giovedì 8 gennaio 2009

Il Prof Israel risponde al cardinale Martino (Il Sussidiario)


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Giorgio Israel

Ogni qualvolta si riapre la ferita purulenta della crisi mediorientale riemerge il solito doloroso problema: le mezze parole che nascondono un equilibrio apparente e, in realtà, lo squilibrio verso una parte, e poi la disinformazione, il riproporsi infinito degli stessi pregiudizi, le diffidenze, le incomprensioni, l’ignoranza della storia, dei sentimenti e delle ragioni altrui.

Ne trovo tristemente le tracce anche su questo giornale informatico. Per esempio, leggo in un’intervista di Luigi Geninazzi: «Quando si dice, a titolo di esempio, “ma cosa fareste voi italiani o voi francesi se vi tirassero missili dallo Stato vicino?”, è una domanda sbagliata, perché la Striscia di Gaza non è uno Stato vicino! Sono territori che fino a qualche tempo fa erano tecnicamente occupati. E giuridicamente lo sono ancora, perché è stato Israele a occuparli e non può trattare quell’offensiva alla stregua di un attacco esterno. Israele ha diritto di difendersi, ma non può farlo continuando a occupare dei territori».

Leggo e mi stropiccio gli occhi. È vero che Gaza era occupata, fino al 2005. Ma da allora non lo è più. Come si può seriamente raccontare al lettore che “giuridicamente lo è ancora”? Lo si vada a chiedere al governo di Hamas che controlla Gaza sotto ogni aspetto, se quei territori non sono sottratti al controllo di Israele! E che diamine vuol mai dire che un territorio è giuridicamente ancora di Israele perché è stato Israele a occuparli? Allora bisognerebbe dire che i territori di tutto il mondo appartengono giuridicamente ancora a coloro che un tempo li occuparono… Se Trieste venisse bombardata dall’Istria l’Italia non potrebbe difendersi, perché un tempo occupava l’Istria. È un puro e semplice mascherarsi dietro un’argomentazione apparentemente “tecnica” e oggettiva per poter condannare Israele e negare il suo diritto a difendersi, in quanto “occupa territori”. Se non li occupasse bisognerebbe inventarseli.

Nell’intervista del Cardinale Martino leggo: «le conseguenze dell’egoismo sono l’odio per l’altro, la povertà e l’ingiustizia. A pagare sono sempre le popolazioni inermi. Guardiamo le condizioni di Gaza: assomiglia sempre più ad un grande campo di concentramento». Forse bisognerebbe andarci piano con i confronti, ma se anche quella parola – campo di concentramento – fosse appropriata bisognerebbe specificare subito chi ne tiene le chiavi, chi sono i carcerieri. Altrimenti si rischia, restando nel vago, di dar credito alla parola d’ordine “Gaza come Auschwitz, ebrei come nuovi nazisti” tanto cara a certi movimenti di estrema sinistra filoislamista. Gaza poteva essere il primo nucleo del nuovo stato palestinese – dopo la fine dell’occupazione – e invece un movimento terrorista, Hamas, se ne è impadronito facendone una piattaforma di lancio per missili verso Israele e una base da cui si prepara il nuovo capitolo dello scontro con l’“entità sionista” da eliminare. Se non si parla chiaro, Eminenza, e non si dicono le cose con il nome e il cognome quell’ingiustizia che Lei giustamente depreca diventerà un nostro peccato.

Ho letto ieri, sempre qui, con profondo sconcerto e tristezza un articolo in cui, entro un rivestimento di parole pacate, si esprimevano concetti contundenti. Si spiegava che «la minoranza araba cristiana e l’esiguo gruppo di ebrei cristiani sono l’esempio della possibilità di superare le divisioni; insieme agli arabi e agli ebrei di buona volontà, che sono più numerosi di quanto appaia, ma ridotti al silenzio dagli altri resi ciechi dall’odio, o forse solo dalla paura». E già qui mi sono chiesto perché non parlare il linguaggio della verità. E la verità è che nessun ebreo di Palestina è ridotto al silenzio da altri “resi ciechi dall’odio o dalla paura”. Israele è un paese democratico, dove si manifesta contro il governo, anche la minoranza araba lo fa, si inalberano cartelli senza censura, nessuno ha paura, nessuno è ridotto al silenzio da altri che “resi ciechi dall’odio” comandano. A Gaza sì, c’è un movimento, Hamas, che ha preso il potere con la violenza e chi dissente viene semplicemente ucciso. Questa è la verità.

