giovedì 15 ottobre 2009

Sinodo per l’Africa: il continente sia protagonista del proprio destino. Drammatica testimonianza di un vescovo del Sudan: cristiani crocifissi


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SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

Sinodo per l’Africa: il continente sia protagonista del proprio destino. Drammatica testimonianza di un vescovo del Sudan: cristiani crocifissi

Gli africani diventino attori protagonisti del proprio destino: è l’auspicio espresso stamani dal secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sui temi della riconciliazione, la giustizia e la pace.
La Congregazione odierna, la quindicesima in ordine cronologico, ha visto la presentazione delle relazioni dei Circoli minori. Alla presenza di Benedetto XVI, i Padri Sinodali hanno iniziato così a delineare le probabili tematiche da inserire nei documenti finali dell’Assemblea. Il servizio di Isabella Piro:


Prendere in mano il proprio destino e viverlo da protagonisti per rilanciare l’Africa: è questo il mandato che i Padri Sinodali affidano a tutti gli africani. Il Sinodo li aiuti a prendere consapevolezza della propria dignità e sia un’Assemblea di speranza e di risurrezione, di impegno e di coraggio.

Poi, i Circoli minori tracciano un bilancio di quanto fatto fino ad ora. Il risultato è positivo, dicono; tuttavia, alcuni aspetti andrebbero sottolineati di più. Ma quali? La scelta è ampia: si parte dalla necessità di tutelare l’ambiente, di guardare alle vocazioni con maggior discernimento, di pensare alle tradizioni africane come base del processo di riconciliazione. In esse, infatti, sono presenti molti spunti positivi, come il rito dell’ammissione della colpa o della promessa di non ricadere nell’errore, che possono conciliarsi con il cristianesimo.

Quindi, i Padri Sinodali suggeriscono la diffusione di testi che informino sulla Dottrina della Chiesa nel campo della sessualità, chiedono una cura pastorale maggiore per i lavoratori, per la famiglia, che deve avere un ruolo “alto”, e per le donne, comprese le religiose. Attenzione viene invocata per la stregoneria che danneggia fortemente tutta la società africana, e per i rapporti con l’Islam, da analizzare caso per caso, dicono i Padri Sinodali, perché i musulmani in Africa non sono presenti in modo omogeneo, ma si differenziano a seconda dei Paesi.

Maggiore spazio andrebbe dato anche al problema delle migrazioni, in relazione alla politica mondiale e al ruolo centrale della Chiesa nella tutela dei diritti umani e della dignità della persona. Ribadita la necessità di rafforzare i legami tra le Chiese locali e la Chiesa Universale e di far sì che, all’interno di associazioni che racchiudono numerose Conferenze episcopali, i vescovi parlino con una voce sola.

E ancora, i Padri Sinodali ricordano l’importanza dei mass media per la comunicazione ecclesiale ed anche per la formazione della popolazione: radio e tv, ad esempio, possono contribuire a veicolare valori sani per la vita familiare. Quindi, la grande sfida dei Paesi in crisi politica: il processo di riconciliazione va depoliticizzato, dice l’Aula del Sinodo, la Chiesa non sia mai ostaggio di conflitti istituzionali e accompagni i leader verso un esercizio del potere lontano dalla corruzione.

Inoltre, i Circoli minori chiedono azioni decise contro il traffico di armi e la droga, e contro le mutilazioni genitali femminili. Necessario anche un piano organico contro la pandemia di Aids: l’Africa deve svegliarsi davanti a tale dramma, dicono i Padri Sinodali, e deve cambiare il suo stile di vita.

Ribadita poi l’importanza di sostenere le scuole e le università cattoliche, di avere regole forti per le persone consacrate, per le quali va pensata una formazione continua, e di coinvolgere maggiormente i laici nell’opera di evangelizzazione perché, si è detto in Aula, la Chiesa non deve aver paura di loro.

Infine, i Padri Sinodali suggeriscono l’istituzione di un Congresso eucaristico continentale, di un incontro panafricano sulle donne e di un forum di preghiera interreligiosa perché, in un Paese segnato da conflitti e violenze, dicono, pregare insieme è il primo passo verso la pace.

Come portare pace e riconciliazione in Africa? Se lo chiedono i Padri Sinodali. Particolare attenzione è dedicata al Sudan, Paese spaccato tra un Nord prevalentemente arabo che ha imposto la legge coranica e un Sud cristiano animista. Le elezioni politiche, previste dagli accordi di pace del 2005, dovrebbero svolgersi entro il 2010, mentre per il 2011 è fissato un referendum per l’autodeterminazione del Sud. Ma l’appuntamento con le urne è messo a rischio dalle continue violenze perpetrate da gruppi ribelli legati al governo di Khartoum. Lo conferma, al microfono di Paolo Ondarza, mons. Hiiboro Kussala, vescovo della diocesi meridionale di Tombura Yambio, teatro di ripetuti attacchi contro i cristiani.

R. – Questi ribelli, a nostro modo di vedere, stanno ricevendo aiuti da parte del governo del Nord. Tutti hanno fucili, armi … Credo ci sia la volontà di lasciare il Sud Sudan in difficoltà perché non abbia quella pace necessaria per preparare il referendum che è previsto per l’anno prossimo.

D. – Si verificano anche attacchi contro la comunità cristiana?

R. – Sì. Il 13 agosto scorso, i ribelli sono entrati nella chiesa della mia parrocchia ed hanno preso tante persone in ostaggio. Mentre fuggivano nella foresta, ne hanno uccise sette: li hanno crocifissi agli alberi. Si verificano tanti drammi come questo. Alcuni di loro sono stati istruiti da al Qaeda in Afghanistan: sono contro la Chiesa. Il progetto è intimidire i cristiani.

D. – Vivere il Vangelo è una scelta difficile: si può andare incontro al martirio …

R. – Sì. Noi viviamo proprio in questo senso, perché stanno uccidendo la gente, bruciano le loro case, le chiese: questo è martirio.

D. – I cristiani hanno paura di vivere la loro fede? Lei come pastore ha paura di operare nella sua diocesi?

R. – Paura, sì: perché i ribelli continuano ad uccidere la gente. Questa è la nostra paura. Ma noi non vogliamo morire: tutto questo rafforza la fede della gente, la gente continua a venire in chiesa.

D. – Ed essere un segno di pace e riconciliazione, è anche questo testimoniare il Vangelo in una terra che perseguita i cristiani?

R. – Sì: questo è il nostro motto, continuare a vivere la riconciliazione e la pace. Dopo sei secoli, il cristianesimo è stato praticamente distrutto nel Nord del Sudan, e noi ne soffriamo in nome del Signore.

D. – Pensando alla situazione nella sua diocesi e anche al conflitto nel Darfur, lei ha invocato l’aiuto da parte della comunità internazionale ma ha anche detto: “Abbiamo bisogno dei Buoni samaritani della Sacra Bibbia” …

R. – Vogliamo i Buoni samaritani: i nostri fratelli, i nostri amici nella comunità internazionale possono venire in nostro aiuto. Ma più ancora di questo, chiediamo preghiere, tante! Per noi, affinché possiamo essere forti e proseguire su questo cammino così difficile. Ma con il Signore, lo sappiamo bene, alla fine vinceremo!

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