lunedì 8 giugno 2009

Paolo VI, dal mosaico della grande storia esce l’audacia di un Papa: il libro di Andrea Tornielli (Roncalli)


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BIOGRAFIE

Paolo VI, dal mosaico della grande storia esce l’audacia di un Papa

di Marco Roncalli

La biografia definitiva di Paolo VI?
No. Si potrà scrivere quando saranno completamente accessibili gli archivi della Santa Sede – e non solo – in relazione al periodo in Segreteria di Stato e al pontificato. Nel frattempo però, costituitosi – accanto all’archivio della segreteria dell’arcivescovo Montini – un eterogeneo corpus documentario non indifferente (atti di governo, magistero, note personali, carteggi, eccetera), è possibile ben più di una ricognizione biografica.
Soprattutto se chi si misura con questo materiale, ha già un quadro della Chiesa del ’900, conosce bene chi del futuro Papa fu a lungo punto di riferimento (leggasi cardinale Pacelli poi Pio XII), ha sentito gli ultimi testimoni ed è riuscito a esplorare fondi 'paralleli'.
Parliamo di Andrea Tornielli, in libreria con il suo poderoso Paolo VI. L’audacia di un papa (Mondadori, pagine 728, euro 28), volume che facendo vacillare la tesi del Papa completamente dimenticato (si pensi anche alla fiction del 2008, anno in cui sono uscite altre biografie e vari saggi), evidenzia la complessità del Timoniere del Concilio (titolo di un’opera di Tornielli del 2003), ma anche (per usare le parole di Andrea Riccardi) dell’«autore dello spartito poi suonato da papa Wojtyla».
Nella sua ricostruzione il vaticanista dedica la prima metà del lavoro alle tappe precedenti il papato, la seconda al servizio sulla cattedra di Pietro. Così, setacciando la corrispondenza familiare edita da Nello Vian o recuperando gli studi di monsignor Antonio Fappani, tratteggiando le figure dei padri Giulio Bevilacqua e Paolo Caresana, degli ambienti del Collegio Arici, dell’Oratorio della Pace, del periodico 'La Fionda'…, prima insegue il ragazzo ordinato sacerdote senza passare attraverso il seminario, poi s’incolla a don 'Gibiemme' minutante in Segreteria di Stato ed educatore nella Fuci sino alla cacciata («così che vi fu chi dipinse me all’e.mo cardinale Vicario come anti-gesuita, e perciò come persona da sorvegliarsi in ogni atteggiamento, sia pratico che dottrinale»), per poi osservare il sostituto Montini nelle tre stanze che per diciassette anni – dalla fine del ’37 – furono l’ambiente vaticano delle sue fatiche quotidiane (quelle che facevano dire ad Alfredo Ottaviani: «Ci frega tutti, è una macchina da lavoro!»).
Certo, c’è il fascismo, la guerra, il dopoguerra, la promozione-rimozione a Milano (vissuta come una sconfitta fra sospetti di spionaggio) e c’è l’esperienza dell’«arcivescovo dei lavoratori» alla guida della diocesi ambrosiana. Nonostante il periodare indulgente alla descrizione di eventi, scelte, pronunciamenti, non sono pochi i nodi dipanati dall’autore soprattutto laddove il biografato è stato oggetto di fraintendimenti o approcci ermeneutici divergenti. Si pensi al leit-motiv della sensibilità liturgica e, con altro vello, alla volontà di riformare la liturgia. Si pensi alla Weltanschauung politica. E fa un po’ riflettere, ad esempio, all’inizio del ’63, la sua lettera al vescovo di Novara Gilla Gremigni che gli contesta le posizioni del quotidiano L’Italia di Giuseppe Lazzati: «…come si può dire che sia l’organo d’una corrente politica? Vostra eccellenza sa benissimo che questo giornale non ha nessun vincolo (…). Forse perché esso non ha preso posizione contro la famosa 'apertura a sinistra'? Non ne ha fatto, innanzi tutto, una bandiera; si è limitato, ch’io sappia, a seguire con prudente simpatia, non senza esplicite riserve ed aperta libertà di discussione e di critica, il rischioso, ma - a quanto dicono autorevoli competenti - inevitabile esperimento politico in corso», gli risponde Montini all’inizio del ’63 .
