giovedì 1 ottobre 2009
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VATICANO-PAKISTAN
Zardari si impegna col Papa a superare le discriminazioni a causa della religione
La “necessità” di promuovere il rispetto dei diritti di tutti i cittadini nei colloqui del presidente con Benedetto XVI. A Islamabad, intanto, viene annunciato che le organizzazioni cristiane del Paese hanno indetto per il 24 ottobre una conferenza nazionale per chiedere l'abolizione della legge sulla blasfemia.
Città del Vaticano (AsiaNews)
Superare ogni forma di discriminazione basata sulla religione. E’ “la necessità” emersa dagli incontri che il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, ha avuto oggi a Castel Gandolfo con Benedetto XVI ed il cardnale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, che era accompagnato dal segretario per i rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti.
Fa eco a queste affermazioni la notizia, che giunge da Islamabad, che le organizzazioni cristiane del Pakistan hanno indetto per il 24 ottobre una conferenza nazionale per chiedere l'abolizione della legge sulla blasfemia.
Quanto il tema sia stato trattato nel corso della visita di Zaradari, emerge da una nota diffusa dalla Santa Sede, nella quale si legge che “i cordiali colloqui hanno permesso di trattenersi sull’attuale situazione in Pakistan, con particolare riferimento alla lotta contro il terrorismo e all’impegno di formare una società più tollerante e armonica in tutte le sue componenti. Si è poi dialogato – prosegue il comunicato - sul contributo positivo della Chiesa cattolica alla vita sociale del Paese, attraverso le sue attività educative, sanitarie ed assistenziali. Evocando i recenti episodi di violenza contro le comunità cristiane in alcune località, nonché gli elementi che hanno favorito tali gravi incidenti, si è sottolineata la necessità di superare ogni forma di discriminazione basata sull’appartenenza religiosa, con lo scopo di promuovere il rispetto dei diritti di tutti i cittadini”.
Lo stesso argomento è stato affrontato da Zardari anche nei suoi colloqui con gli esponenti politici italiani, nei quali il presidente pakistano ha affermato che il governo del suo Paese prenderà iniziative contro l'abuso della legge sulla blasfemia.
Peraltro, già il 18 settembre, durante una visita di stato a Londra, Zardari aveva promesso maggior vigilanza del governo, ma le organizzazioni per i diritti umani del Pakistan dicono che le parole del presidente restano un intento velleitario che non tiene conto della realtà della situazione.
La legge, nata per difendere dalle offese l'islam ed il Profeta, è ormai diventata uno strumento di discriminazioni e violenze proditorie. La manifestazione promossa dal Pcc si chiama All Christian Parties Conference nasce per coordinare gli sforzi di tutte le sigle cristiane che chiedono la cancellazione dell'articolo 295, comma b e c, del Codice penale. Il 24 ottobre, per facilitare la partecipazione di quanta più gente possibile, l'iniziativa si svolgerà in contemporanea a Karachi, Lahore e Islamabad. Alla Conference hanno già aderito anche la Chiesa protestante del Pakistan, i presbiteriani, l'Esercito della salvezza e la Full Gospel Assemblies.
La Commissione nazionale per la giustizia e la pace della Chiesa cattolica (NCJP) afferma che "la comunità cristiana del Paese continua a vivere nella paura e nell'insicurezza" e cita i casi più recenti di abuso della legge sottolineando che le autorità portano avanti le indagini senza decisione e senza risultati.
Nel distretto di Sialkot e nel villaggio di Gojra, nel Punjab, l'attività investigativa ed i processi sono bloccati. La NCJP afferma che negli ultimi cinque giorni nessun progresso è stato fatto per rendere giustizia ai cristiani uccisi e aggrediti. Fonti locali pakistane affermano che a Gojra, villaggio in cui otto cristiani sono stati arsi vivi ad inizio agosto, amministrazione provinciale e polizia stanno insabbiando la vicenda per non rischiare disordini pubblici. La Commissione aggiunge che "alcune delle persone detenute per le violenze sono state liberate sotto cauzione dalla Corte Anti-terrorismo".
Situazione analoga nel distretto di Sialkot dove viveva Fanish Robert, 20enne cristiano ucciso in carcere il 14 settembre due giorni dopo l'arresto per blasfemia. La famiglia del giovane ha dovuto abbandonare la casa nativa a Jethikey per motivi di sicurezza e vi ha fatto ritorno solo il 24 settembre. Ora chiede alle autorità di poter trasferire anche le spoglie del ragazzo nel villaggio d'origine. I funerali e la sepoltura di Fanish si sono dovuti svolgere a Sialkot per evitare manifestazioni anti-cristiane, ma sono stati funestati dalla polizia intervenuta per "prevenire ulteriori disordini".
(Ha collaborato Fareed Khan)
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