lunedì 9 novembre 2009
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«Una Chiesa libera per parlare ai contemporanei»
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E' stato un grande Papa, ma – come ha detto il vescovo di Brescia monsignor Luciano Monari in un'intervista nei giorni scorsi – anche un «grande italiano».
Brescia è il simbolo di questo patrimonio operoso, di gente e di fede. La città, che ieri ha accolto il Papa, è consacrata alla fedeltà della fede e alla giustizia, due parole care a Montini, il Papa dell'Ecclesiam Suam e della Populorum Progressio, il Papa che ha firmato i sedici documenti del Concilio Vaticano II.
Nel motto della città, iscritto su Palazzo della Loggia, si legge: «Brixia fidelis fidei et justitiae sacravit».
Il Papa vi scorre sotto in auto. Qui la fede cristiana ha plasmato la cultura e nutrito la vita della città, la spiritualità dei suoi preti, la vivacità dei suoi laici, l'intelligenza e l'intraprendenza delle sue istituzioni.
Qui è nato Giovanni Battista Montini, figlio del direttore del «Cittadino di Brescia», il quotidiano cattolico della città del tempo, amico di don Luigi Sturzo, negli anni difficili per i cattolici a cavallo tra Ottocento e Novecento, anni di «non expedit», ma ciò nonostante di impegno politico che si formava sotto traccia nel Paese. Benedetto XVI arriva nella piazza davanti al Duomo. Il palco è bianco e sobrio per non impedire la vista delle architetture. All'interno della cattedrale sono raccolti i malati che non possono seguire la Messa sulla piazza al freddo e sotto la pioggia.
Il Papa entra e li saluta. Si vede subito che per lui sarà una giornata di grande emozione. Ha la voce appena rotta da una leggera raucedine, che tuttavia nel corso della giornata, a causa del freddo e dell'umidità, si farà più rauca. Eppure Papa Benedetto non rinuncia a parlare, a salutare la folla, a stringere mani che si protendono oltre le transenne. È un viaggio nella memoria del suo predecessore che lo nominò arcivescovo di Monaco e gli impose la berretta cardinalizia. Sarà una giornata che avrà accenti di accorata commozione. Lo si capisce subito dall'inizio, dall'omelia della Messa celebrata in piazza Paolo VI. Esclama Joseph Ratzinger: «Carissimi, che dono inestimabile per la Chiesa la lezione del servo di Dio Paolo VI!».
L'omelia è un contrappunto di citazioni sapienti del suo predecessore.
È lo stile con il quale ha scritto tutti e tre i discorsi del viaggio e anche l'Angelus, che pronuncia alla fine della Messa. Ripropone non solo i concetti, ma anche le parole degli insegnamenti di Paolo VI. La sua è una scelta precisa. Avvicina ancora di più quel Papa morto nel 1978. La lezione che sceglie Ratzinger è quella sulla Chiesa. Cita l'Ecclesiam suam, la prima enciclica di Montini e cita il «Pensiero alla morte», il testamento del Pontefice bresciano, inno di amore alla Chiesa, prosa di straordinaria bellezza e profondità: «Potrei dire che l'ho sempre amata e che per essa, non per altro, mi pare d'aver vissuto. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone». E poi quelle parole sulla Chiesa che deve camminare «povera, cioè libera, forte e amorosa verso Cristo».
Da qui Ratzinger trae la lezione. Chiede: «Cosa si può aggiungere a parole così alte e intense?». Rileva che di una Chiesa così c'è bisogno ancora oggi: «Così deve essere la comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all'umanità contemporanea». Poi mette in fila le parole, parole di Paolo VI, ma ancora oggi attuali: «Coscienza, rinnovamento, dialogo». Sono indispensabili, osserva il Papa, alla Chiesa per «approfondire la coscienza di se stessa», ma anche per «rinnovarsi e purificarsi guardando al modello che è Cristo» e poi anche per impostare le «sue relazioni con il mondo».
Benedetto XVI spiega che questo è il modo corretto per impostare la «questione della Chiesa», la sua «necessità nel disegno di salvezza» e nel «suo rapporto con il mondo». Era una questione centrale ai tempi di Paolo VI, ma lo rimane ancora oggi. Anzi, aggiunge Joseph Ratzinger: «Gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione l'hanno resa ancora più radicale, nel confronto con l'oblio di Dio da una parte e con le religioni non cristiane dall'altra».
Alla fine dell'omelia il Papa accenna alla crisi economica e anche qui afferma che negli insegnamenti di Paolo VI si possono trovare indicazioni «preziose» per affrontare «le sfide del presente», soprattutto in ordine alla crisi economica, all'immigrazione e all'educazione dei giovani. Anche Brescia sta vivendo drammaticamente la riduzione dei posti di lavoro e la chiusura delle fabbriche.
All'altare, all'offertorio, sono saliti – perché nessuno dimentichi il dramma di molte famiglie – tre operai di altrettante aziende in crisi (Tessival, Ideal Standard, Brandt Italia) e durante la preghiera dei fedeli si è pregato per loro.
© Copyright Eco di Bergamo, 9 novembre 2009
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