mercoledì 5 agosto 2009

Mons. Ranjith: "Forse a volte ho usato toni un po’ for­ti, ma sinceramente non mi pento di quanto ho detto sulla situazione attuale della liturgia"


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Ranjith: cattolici ponte di pace fra cingalesi e tamil

L’ex segretario del dicastero per il Culto divino oggi fa il suo ingresso da arcivescovo a Colombo

«Nell’azione di Benedetto XVI si coglie l’intima connessione fra rinnovamento della Chiesa e rinnovamento della vita liturgica»

DA ROMA GIANNI CARDINALE

«Sono onorato che papa Benedetto mi abbia scel­to come nuovo arcive­scovo di Colombo, la capitale della mia patria, in questo momento par­ticolare della sua storia. Così come fui onorato quando tre anni e mezzo fa mi chiamò di nuovo qui a Roma per essere suo collaboratore nella Curia romana nel campo – che gli sta così tanto a cuore – della liturgia».

L’arcivesco­vo Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don ha accolto con grande serenità la nomina, pubblicata il 16 giugno, ad arci­vescovo di Colombo, nello Sri Lanka. Per Ranjith infatti si trat­ta di un ritorno alle origini (vedi box). Il 10 luglio Benedetto XVI lo ha ricevuto in udienza. Oggi prenderà possesso del­la diocesi: Avvenire lo ha intervistato alla vigilia della partenza per Colom­bo.

Eccellenza, la nomina ad arcivesco­vo di Colombo avviene in un mo­mento delicato della storia del Pae­se...

In effetti si è appena concluso il con­flitto che per circa trent’anni ha tra­vagliato il Paese. A causa dell’intran­sigenza mostrata dai ribelli e della dif­ficoltà di trovare una soluzione ac­cettabile da tutte e due le parti, il go­verno ha preso la decisione di farla fi­nita una volta per sempre liberando i territori occupati dagli stessi ribelli ta­mil dal loro controllo. Il Paese era stufo di questa situazione e non po­teva permettere un tipo di 'governo' parallelo illegittimo in una parte di esso. Capisco quindi l’euforia e l’or­goglio che il governo, il presidente e il Paese stesso hanno manifestato. Si è avuto la sensazione che un’epoca tragica è finita. Ma allo stesso tempo tutti capiscono che ciò non significa necessariamente una pace vera e du­ratura. Un conto è vincere una guerra, un altro guadagnare la vittoria dei cuori. È qui che sarà neces­sario un processo per ricostruire l’ar­monia tra le due et­nie, i cingalesi e i ta­mil.

Lei conosce da tem­po il presidente sri­lankese, con cui ha un rapporto di stima reciproca...

Questo è vero, e credo che lui proprio ha bisogno dell’appoggio e della gui­da spirituale dei rappresentanti delle varie religioni per effettuare questo cambio culturale in modo che le va­rie etnie e religioni possano convive­re pacificamente in una nuova so­cietà. Ci sono diversi gruppi di inte­gralisti che non vogliono vedere nel paese una società pluriculturale. So­no abbastanza potenti ed anche be­ne organizzati.

Che ruolo potrà avere la Chiesa cat­tolica dello Sri Lanka nel processo di pacificazione che lei auspica?

La Chiesa ha già un ruolo importan­te, perché è presente sia tra la mag­gioranza cingalese della popolazione – che è in modo predominante di re­ligione buddista – che nella mino­ranza tamil – che è piuttosto di reli­gione induista. Con questo non vo­glio dire che quello tra cingalesi e ta­mil sia un conflitto di natura religio­sa, ma è indubbio che l’elemento re­ligioso vi gioca un ruolo importante. Questa divisione costituisce una nuo­va sfida per le stesse religioni: la sfida di dover superare le barriere etniche. La Chiesa ci è riuscita meglio e perciò potrà essere di aiuto, forse come un ponte interetnico.

Questo ruolo di mediazione della Chiesa cattolica è apprezzato dalle autorità civili?

Sì, il potere politico ha sempre ap­prezzato questo ruolo pacificatore della Chiesa cattolica.

E da quelle religiose?

Normalmente anche i capi religiosi indù e buddisti sembrano apprezza­re il nostro lavoro di pacificazione e di mediazione. Non nascondo però il fatto che esistono alcuni settori del­l’intellighenzia buddista che ci guar­dano con sospetto. Sono gli stessi set­tori che da tempo propugnano la pro­mulgazione di una legge contro le conversioni. Loro vedrebbero come fumo negli occhi un aumento di pre­stigio della Chiesa cattolica legato ad un nostro ruolo di mediazione tra le due etnie.

Eccellenza, dopo tre anni e mezzo la­scia l’incarico di segretario della Con­gregazione per il culto divino...

Rimango profondamente grato al Pa­pa per avermi chiamato a Roma per collaborare con lui in un campo de­cisivo come quello della liturgia.
In questi anni ho avuto la gioia di poter vivere da vicino l’azione del Papa e la sua insistenza sul rinnovamento del­la Chiesa intimamente connesso al rinnovamento della vita liturgica.

Come si è trovato nel suo lavoro nel­la Congregazione?

