mercoledì 4 novembre 2009

Un leader “uniter”. Non per i cattolici (Massimo Faggioli)


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GRANDIOSA CATECHESI DEL SANTO PADRE SUL RUOLO DEI TEOLOGI :-)

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Questa sì che è bella ma veramente bella! Da non credere: Repubblica arriva a scrivere che la Merkel è "dichiaratamente cattolica"!

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L’inutile Europa ci toglie pure il crocifisso

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LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte quinta (a cura di Gemma)

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Riceviamo e con piacere pubblichiamo:

Un leader “uniter”. Non per i cattolici

Le aspettative dei fedeli della chiesa di Roma sono esigenti e divergenti

Massimo Faggioli

L’elezione di Obama ha confermato la regola che – almeno da Jimmy Carter in poi – solo un “cristiano rinato” può essere eletto pontefice massimo della civil religion americana.
Ma il 4 novembre 2008 ha anche sottolineato la rilevanza politica dell’elettorato cattolico (le cui fila aumentano di anno in anno e non solo per effetto dell’immigrazione) e allo stesso tempo lo straniamento politico dei vescovi cattolici (i cui appelli al voto pro-life per il ticket repubblicano McCain-Palin sono stati in buona parte ignorati). Tuttavia, se la parte più liberal del cattolicesimo americano aveva sperato nella fine della “cattività repubblicana” del cattolicesimo statunitense, a un anno dall’elezione è chiaro che l’uscita da quella fase comporta una lacerazione sempre più evidente all’interno della chiesa. Anche perché l’epoca della culture war in America è tutt’altro che conclusa.
Il bilancio degli investimenti politici compiuti dalla gerarchia americana nel trentennio trascorso tra Reagan e G.W.
Bush è tutt’altro che esaltante. La gerarchia cattolica si è ritrovata a pagare con gli interessi l’assegno in bianco che i vescovi avevano staccato (nel 2000, ma specialmente nel 2004) al Partito repubblicano di G.W. Bush, Dick Cheney e Karl Rove di fronte alla promessa di un’amministrazione fermamente pro-life e antiabortista: ma il dibattito sull’aborto non ha mosso un passo, ed è anzi diventato una bandiera usata in modo disinvolto da entrambe le sponde, pro-life e pro-choice; il tessuto delle famiglie americane è più fragile che mai; le disuguaglianze sociali sono sempre maggiori; la politica estera dell’era Bush rappresenta un’eredità a dir poco problematica per la geopolitica della chiesa di Roma.
Per questo le aspettative dei cattolici americani dalla presidenza Obama sono quanto mai esigenti e divergenti. Ma le fratture non sono solo interne alla chiesa americana. La rapida successione tra il “caso Notre Dame” e la visita resa da Obama a Benedetto XVI il 10 luglio ha anche mostrato alcune fratture tra le posizioni del Vaticano da un lato e dei vescovi americani dall’altro.
Se questi ultimi hanno mostrato una sostanziale incapacità culturale e spirituale di confrontarsi con la “generazione Obama” e con la gravissima crisi economica, il Vaticano di papa Ratzinger ha tentato di cogliere il momento e le sue opportunità, con il lancio dell’enciclica sociale nell’occasione del G8 dell’Aquila, per mettere in luce la complessità del magistero sociale della chiesa e sganciarlo da un’agenda liberista, occidentalista e neo-con. Su questo tema l’episcopato americano è stato – inopinatamente – “superato a sinistra” da un pontificato, quello di papa Ratzinger, che certamente non aspira a presentarsi come progressista. I vescovi americani non sono riusciti finora a far sentire la loro voce sui temi della giustizia sociale e della solidarietà, della pace e della guerra.
I silenzi dell’episcopato si fanno notare su due nodi che definiranno la presidenza Obama: il dibattito sulla riforma sanitaria e la guerra in Afghanistan. Sulla prima, la voce dei vescovi non ha ripreso la “questione morale” – lanciata da Obama nel suo discorso del 9 settembre alle camere riunite – del diritto di ogni cittadino all’assistenza sanitaria e ha ripiegato su un argomento vagamente solidarista (anche se fermo sul diritto alle cure anche per gli immigrati) e sulla difesa di un principio- base della sanità americana, vale a dire il divieto di pagare qualsiasi interruzione di gravidanza con denaro pubblico. Sulla seconda, la conferenza episcopale non ha ancora deciso se rivedere l’approvazione non ambigua che aveva dato nel novembre 2001 alla guerra contro i talebani.
In questo difficile scenario economico, sociale e internazionale, l’elezione di Obama non ha potuto finora costruire un common ground tra le diverse anime della società americana: lo stile dialogico del presidente sembra aver indirettamente fornito l’occasione per una radicalizzazione delle posizioni all’interno dello stesso cattolicesimo. La laurea honoris causa conferita a Obama dall’University of Notre Dame nel maggio 2009 ha costituito una cartina di tornasole per tracciare un quadro del cattolicesimo americano e delle sue numerose fratture interne: tra le diverse anime politiche, con la tradizionale fedeltà ai democratici messa alla prova da un’anima repubblicana che sembra aver messo solide radici nel cattolicesimo americano; tra una generazione di cattolici più legati all’eredità del Vaticano II e alla ricerca del common ground e una militanza di giovani cattolici intransigente e neo-tradizionalista; tra l’identità tradizionale del cattolicesimo bianco e la multirazzialità del nuovo cattolicesimo in cui ispanici e asiatici costituiscono una minoranza crescente; tra l’episcopato e la gran parte del laicato cattolico.
Il risultato di queste fratture interne alla chiesa rischia di essere l’irrilevanza culturale (più che politica) del cattolicesimo americano rispetto allo “stato dell’unione” – nonostante il fatto che la Casa Bianca goda della stima (se non dell’appoggio) dell’intellettualità cattolica e che ora, dopo l’arrivo di Sonia Sotomayor, siano cattolici sei dei nove giudici della Corte suprema. Il cattolicesimo americano è lacerato da spinte tra loro opposte: il liberal Catholicism guarda a Obama in un momento cruciale per il destino americano; il left Catholicism è deluso da quello che ritiene l’eccessivo moderatismo di Obama; il conservative Catholicism nostalgico dell’era Bush si rifugia nel sogno impossibile della conservazione di un disequilibrio economico e sociale che è al contempo finanziariamente insostenibile e moralmente indifendibile.
In tutto questo, le ultime mosse di Benedetto XVI impediscono a Obama di appoggiarsi politicamente e culturalmente su quella parte della chiesa cattolica che pure ha contribuito a eleggerlo. La “visita apostolica” vaticana contro le religiose americane, il “neo-unionismo” che apre all’ala più tradizionalista della Comunione anglicana, e le trattative con i lefebvriani non aiutano certo il cattolicesimo americano ad evitare il rischio di rientrare nel ghetto da cui era faticosamente uscito tra la Seconda guerra mondiale e gli anni Sessanta.
È un problema per i cattolici, ma anche per gli Stati Uniti del secolo XXI.

© Copyright Europa, 4 novembre 2009 consultabile online anche qui.

Ma perche' fanno tanto paura la visita apostolica alle suore "liberal, l'accordo con gli anglicani ed il possibile rientro dei Lefebvriani? Non dovrebbe esserci posto per tutti nella Chiesa?
Comunque la "batosta" subita ieri da Obama alle prime elezioni dopo il suo arrivo alla Casa Bianca, dimostra che non serve godere dell'appoggio dei media internazionali, apparire tutti i giorni in tv e vincere un prematuro premio nobel. Contano i fatti, non le promesse
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R.

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