E aggiunge: «Potremo tutti dolerci che la situazione politica sia ridotta a queste pericolose circostanze; ma si può contestare al nostro laicato cattolico (a cui bisogna pur lasciare una certa subordinata libertà di giudizio e di azione, specialmente nelle questioni pratiche e temporali) di desiderare e di operare affinché questa situazione politica non precipiti in rovina e volga invece a buon fine? Finora dagli organi superiori della Santa Sede e della conferenza episcopale italiana sono venuti ordini in contrario?
Verranno? Li seguiremo. Ma dovrebbe un giornale cattolico far ricadere sopra di sé, o sopra i cattolici, o sopra la Chiesa, la responsabilità, vera o attribuita, d’un fallimento dell’esperimento politico in corso, senza positiva previsione di migliorare le sorti né dei cattolici, né del Paese?».
Altre tessere finiscono pure nel mosaico della grande storia: si vedano le meticolose pagine sull’accordo affinché il Concilio non menzionasse il comunismo permettendo la partecipazione degli osservatori ortodossi di Mosca. Con Montini in una dichiarazione di voto, unico a richiamare - condividendole - le parole del cardinale Pietro Ciriaci che aveva detto: «Vorrei che nel futuro Concilio, nel quale deve prevalere la carità, non si odano parole come queste: eretici, scismatici, protestanti, perfidi giudei, comunisti, socialisti.
Certamente non possiamo non essere preoccupati dei grandi pericoli che derivano dal comunismo e anche dal socialismo. Né potrei escludere che si giunga a una qualche condanna da parte del Concilio, ma occorre procedere con molta cautela (…)». La vicenda è ricostruita grazie alle carte del cardinale Tisserant che a Metz nel ’62 aveva incontrato il metropolita Nikodim, fatto decisivo per l’invio degli osservatori al Concilio previe garanzie sulla sua natura 'apolitica' («la Chiesa ci ha sempre guadagnato quando è rimasta nel terreno che le è proprio, che non è quello della politica», scrive Tisserant a Serge Bolshkoff il 22 agosto 1962 dopo l’incontro). Garanzie non ignote a Paolo Vi che, in un appunto del ’65, citerà tra «gli impegni del Concilio» anche quello di «non parlare di comunismo (1962)».
L’indicazione della data non rimandava alla trattativa di Metz?
Quella di Tornielli non è però una biografia solo politica.
La spiritualità e l’ecclesiologia di Montini attraversano parecchie pagine. Quanto basta per disegnare il Papa audace, anche quando in pieno ’68 denunciava quanti avevano tradito 'l’aggiornamento' voluto da Giovanni XXIII trasformandolo in 'cambiamento arbitrario': «Chiesa aperta alla carità ecumenica, al dialogo responsabile e al riconoscimento dei valori cristiani presso i fratelli separati, sì; irenismo rinunciatario alle verità della fede (..), no; libertà religiosa per tutti nell’ambito della società civile, sì; (…); libertà di coscienza, come criterio di verità religiosa, non suffragata dall’autenticità d’un insegnamento serio e autorizzato no».

Andrea Tornielli pubblica un saggio dove ricostruisce la complessa personalità del «timoniere del Concilio», smentendo le tesi di chi ne vorrebbe ridimensionare l’importanza negli sviluppi spirituali, culturali e politici del Novecento, dalla questione liturgica alle evoluzioni dello scenario mondiale, dai rapporti con l’Est europeo alla difesa della libertà religiosa e dei valori cristiani

© Copyright Avvenire, 7 giugno 2009

Andrea Tornielli, "Paolo VI. L'audacia di un papa", Mursia (Gruppo Editoriale), 2009...clicca qui per la descrizione del testo

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