venerdì 9 gennaio 2009
I commenti al discorso del Papa al Corpo diplomatico del giurista internazionale Andrea Bianchi e del missionario padre Piero Gheddo (Radio Vaticana)
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I commenti al discorso del Papa al Corpo diplomatico del giurista internazionale Andrea Bianchi e del missionario padre Piero Gheddo
L’ampio discorso col quale ieri Benedetto XVI ha abbracciato l’attualità internazionale, al cospetto del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ha suscitato attenzione e reazioni in tutto il mondo, a partire dalla nuova fase drammatica del conflitto israelo-palestinese. Fabio Colagrande ha chiesto un commento alle parole del Papa al prof. Andrea Bianchi, ordinario di Diritto internazionale all’Università Cattolica di Milano e all’Istituto di Alti studi internazionali di Ginevra:
R. – Nelle parole del Papa c'è la consapevolezza che per lottare efficacemente contro le guerre, contro i conflitti – siano essi di natura internazionale o interna – bisogna, in fondo, rimuoverne le cause che molto spesso li alimentano. E non c’è alcun dubbio che tra le cause più diffuse - da alimentare i conflitti a consiglio di livello – sia proprio la povertà. Una povertà che è intesa non solo in senso materialistico, come un’assenza di mezzi materiali, ma anche in senso spirituale, come assenza di valori, e direi che è proprio questa la parte più importante, il filo conduttore di questo discorso.
D. – Combattere la fame, facilitare lo sviluppo agricolo locale, sono priorità che il Papa mette proprio in collegamento con l’urgenza della pace…
R. – Per far fronte a queste sfide che interessano l’intero pianeta occorre che esista una comunità internazionale; una comunità coesa che si prenda le proprie responsabilità e che sappia agire. E, in fondo, credo che sia proprio questo il più grande problema di cui, a livello internazionale, si soffre oggi: la difficoltà ad agire in maniera coesa per articolare delle politiche di intervento – soprattutto a fronte di sfide globali – che siano effettivamente efficaci. Certo, ci sono delle iniziative in corso, richiamo alla conferenza di Doha, ma non c’è motivo di essere soddisfatti; io credo che negli ultimi anni la Comunità Internazionale sia stata un po’ latente. Sia stata un po’ latente a livello di coesione e a livello di capacità di azione.
D. – Prof. Bianchi, un commento a queste parole del Papa, sulla situazione in Terra Santa…
R. – Credo che la situazione in Medio Oriente sia veramente una delle spine del mondo e che sia uno dei fattori che impedisce al mondo di vivere più stabilmente, insieme, e che rischia di pregiudicare l’equilibrio mondiale. Io credo che ci sia un’assenza della dimensione politica, non ci sia una vera volontà di arrivare ad una pace nel Medio Oriente. Una situazione che si è andata esacerbando negli anni, che è quasi, oggi, un problema intrattabile e che non ha solo bisogno di un richiamo alla pace e alla responsabilità comuni, ma ha bisogno di un’idea politica forte, che possa essere in qualche modo poi messa sul piano concreto, sul piano della realizzazione. Ed è questa la cosa che forse rende più tristi: tutti si dicono contrari alla guerra, tutti si dicono disposti a negoziare la pace, ma bisogna avere anche l’appoggio di una forte volontà politica perché questo possa realizzarsi.
D. – Il Papa, Benedetto XVI, ripete quello che i papi dicono ormai da tempo: l’opzione militare non è una soluzione; ecco, quanto è realistico, politicamente, continuare - giustamente sulla base del Vangelo - a ribadire questo concetto?
R. – Parallelamente a questa forza morale, che certamente è molto importante, che è uno dei motori della storia, in qualche modo deve accompagnarsi alla volontà politica più concreta; una capacità di imporre il nome di una comunità internazionale che deve, in qualche modo, dare segno della sua esistenza, delle soluzioni che effettivamente risolvano crisi come quella mediorientale che ormai da più di 60 anni rischiano di minare – di fatto minano, alimentando anche il terrorismo in tutto il mondo – la stabilità e la pace. La nota su cui vorrei insistere è che a questa forza morale – di cui ovviamente la Chiesa si fa interprete – molto spesso non si accompagna una capacità di azione politica da parte non solo delle organizzazioni multilaterali, ma anche da parte degli Stati, delle singole popolazioni che, in un mondo come oggi – dove anche la società civile è in grado di organizzarsi – dovrebbe far sentire, ancora più forte, la propria voce, a sostegno della formazione di una volontà politica capace di imporsi.
E sul costante richiamo ai massimi valori al quale il Papa ha fatto più volte riferimento nel suo discorso si sofferma padre Piero Gheddo, missionario del Pontificio istituto missioni estere, sempre al microfono di Fabio Colagrande:
R. – Quando noi togliamo dal nostro orizzonte - noi come popolo, non parlo di persone – Dio, la legge di Dio, la volontà di Dio, la morte di Dio, non capiamo più neanche l’uomo, non capiamo più neanche noi stessi. E quindi prevalgono le nostre passioni, i nostri egoismi, e quindi, la povertà morale. Come diceva Madre Teresa: “I poveri hanno bisogno di tante cose, soprattutto hanno bisogno di Dio, soprattutto cercano Dio” e aggiungeva “la più grande disgrazia dell’India è di non conoscere Cristo”. Quindi, la povertà morale di cui il Papa parla è un problema non solo dei popoli non cristiani e poveri, ma anche dei nostri popoli occidentali. Io direi che non dobbiamo fermarci troppo sulla povertà morale degli altri, ma sulla nostra povertà morale.
D. – In particolare, padre Gheddo, infatti, parlando del mondo occidentale, il Papa ha auspicato che non siano coltivati pregiudizi e ostilità verso i cristiani, semplicemente perché su certe questioni la loro voce dissente...
R. – Se uno ragiona bene, vede che come dice il Papa nel suo messaggio, il cristianesimo è una religione di libertà e di pace, nel servizio del vero bene dell’umanità. Quindi, perché opporsi al cristianesimo e alla Chiesa, che porta Cristo a tutti i popoli e a tutte le coscienze? Proprio perché magari la Chiesa ha delle idee diverse da quelle della voce comune. Ma questo è compito della Chiesa: portare nel mondo attuale le risposte ai problemi dell’uomo di oggi e che magari dissentono certamente da quelle del mondo.
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