sabato 17 gennaio 2009
Oggi pomeriggio alle 18 nella Cappella Sistina ci sarà il concerto in onore di Mons. Georg Ratzinger, fratello del Santo Padre
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Grandiosità e contraddizioni della Messa in do minore
Il voto incompiuto di Mozart
Sabato 17 alle 18, nella Cappella Sistina, alla presenza di Benedetto XVI si terrà un concerto in occasione dell'ottantacinquesimo compleanno di monsignor Georg Ratzinger, Maestro di Cappella emerito del Duomo di Ratisbona. In programma la Messa in do minore K. 427 di Wolfgang Amadeus Mozart.
di Marcello Filotei
La Messa in do minore K. 427 di Mozart è una composizione schizofrenica. Una costruzione monumentale che mette uno accanto all'altro stili ed esigenze diverse, apre al futuro senza chiudere al passato, affianca momenti immortali a passaggi non memorabili. Un concentrato di contraddizioni fin dalla sua ideazione.
Quella che viene chiamata anche Missa solemnis in realtà non è una messa, sia perché è rimasta incompleta, sia perché - a differenza di quelle che la precedono nel catalogo mozartiano - non segue i canoni dell'apparato religioso ufficiale. Il ventisettenne compositore, evidentemente, non riusciva più a comprimere la propria ansia di sperimentazione entro i limiti di una struttura predefinita, anche quando, come in questo caso, scriveva per adempiere a un voto fatto affinché la futura sposa Constanze guarisse e lo potesse finalmente sposare.
"A proposito dell'obbligo morale del voto - scrive Mozart al padre il 4 gennaio del 1783 - non vi è nulla di più giusto. (...) Ho fatto realmente una promessa dal profondo del cuore e spero vivamente di poterla mantenere. Quando l'ho fatta mia moglie era ancora sofferente; ma essendo fermamente convinto che l'avrei sposata non appena guarita ho potuto facilmente fare la promessa. Il fatto e le circostanze hanno impedito, come Lei sa, il nostro viaggio; ma a testimonianza del mio voto c'è la partitura di mezza Messa sullo scrittoio, e essa offre le migliori speranze di poterla portare a compimento".
La ragazza guarì presto e il 4 agosto 1782 convolò a nozze con Mozart a Vienna; il giorno dopo arrivò l'agognato consenso del padre Leopold da Salisburgo, ma la messa, che attendeva "solo di essere terminata", rimase incompiuta.
La partitura era destinata al pubblico e agli esecutori di Salisburgo, come testimonia l'assenza in orchestra dei clarinetti, non ancora in voga in quella città, ma l'indifferenza verso i canoni della tradizione salisburghese fu assoluta. Ancora una volta le intenzioni dichiarate, magari per convenienza sociale, non corrispondono all'esito finale: l'artista non accetta più nessun tipo di vincolo estetico.
Della partitura che appena arrivato a Salisburgo presenterà al padre come in dirittura d'arrivo, nel luglio del 1783 Mozart aveva in realtà completato solo il Kyrie e il Gloria. Il Sanctus, il Benedictus e il Credo erano in fasi più o meno avanzate, l'Agnus Dei era ancora da iniziare e non lo sarà mai.
Le speranze di eseguire l'opera nella cattedrale di Salisburgo si scontrarono, pare, con la volontà contraria dell'arcivescovo Colloredo, che forse non aveva ancora digerito i contrasti che qualche anno prima aveva avuto con il compositore. La prima assoluta fu dirottata nell'abbazia benedettina di San Pietro. La partitura fu rimpolpata con altre composizioni sacre che andarono a colmare i vuoti. Uno dei soprani fu la stessa Constanze, come conferma in qualche modo il diario della sorella di Mozart, Nannerl: "Il 23 alle 8, nella casa della cappella, prova della messa di mio fratello, in cui mia cognata canta gli "a solo"". Dopo quella data il compositore non ci tornò più su. La lasciò così com'era, con le sue contraddizioni che la rendono unica.
La schizofrenia compositiva si concretizza in una sorta di continua giustapposizione tra grandiosi episodi corali e parti affidate ai solisti (due soprani, tenore e basso) che rimandano a uno stile giovanile intimo, presto definitivamente superato. Il taglio arcaico del Kyrie e le maestose fughe del Gloria sembrano cozzare contro il ripiegamento intimista del Christe eleison, del Laudamus te o dell'Et incarnatus est che conclude il Credo. Inoltre a momenti di grandissima ispirazione, si contrappongono passaggi "su cui giace la polvere d'uno stile abbondantemente superato" (Abert).
Storicamente questo "miracolo non spontaneo ma intensamente sentito", come lo definisce Witold, viene considerato un ideale collegamento tra Messa in si minore di Bach e la Missa solemnis di Beethoven, che aprirà strade diverse. Ma la sua caratteristica principale, che la distingue dalla precedente produzione sacra dell'autore, è la tendenza al monumentale che, come spiega ancora Abert, ha un precedente solo nel Kyrie di Monaco (K. 341). Mozart, però, riesce a fondere questa propensione alla grandiosità usando una dolcezza particolare, una sorta di tenerezza, di malinconia nostalgica, che richiama uno degli elementi più rilevanti della sua poetica. La felice coincidenza di queste due tendenze, una sorta di schizofrenia risolta, rende quest'opera uno dei momenti più alti della produzione sacra di Mozart, superata solo sul filo di lana della vita dal celebre Requiem, pure quello incompiuto.
(©L'Osservatore Romano - 17 gennaio 2009)
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