lunedì 30 marzo 2009

Folla di giovani africani ieri a piazza San Pietro


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Folla di giovani ieri a piazza San Pietro

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VATICANO

Sventolando le bandiere dei vari paesi africani, accompagnati dal ritmo delle percussioni, intonando canti tradizionali e innalzando striscioni di bentornato al Papa, circa 200 africani residenti in Italia si sono radunati ieri mattina in piazza San Pietro. Una manifestazione per dire no al «pietismo ipocrita verso l'Africa», no a chi vuole fare del Continente «un mercato di preservativi» ma soprattutto in solidarietà con Benedetto XVI e contro la «strumentalizzazione» del suo viaggio in Africa operata dai media occidentali.
Agli studenti africani che frequentano le università cattoliche di Roma non è piaciuto il modo in cui i media hanno presentato il viaggio che Ratzinger ha da poco concluso in Camerun ed Angola. Viaggio che è rimbalzato sulle cronache di tutto il mondo, in particolare per le affermazioni del Pontefice sull'inutilità del preservativo come metodo di contrasto all'Hiv, duramente criticate oltre che da organizzazioni mediche e Ong anche da Francia, Germania e Commissione Ue.
Così è partita l'idea di un'iniziativa di solidarietà al Papa coinvolgendo parte della comunità presente nella Capitale. Iniziativa che Benedetto XVI ha mostrato di gradire salutando per primo all'Angelus proprio il gruppo africano e benedicendo «i semi sparsi in terra africana», per la quale «ormai non è più l'ora delle parole e dei discorsi».

© Copyright Gazzetta del sud, 30 marzo 2009 consultabile online anche qui.

Come al solito le parole del Papa vengono ridotte e semplificate...i media non ce la fanno proprio ad uscire da questa logica...
R.

1 commento:

Bastardlurker ha detto...

Grazie alla bella foto che hai pubblicato si capisce la folla di ieri in Piazza San Pietro è di giovani preti africani.

La realtà dei giovani preti africani in Europa dimostra che affidarsi ai paesi del terzo mondo per rimpolpare le file dei sacerdoti presenta anche lati negativi.


I preti africani preferiscono l’Europa
Africa - sab 13 mag '06

Il caso. Migliaia di giovani sacerdoti vengono per studiare e non vogliono ritornare nei Paesi d’origine Imbarazzo e difficoltà dei vescovi che sono costretti all’aiuto dei missionari nelle loro diocesi
di Tecla Simonelli

Tratto da L'Indipendente del 12 maggio 2006

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=search&currentArticle=ATHCW

Sorpresa. La maggior parte dei sacerdoti africani che hanno ricevuto la loro formazione in seminario in Europa o che studiano in università europee dopo l’ordinazione, non ne vogliono sapere di tornare a casa. Con evidente imbarazzo e difficoltà dei loro vescovi. Dallo Zaire, per esempio, sono trecento i sacerdoti arrivati in Europa e che, adesso, con ogni mezzo stanno cercando di non rientrare in Africa. I vescovi li vorrebbero per mandare avanti le parrocchie, ma non riescono in nessun modo a convincerli. La sola arcidiocesi di Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, ha ben 70 sacerdoti che resistono agli appelli delle autorità locali della Chiesa. La Nigeria, che è il Paese con il maggior numero di vocazioni - sono 5 mila i giovani che studiano per diventare preti - è nelle stessa situazione: i vescovi che li mandano all’estero si ritrovano, poi, da soli a gestire gli enormi problemi della comunità .

Anche in Italia i preti africani sono in continuo aumento. Ce ne sono, ormai, 1800 e di questi, ottocento sono già impegnati a tempo pieno nel lavoro pastorale nelle parrocchie del nostro Paese mentre ci sono diocesi in Africa che hanno un terzo o la metà dei preti fuori sede. I più grandi bacini di accoglienza per gli studi di questo esercito di giovani sacerdoti africani sono le università Urbaniana, Gregoriana e Lateranense a Roma. Anche il collegio San Pietro al Gianicolo e il collegio di San Pietro e Paolo sull’Aurelia hanno una grande presenza di giovani preti africani. Molti di questi studenti cercano in tutti i modi di prolungare i loro studi e arrivano anche a ritardare la laurea pur di restare in Europa. Addirittura ci sono situazioni – tenute segrete, ma che ogni tanto filtrano – di religiosi e di religiose che, appena ricevuto il permesso di soggiorno, spariscono letteralmente. Uno degli ultimi casi del genere riguarda una religiosa proveniente dal Congo che era ospite di un istituto a Trastevere.

I vantaggi di restare in Europa, e in Italia in particolare, sono naturalmente evidenti. In cambio della loro opera, i sacerdoti africani ricevono vitto, alloggio, assicurazione per le malattie e uno stipendio. Tutte cose impensabili in Africa. E poi è molto meglio dire messa in una bella basilica – magari a San Pietro – che sotto una chiesa improvvisata con un tetto di lamiera dove si muore dal caldo come a Khartoum in Sudan. Meglio studiare Platone o Aristotele che ritrovarsi tra i malati di Aids o costruire scuole o ospedali in Africa.

E, come se non bastasse, alcuni adducono come pretesto per restare in Italia il fatto che i preti africani devono “rievangelizzare l’Europa”. Concetto ripetuto spesso da vari vescovi, tra i quali anche il presidente della Conferenza episcopale della Nigeria, l’arcivescovo John Onaiyekan. Ma, in alcuni casi si arriva al paradosso: in molte diocesi africane la Chiesa è costretta a mandare missionari dall’Europa o dall’America, considerata la manifesta “disobbedienza” dei sacerdoti africani. Anche per questo il Papa Benedetto XVI si è pronunciato contro il “carrierismo” dei preti. L’abito talare, infatti, non deve diventare uno status symbol o una green card per fuggire da situazioni difficili. Qualche tempo fa circolò la notizia che sacerdoti e religiose di origine africana e asiatica non erano riusciti a ottenere il visto per visitare la Terrasanta. Il vero motivo? Le autorità temevano che sarebbero rimasti in Israele come immigrati illegali.