domenica 25 gennaio 2009
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Ebrei e Concilio. Tensioni dopo il perdono papale
di Paolo Rodari
Come con gli ortodossi, anche coi lefebvriani la Chiesa cattolica fa in qualche modo pace, seppure la piena comunione sia ancora di là da venire.
Ieri, infatti, la Santa Sede ha comunicato che, in data 21 gennaio (il Riformista ha anticipato la cosa tre giorni fa), Benedetto XVI (per certi versi come fece Paolo VI con gli ortodossi nel 1965) ha accettato, tramite un decreto firmato dalla congregazione dei vescovi sentito il parere del pontificio consiglio per i testi legislativi, la richiesta di revoca della scomunica avanzatagli lo scorso dicembre dai quattro vescovi lefebvriani che nel 1988, per il fatto di aver ricevuto l’ordinazione episcopale da Marcel Lefebvre senza mandato pontificio, si erano posti fuori dalla Chiesa. Il decreto non significa che tra le due parti vi sia piena riconciliazione, seppure un enorme passo in avanti è stato compiuto.
A poco sono servite le polemiche - dalle quali il Vaticano si è distanziato con forza - sollevatesi nelle scorse ore nel mondo ebraico intorno alle dichiarazioni di uno dei quattro vescovi lefebvriani, l’inglese Richard Williamson, che qualche settimana addietro aveva detto di non credere che sei milioni di ebrei fossero stati sterminati.
E, insieme, a poco sono servite le polemiche sviluppatesi all’interno del mondo cattolico. Qui c’è chi non ha gradito la scelta del Papa di concedere la revoca della scomunica in coincidenza del cinquantesimo anniversario di convocazione del Concilio Vaticano II. Lefebvre, infatti, si staccò dalla Chiesa cattolica anche a seguito di una certa ermeneutica del Concilio dissona, a suo dire, dal Concilio stesso.
Ma proprio qui sta il punto: revocare la scomunica ai lefebvriani nei giorni in cui si celebra la convocazione del Concilio, non significa rinnegare il Concilio stesso, non significa voler riabilitare un “anti-conciliarista”, quanto ricordare come l’assise fu una tappa importante per la Chiesa a differenza, invece, di una sua scorretta esegesi sviluppatasi successivamente la quale, per la verità, è sempre stata rifiutata anche da Benedetto XVI.
La strada della piena comunione con Roma, comunque, è ancora lunga per i lefebvriani. La loro comunità, la Fraternità San Pio X (ben 450 sacerdoti e circa 40 seminaristi) dovrà peregrinare ancora a lungo. Aperture definitive e chiare su tutti i documenti del Concilio, infatti, dovranno arrivare da Econe prima che alla Fraternità venga assegnato, anche ai sensi del diritto canonico, un suo posto nella Chiesa cattolica (si parla di una sorta di prelatura stile Opus Dei). Ma, certo, già il fatto che fu lo stesso Lefebvre a porre la propria firma in calce a ogni documento del Concilio potrà aiutare anche i suoi fedelissimi a essere un po’ più coraggiosi in merito. Mentre, senz’altro, a poco potranno giovare le riserve in stile a quelle espresse ancora ieri dalla Fraternità sempre sul Vaticano II.
Benedetto XVI ha dimostrato di non temere la prevedibile reazione negativa dell’episcopato francese.
Una parte dei vescovi di Francia, infatti, non solo ha apertamente osteggiato il motu proprio Summorum Pontificum col quale è stato liberalizzato il rito antico. Ma non ha mai nascosto di non vedere di buon occhio un’eventuale revoca della scomunica ai lefebvriani.
E il motivo di questa doppia ostilità è semplice.
La Chiesa francese la quale, più che in altre parti d’Europa, ha messo in campo un’esegesi di rottura del Vaticano II, vive una crisi profondissima. Secondo dati riservati in possesso del Vaticano e noti al Riformista, a novembre 2008 in tutta la Francia c’erano soltanto 741 seminaristi. Di questi, il 12 per cento proviene da comunità tradizionaliste (non lefebvriane ma semplicemente che seguono il rito antico). Ma non basta: volutamente non conteggiate nelle statistiche ufficiali, vi sono altri 205 seminaristi appartenenti anch’essi a comunità cosiddette tradizionaliste: 55 della Comunità San Martino, 60 della Fraternità San Pietro, 50 dell’Istituto Cristo Re, 20 dei canonici di Carcassonne, 20 del Buon Pastore in Chartres. Ai quali vanno aggiunti i 40 seminaristi lefebvriani. In tutto, dunque, 245 seminaristi: un numero considerevole rispetto ai 741 conteggiati ufficialmente.
Benedetto XVI non ha agito in modo sprovveduto. Prima di decidere di rispondere affermativamente ai lefebvriani, ha incontrato più volte i responsabili della pontificia commissione Ecclesia Dei incaricata dal 1988 di seguire i rapporti tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede.
E nelle righe del decreto della congregazione dei vescovi si nota molta prudenza. Il decreto, infatti, rettifica una scomunica nella quale i lefebvriani vi erano incappati liberamente. Ma non dice nulla intorno alla futura collocazione della Fraternità nella Chiesa. Molto dipenderà dai lefebvriani. A loro toccherà scegliere se incamminarsi sulla strada della piena comunione con Roma, oppure su quella della definitiva rottura.
© Copyright Il Riformista, 25 gennaio 2009 consultabile online anche qui, sul blog di Rodari.
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