giovedì 15 gennaio 2009

La Conferenza episcopale dell'Iran dal Papa per la visita ad Limina: intervista con l'arcivescovo di Teheran (Radio Vaticana)


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La Conferenza episcopale dell'Iran dal Papa per la visita ad Limina: intervista con l'arcivescovo di Teheran

Il Papa ha ricevuto oggi alcuni vescovi dell'Iran, in visita "ad Limina", guidati da mons. Ramzi Garmou, arcivescovo di Teheran dei Caldei e presidente della Conferenza episcopale iraniana. Tiziana Campisi ha intervistato il presule chiedendogli di parlarci della situazione della comunità cattolica in questo Paese:

R. - Sarebbe opportuno dire qualche parola sulla storia della Chiesa in Iran. Secondo le informazioni a nostra disposizione, la Chiesa in Iran è il frutto dell’opera di evangelizzazione dell’Apostolo Tommaso e dei suoi discepoli. Quindi le sue origini si possono fare risalire al I sec. d.C.. Questa Chiesa ha conosciuto una straordinaria espansione nei primi secoli. Questi missionari sono stati i primi ad annunciare il Vangelo a popoli molto lontani come la Cina, la Corea il Giappone. Anch’essa ha conosciuto dure persecuzioni ai tempi dei Sassanidi, in particolare sotto il Regno dello Scià Shapur II [IV sec. d.C. - ndr] che fece perseguitare i cristiani per 40 anni. Questo sangue dei martiri ha fatto sì che la Chiesa in Iran e in Oriente trovi molta forza e coraggio per continuare la sua missione in questa regione. Oggi è una piccola comunità. Su 70 milioni di abitanti si contano intorno a 100mila cristiani. Circa 80mila appartengono alla Chiesa armena ortodossa. I cattolici appartengono a tre riti: Caldeo, Armeno e Latino. Ma minoranza non significa scarsa incisività. Una minoranza può crescere e avere delle radici nel Paese. Basti pensare alle parola di Gesù: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo”. Con un po’ di sale si può dare sapore a molti alimenti. Anche noi, nonostante i limiti della nostra comunità, speriamo nella grazia di Dio e la testimonianza dei nostri fedeli ha continuato la missione della Chiesa in questo Paese. Rendiamo grazie a Dio, perché nella nostra comunità è ancora vivo il sentimento religioso. Abbiamo dei giovani impegnati nella pastorale e abbiamo qualche vocazione sacerdotale e religiosa. Tutto questo è quindi un segno che Dio lavora nella nostra Chiesa, nonostante i limiti che ci sono imposti. Quello che caratterizza la nostra Chiesa e la nostra popolazione cristiana è l’emigrazione. Nel corso di questi ultimi trent’anni una buona parte dei nostri fedeli ha lasciato il Paese e sfortunatamente l’emigrazione continua. Solo Dio sa quale sarà il futuro della Chiesa nel nostro Paese, ma crediamo che, se chi resta rimane fedele alla sua vocazione cristiana, avremo un futuro luminoso.

D. - La Chiesa ha vissuto momenti difficili. Qual è la situazione oggi? E quali sono oggi le principali sfide pastorali?

R. - La Chiesa vive situazioni difficili in tutti i Paesi, anche in Europa ha davanti a sé sfide notevoli come la secolarizzazione e l’indifferentismo religioso, la perdita dei valori morali e spirituali. Noi pure, come le altre Chiese, abbiamo delle difficoltà: è normale per delle persone che vogliono vivere la loro fede e testimoniarla. Nonostante questo, secondo la Costituzione della Repubblica Islamica d’Iran, i cristiani sono riconosciuti ufficialmente come una minoranza religiosa. Quindi abbiamo la libertà di praticare il culto e di impartire una formazione cristiana ai nostri fedeli all’interno delle nostre chiese. Le nostre chiese sono aperte per il culto e la formazione cristiana. La sfida che, secondo me, dobbiamo affrontare oggi è quella di aiutare i fedeli a passare da una fede sociologica, etnica, trasmessa dai genitori, a una fede che sia un’autentica esperienza spirituale, una testimonianza di vita, dunque innanzitutto un dono dello Spirito Santo. Questo passaggio è necessario e cerchiamo di farlo attraverso incontri, riunioni, prediche. L’altra sfida è quella di lavorare per l’unità dei cristiani. Siamo una piccola comunità divisa in più comunità e questo ancora oggi è uno scandalo per noi cristiani. Occorre dunque fare il possibile perché i cristiani possano vivere in comunione affinché la loro testimonianza sia più credibile presso gli altri. Dobbiamo inoltre convincerci che, siamo sì una piccola minoranza, ma che Dio può fare attraverso noi delle grandi opere. L’importanza di una Chiesa non sta nella sua visibilità, nella sua grandezza visibile, ma nella qualità della sua fede e nella testimonianza dei suoi fedeli. Dunque bisogna credere che, a dispetto dei numeri, Dio può realizzare meraviglie per noi a condizione che ascoltiamo la Sua voce e che facciamo la Sua volontà.

D. - Quali sono i rapporti con le altre Chiese nel Paese?

R. - Abbiamo rapporti fraterni tra vescovi e sacerdoti, ma il dialogo ecumenico purtroppo non è alimentato abbastanza. Ci accontentiamo di un incontro di preghiera per l'unità dei cristiani una volta all’anno. A mio avviso non basta. Occorre dunque intensificare e approfondire il dialogo ecumenico per rispondere alla volontà di Gesù che tutti coloro che credono in Lui “siano una sola cosa, affinché il mondo creda”.

D. - Cosa vi aspettate dalla vostra visita ad Limina e dall’incontro con il Santo Padre?

R. - Questa vista tradizionale manifesta innanzitutto la comunione di tutti i vescovi del mondo con il Vescovo di Roma, che è anche Pastore universale della Chiesa cattolica. Quindi anche noi, come vescovi cattolici dell’Iran, veniamo per manifestare questa comunione con il Santo Padre. Inoltre ci attendiamo che ci confermi nella fede, nella convinzione profonda che abbiamo una missione da compiere in Iran. Auspichiamo poi che la Santa Sede sia più informata sulla situazione dei cristiani in Iran: speriamo che questa visita ci aiuti a essere meglio capiti dai diversi dicasteri per stabilire una collaborazione più utile e fruttuosa per la Chiesa.

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