Poi ho letto che «anche quest’anno in Terra Santa solo per i cristiani il Natale ha rappresentato un momento di pace, almeno nei cuori: per gli altri, solo un’occasione in più per la violenza». Certo, troppi arabi e israeliani sono stati travolti dalla violenza. Per una loro propensione di natura? Parrebbe di sì: «Eppure, la Palestina è terra santa anche per ebrei e musulmani, ma per essi è solo un territorio, un ricordo di fatti avvenuti, di un passato glorioso. Per i cristiani è la Memoria di un Fatto avvenuto, di un Dio che si è fatto uomo e che è tuttora con noi».

Ma davvero? Per duemila anni gli ebrei, alla fine della festa di Pesach (la Pasqua) chiudono con la frase: «L’anno prossimo a Gerusalemme». Lo fanno per ricordo di un passato glorioso, per tigna, per nostalgia paesaggistica? No. Gerusalemme è il luogo dello spirito per gli ebrei, Gerusalemme è la capitale della Torah, e il luogo dove la terra tocca il Cielo. Andate a Gerusalemme, su quello che è poi il Monte degli Ulivi dove Gesù tenne il celebre discorso: quello per duemila anni è stato il cimitero dove migliaia e migliaia di ebrei da tutto il mondo venivano a morire per essere più vicini al Cielo. Il grande poeta medioevale Yehuda Ha-Levi concluse la sua vita come tanti riuscendo a toccare il Muro Occidentale, unico resto del Grande Tempio distrutto dai romani. Qui fu trapassato con una lancia da un saraceno. Passeggiare tra quelle lapidi, negli ultimi decenni pietosamente restaurate, dopo che il governo giordano le aveva utilizzare per pavimentare strade o come urinatoi, dà il senso di che cosa è Gerusalemme per gli ebrei.
Chi abbia sensibilità e rispetto per la fede altrui e non indulga al nefasto impulso di trasformare la giusta adesione alla propria fede in denigrazione di quella altrui dovrebbe passeggiare per le strade di Gerusalemme, assistere a un tramonto, contemplare l’incredibile intreccio che si consuma sul suo territorio tra le tre religioni monoteiste. Tutto è in bilico tra il dramma e il miracolo, tra l’intolleranza e l’incomprensione.
Ma chi ha pagato il prezzo dell’incomprensione e della sottrazione della propria memoria e della propria spiritualità è stato soltanto l’ebraismo. Oggi, mentre dal 1967 i Luoghi Santi conoscono una libertà di accesso in precedenza mai vista, l’unica religione di cui si mettono i discussione i diritti sulla Terrasanta è l’ebraismo. Per taluni sarebbe puro attaccamento nazionalista, ostinato e anacronistico tentativo di ricreare un regno perduto. Altri – gli integralisti islamici – dicono semplicemente che gli ebrei in Terrasanta non ci sono mai stati, che è tutto un imbroglio, che un Tempio non è mai esistito, e così via.

Nel 2001 il Cardinale Ratzinger ammoniva che «un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo» e invitava a un «rinnovato rispetto per l’interpretazione giudaica dell’Antico Testamento».

Ebbene, si segua questo ammonimento, leggendo e rileggendo la Bibbia. È un dovere per un cristiano che si rispetti capire che cosa sia il legame tra l’ebraismo e la Terrasanta e Gerusalemme in particolare. È un dovere, non un’opzione e non subordinato alla buona volontà di un ebreo. In tal modo si coglierà quale legame profondo – legame dello spirito e della carne – esista tra gli ebrei e la Terrasanta. Certo, oggi un simile legame deve conciliarsi con il rispetto delle altre fedi. Ma questo Israele ha dimostrato di saperlo fare come pochi.
Non ci si illuda però. C’è chi vuole la Terrasanta tutta per sé, ed è l’integralismo islamico. E vuole molto, molto di più. Il suo nemico non è soltanto l’ebraismo, bensì anche il cristianesimo, proprio nella misura in cui esso si radica nell’Antico Testamento, pena la sua dissoluzione. Perciò chi si illude di cavarsela lasciando gli ebrei per le peste è come quel signore che gioiva di essere l’ultimo della lista nel menu del coccodrillo.
Vorrei terminare incitando caldamente all’ascolto di questo sermone tenuto da un imam di Hamas:

http://www.dailymotion.com/video/x52ie8_yunis-alastal-dput-du-hamas-tv-alaq_news

Lo devono ascoltare non soltanto le scimmie e i porci che popolano la Palestina (gli ebrei), bensì anche coloro che hanno spedito laggiù queste scimmie e porci, ovvero i cristiani, le cui capitali – Roma, in primis – saranno presto conquistate.
Ascoltatelo con un occhio alle immagini della preghiera verso la Mecca sul sagrato del Duomo di Milano e di San Petronio a Bologna.

© Copyright Il Sussidiario, 8 gennaio 2009

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