giovedì 6 agosto 2009

Mons. Paglia: L’enciclica e la nuova utopia: ridare un’anima a economia e politica (Corriere)


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E' NATO IL NUOVO BLOG: I TESTI DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

LA «CARITAS IN VERITATE» DI BENEDETTO XVI

L’enciclica e la nuova utopia: ridare un’anima a economia e politica

di MONSIGNOR VINCENZO PAGLIA*

L’enciclica di Benedetto XVI, Caritas in Veritate, fa riferimento esplicito alla Populorum Progressio di Paolo VI, di cui ricordiamo oggi la scomparsa.
Come l’enciclica montiniana rispondeva ai grandi problemi sociali degli anni Settanta, in maniera analoga Benedetto risponde agli interrogativi aperti dalla globalizzazione che riguardano non solo la qualità dello sviluppo, il senso del progresso, ma la stessa dimensione profonda dell’uomo e del senso della sua esistenza. Benedetto XVI lamenta l’assenza di grandi visioni.
In effetti, siamo entrati nel nuovo secolo senza grandi sogni.
Dopo il crollo delle ideologie non ci sono più grandi visioni né all’interno dei popoli né nel concerto delle nazioni.
Singoli e popoli sono ripiegati a difendere o a promuovere per lo più i propri interessi che sono, appunto, individuali o nazionali, della propria civiltà o della propria etnia, della propria regione o della propria area geografica, e così oltre. La globalizzazione — che si è affermata soprattutto nel mercato più che nella democrazia e nella libertà — richiede un orizzonte di pensiero che ne eviti i danni e ne aiuti le potenzialità di sviluppo per tutti. Oggi molti si sentono come spaesati di fronte ad un mondo troppo vasto e cercano rifugio nel proprio «particolare».
E accade che le scelte prese nei vari livelli decisionali, sia verticali che orizzontali, sono pensate per lo più in orizzonti settoriali senza che lo sguardo sia rivolto al bene comune della polis e tanto meno dell’intera famiglia umana. Di fronte a tale crisi che riguarda l’intero pianeta— quella finanziaria ne è solo un aspetto — Benedetto XVI propone una visione nuova, alta, audace. E esamina la questione sociale non a valle ma dalla sorgente che pone in quella dialettica — tipicamente agostiniana — tra la città di Dio e la città dell’uomo.
Agostino la delineò mentre stava crollando l’impero romano e si apriva una prospettiva nuova e per certi versi ancora sconosciuta. Il Papa sa bene che è un tema caro ad altri Padri della Chiesa, anche se nell’enciclica non sono presenti i riferimenti. Tuttavia pochi mesi fa ha accennato a questo tema ricordando Giovanni Crisostomo, che pone tra i grandi Padri della Dottrina Sociale della Chiesa: «Si trattava di dare un’anima e un volto cristiano alla città.
In altre parole, Crisostomo ha capito che non è sufficiente fare elemosina, aiutare i poveri di volta in volta, ma è necessario creare una nuova struttura, un nuovo modello di società; un modello basato sulla prospettiva del Nuovo Testamento. È la nuova società che si rivela nella Chiesa nascente: la vecchia idea della polis greca va sostituita da una nuova idea di città ispirata alla fede cristiana».
Benedetto XVI, tuttavia, non mette in antitesi la città di Dio con la città dell’uomo e tanto meno ritiene quest’ultima irrilevante. Al contrario, chiede ai cristiani, ed anche a tutti gli uomini di buona volontà, di impegnarsi perché la città dell’uomo sia permeata dei germi della prima perché ne sia fermentata. I due termini, Carità e Verità, rappresentano i pilastri che sorreggono l’intera architettura teorica del testo. La Caritas — secondo il pensiero biblico a cui Benedetto XVI si ispira — esprime l’energia stessa di Dio.
Ed è certo singolare che Benedetto XVI inizi due delle sue tre encicliche proprio con questo termine, Caritas. Non è un caso. E il Papa sa bene che nel linguaggio biblico, caritas è il nome stesso di Dio, come scrive l’apostolo Giovanni: Deus caritas est .
In questo orizzonte va compresa la sua insistenza nel ribadire il riferimento a Dio anche nella sfera pubblica. L’amore è una energia che si muove oltre gli ambiti che pensiamo più legati alla vita religiosa o alla pietas , per comprendere l’intera esistenza umana. E per sua natura comprende le dimensioni del «dono» e della «gratuità».
La caritas non è schiava della reciprocità, va oltre. E come tale deve entrare anche nel processo economico. Affermando perciò che la caritas sta all’origine del processo economico e non solo alla fine, magari in vista della necessaria distribuzione delle ricchezze, non nega il valore del mercato e tanto meno lo depotenzia. Ne sottolinea l’irriducibilità alla sola tecnica per porlo nell’orizzonte morale. Per questo può affermare che la «giustizia» — indispensabile per la società e quindi da difendere ad ogni costo — tuttavia non basta; essa ha bisogno della caritas che la supera.
In questo non si distacca del pensiero sociale di Giovanni Paolo II, nella Centesimus annus , come qualcuno ha commentato. L’altro pilastro, la Veritas, risente della concezione ebraica: essa non è solo «svelamento» ma anche «inveramento», ponendo così una positiva dialettica tra le due dimensioni, Veritas e Caritas. Il Papa vuole evitare la riduzione della caritas a sentimenti ed emozioni. La carità si invera nell’edificazione della Communitas , della polis , della «unità della famiglia umana». Questa convinzione coglie la globalizzazione come un «segno dei tempi» perché ha riavvicinato come non mai i popoli.
Ma è un «segno» che viene messo a dura prova non solo da prospettive teoriche, come il cosiddetto conflitto di civiltà, ma anche — forse soprattutto — dall’ossessione identitaria che sta portando al risorgere di nazionalismi e razzismi di varia natura.
L’impegno per il «bene comune dei popoli», che il Papa pone come uno dei capisaldi dell’enciclica, risponde sia alla concezione cristiana sia alla attuale condizione del mondo. È la nuova utopia che può ridare un’anima sia alla politica che all’economia.

*Vescovo di Terni

© Copyright Corriere della sera, 6 agosto 2009 consultabile online anche qui.

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