Ho avuto modo di lavorare con due porporati – Francis Arinze prima e An­tonio Canizares Llovera da alcuni me­si – veramente all’altezza della situa­zione. Ho cercato in questi pochi an­ni di assicurare che ci sia più dibatti­to e riflessione su quegli aspetti della liturgia che sfortunatamente sono stati messi ai margini ma che di fatto appartengono all’essenziale, come anche indicato nei vari scritti in ma­teria del Papa. Per quanto riguarda il futuro poi sono certo che con il car­dinale Canizares la liturgia della Chie­sa è veramente in buone mani.

E nella Curia romana?

Come è noto in tutto ho passato otto anni nel servizio della Santa Sede. Questa esperienza mi ha arricchito tanto, allargando gli orizzonti e fa­cendomi gustare il mistero di quel le­game intimo tra la Chiesa ed il Signore e la Sua azione santificatrice per mez­zo di essa, spesso nel silenzio, con pa­zienza e nonostante le difficoltà, o­stacoli e diversità di vedute umane che travolgono anche i suoi discepo­li.

Non si è pentito di alcune dichiara­zioni rilasciate in passato e che sono sembrate troppo critiche nei con­fronti della situazione attuale della vita liturgica della Chiesa e troppo positive riguardo al mondo tradizio­nalista legato ai cosiddetti riti pre­conciliari?

Forse a volte ho usato toni un po’ for­ti, ma sinceramente non mi pento di quanto ho detto. La storia e il Signo­re mi giudicheranno.

Dopo l’esperienza romana con qua­le spirito torna nel suo Paese?

Con grande speranza, perché credo che la Chiesa cattolica ha una grande missione per il futuro del mondo e dell’Asia in particolare. E in questa missione affidata a noi come Chiesa, il ruolo del Papa è fondamentale. Lui è Pietro e per noi cattolici è il vicario di Cristo. Egli rappresenta per noi il ruolo guida di Cristo stesso nella sto­ria , la sua sollecitudine per la salvez­za del mondo. È proprio per questo che i fedeli, soprattutto i più sempli­ci vogliono tanto bene al Papa. È con questa umile certezza che torno con letizia nel mio Paese dove i cattolici a­mano e pregano sempre per il Papa. Sperando di poterlo accogliere se – come si sente dire – davvero deciderà di fare un viaggio pastorale in Asia.

© Copyright Avvenire, 5 agosto 2009

I miei piu' sinceri complimenti a Mons. Ranjith per la schiettezza e l'onesta'.
La curia romana perde un collaboratore di primissimo livello ed e' sinceramente un peccato...
La frase sulla curia stessa e' illuminante.
Buon lavoro, Mons. Ranjith
!
R.

6 commenti:

Antonio Fais ha detto...

Un grande vescovo se ne va e alla Curia Romana rimangono i...soliti burocrati del se,del ma, del forse e del perché!
Consiglierei al Santo Padre di abolire ex abrupto il mostruoso Messale di Bugnini!
Ma Gerusalemme...è desolata!

don Marco (liturgista) ha detto...

bono quello di Pio V
vabbè vah

Anonimo ha detto...

crollo delle vocazioni,crollo della pratica religiosa.
sì bono quello di pio v

Antonio Fais ha detto...

Per don Marco(liturgista).
Esiste solo il Messale Romano come quello gallicano, ambrosiano,mozarabico...non mi risulta quello di Bugnini.
Preferirei il Messale tradotto da Scipione de' Ricci...almeno è scritto in un italiano stupendo!
Alla luce della crisi attuale dobbiamo dare qualche ragione anche a Fozio,grande Patriarca di Costantinopoli...in fondo molti suoi rimproveri erano veri.
Diciamolo pure che a furia di manomettere e cambiare la Chiesa Latina ha smarrito in parte il sentiero.

Anonimo ha detto...

Interessante dialogo il vostro.
Bisogna però essere corretti.
Il Messale che definiTO di Bugnini è chiamato ed è il Messale Romano, ora Ordinario.
Prima viene l'obbedienza alla Chiesa e poi le proprie vedute, opinioni ecc.
Possiamo concordare su alcune inopportunità del Messale Romano Ordinario ma esso è il Messale che ci piaccia o no.
Ma vorrei invitare, se possibile, ad evitare affermazioni pesantuccie del tipo:
"Diciamolo pure che a furia di manomettere e cambiare la Chiesa Latina ha smarrito in parte il sentiero."
Uomini di chiesa forse, non la Chiesa, nè tantomeno la Chiesa Latina: la chiesa è corpo mistico di Cristo.
Fede, ci vuole fede e poca ideologia: è ideologia il progressismo, è ideologia il conservatorismo.
La fede non è solo un dono è anche un modo di pensare, di vivere e di parlare.
E'la fede che ci permette di estrarre dallo scrigno il vecchio ed il nuovo.
Quando lo si capirà che il vecchio ed il nuovo hanno pari dignità, e che il loro limite è dato dalla tradizione VIVENTE.
Piero.

Anonimo ha detto...

Perdon Marco,

il Messale di S. Pio V e' l'opera di un grande Santo.
Un Rito sublime al di la' del tempo e della storia.
Quello di Paolo Vi non e' certo invalido, ma e' frutto dell'eccessiva fiducia di chi vuole fare tutto dall'uomo e per l'uomo.
I risultati sono gli occhi di tutti. Non solo gli abusi ma il quotidiano abisso della banalita' e del fraintendimento.

Francesco