domenica 7 giugno 2009

"Il padre confessore non faccia lo psicologo". Il decalogo del Papa: si è perso il senso del peccato (Corbi e Galeazzi)


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"Il padre confessore non faccia lo psicologo"

Il decalogo del papa: si è perso il senso del peccato

M. CORBI, G. GALEAZZI

ROMA

In Italia solo quattro cattolici su dieci si confessano.
«La Stampa» ha testato, in quindici parrocchie del centro e della periferia di Roma, quale sia lo «stato di salute» del sacramento e se davvero i confessori tendono a trasformarlo in una seduta di psicanalisi giustificando e assolvendo a scapito del «senso del peccato», come ha recentemente denunciato il ministero vaticano per il Clero.
Un colloquio a più voci, con decine di penitenti che hanno sciolto le briglie alle pascaliane «ragioni del cuore» accostandosi al sacramento della riconciliazione. Del resto, «a Roma tutto, proprio tutto, corrisponde a magnificenza: è dietro le grate dei confessionali che si è consolidata la vera fede», argomentava oltre un secolo fa il salesiano August Hlond sui luoghi privilegiati della conversione nella città eterna, ossia gli angoli delle chiese romane dove nel silenzio si ricerca «conforto e consiglio».

Senza la grata

L., 46 anni, due figli e una moglie che ha deciso di dire «basta» con il sesso. Lui non ce la fa a e va a cercarselo fuori, pagando il piacere. Lo ha voluto dire al prete per liberarsi dal senso di colpa, o forse per sfogare tutta la sua infelicità. Il confessore gli ha chiesto se non volesse, per caso, parlarne, senza la grata di mezzo. Un discorso tra uomini, insomma, più che con un prete. «Devi cercare di ritrovare tua moglie, parlale, non metterle ansia, fate una vacanza», i consigli ricevuti da L. che cercava solo un’assoluzione e ha trovato una spalla su cui piangere. Non è andata così a M. giovane donna, una vita senza confessarsi. E poi quel desiderio improvviso, forse di pace, una chiesa del centro storico, un prete giovane («non aveva più di trentacinque anni»): «Non riesco a trattenermi con il cibo. Penso solo a quello. Sono ingrassata di trenta chili e mi faccio schifo».
Ma il confessore non sembrava molto agitato dal peccato di gola, «mi ha detto che era una debolezza da combattere, di farmi vedere da un nutrizionista.
Io volevo più partecipazione, che mi chiedesse cosa mi spingeva a farlo, invece niente, solo una algida comprensione e un consiglio». G. 37 anni, impiegato, un matrimonio fallito alle spalle, confessa «pulsioni omosessuali» e si sente consigliare dal confessore «un aiuto psicologico specialistico».
Nessun accenno al peccato, solo l’invito a «considerare la sua attitudine alla pari di un problema di salute da affrontare con chi ne ha competenza». Quanto alla condotta sul posto di lavoro, rapida assoluzione e nessuna richiesta di ravvedimento per le somme illecitamente intascate per favorire una ditta in cerca di appalti. «Non è tenuto ad autodenunciarsi, però deve rimediare in qualche modo», è la risposta del sacerdote.
Insomma ne risulta che, tra quanti si rivolgono a un sacerdote per liberarsi dei propri peccati e cercare in confessionale il conforto di un’autorità spirituale, molti vivono la confessione come mezzo di autoanalisi.
Il rapporto con il sacerdote, inoltre, si è laicizzato: il fedele si rivolge al confessore non più come giudice dei propri peccati bensì come risolutore di piccoli problemi quotidiani, difficoltà sentimentali, soprattutto nel dialogo tra le mura domestiche. Ci si inginocchia nel confessionale, anche per risolvere problemi di coppia, liberarsi dal fardello di tradimenti coniugali, sfogare la propria insofferenza per la vita all’interno della famiglia, manifestare la propria frustrazione professionale. La confessione, però, viene fatta spesso per motivi egoistici, cioè ci si scarica la coscienza per poi sentirsi meglio nella vita normale.

La privacy

E’ per impedire il reiterarsi di questi abusi che il piano «salva-sacramento» di papa Ratzinger prevede una migliore formazione dei confessori, che devono avere «prudenza, pazienza, saggezza e mitezza».
Il 19 giugno Benedetto XVI apre a San Pietro l’Anno sacerdotale accompagnato dalla pubblicazione del «vademecum» vaticano per rilanciare un sacramento in crisi. L’obiettivo è «dare più motivazione ed entusiasmo verso la confessione».
Il sacerdote sarà tenuto ad accertare la «libertà» del fedele: la confessione deve essere spontanea. Se il confessore intravede che il penitente vorrebbe dire di più ma non riesce, lo può aiutare con domande, ma «con tatto e nel rispetto della privacy».
Le penitenze devono «essere pertinenti al peccato e valutare la situazione del fedele»: mai metterlo in difficoltà. La penitenza per chi ruba o evade tasse deve «bilanciare l’esigenza di restituire ciò che si è sottratto, con quella di non mettere il penitente in condizione di essere individuato». Il confessore, soprattutto, «non deve essere uno psicologo dell’anima, perché la psicologia è portata a giustificare e cercare attenuanti, mentre il senso di colpa resta».
Anche la grata non c’è più: in quasi tutte le chiese il confessionale è una sedia per sedersi a parlare con un prete in una stanza climatizzate e fonoigienica. «Prima l’evasione fiscale o le mazzette non venivano mai confessate, i peccati sociali erano taciuti come un tabù - racconta monsignor Pietro Sigurani, confessore da mezzo secolo -. Ai commercianti o artigiani che non hanno emesso scontrini o ricevute fiscali propongo un’elemosina congrua da fare quando e dove ritengano più opportuno - precisa Sigurani-. Di fronte a furti, malversazioni o corruzione, esorto alla restituzione del maltolto senza doversi autoaccusare. Agli amministratori disonesti cerco di togliere l’alibi, la cattiva coscienza del “lo fanno tutti”. Io lo ripeto sempre, anche se pochi traducono in pratica l’esortazione».

© Copyright La Stampa, 7 giugno 2009 consultabile online anche qui.

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