezza né apparenza; l'abbiamo veduto: un volto sfigurato dal dolore" (Isaia, 53, 2).
Proprio parlando della paradossale bellezza di Gesù, il cardinale Joseph Ratzinger scrisse: "Colui che è la Bellezza stessa si è lasciato colpire in volto, sputare addosso, incoronare di spine, la Sacra Sindone di Torino può farci immaginare tutto questo in maniera toccante. Ma proprio in questo Volto così sfigurato appare l'autentica, estrema bellezza: la bellezza dell'amore che arriva "sino alla fine" e che, appunto in questo, si rivela più forte della menzogna e della violenza".
Proprio di tale bellezza il sacerdote padre Pio ha dato testimonianza alla Chiesa e al mondo facendo della paradossale bellezza di Gesù la sua spiritualità sacerdotale.

(©L'Osservatore Romano - 21 giugno 2009)

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