lunedì 30 marzo 2009

Il Papa in Africa ha ritrovato il senso di Dio (Baget Bozzo)


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Il Papa in Africa ha ritrovato il senso di dio

GIANNI BAGET BOZZO

Papa Ratzinger ha trovato in Africa quel consenso di Chiesa e di popolo la cui mancanza ha denunciato nella lettera ai vescovi cattolici.
Ha trovato un continente in cui la Chiesa si trova di fronte alla religione tradizionale africana e alla marcia dell’Islam. Si confronta con un mondo ancora religioso, in cui Dio non è divenuto quel concetto impopolare che sta divenendo in Occidente.
L’impegno del Papa è quello di ridare al mondo cristiano e postcristiano il senso di Dio. Egli ha celebrato in Africa una liturgia tradizionale che ha consentito una presenza del modo africano di esprimere la gioia e la partecipazione al culto con il canto e la danza, ma che è rimasta nel quadro del mistero cristiano celebrato secondo la tradizione della Chiesa cattolica. Si avverte sempre nelle sue parole il linguaggio dei Padri della Chiesa del primo millennio, in cui la vita divina comunicata dal Cristo nel mistero trinitario dà all’esperienza ecclesiale il senso del mistero e della mistica, il sapore dell’eternità nel tempo. La teologia contemporanea ha tolto al linguaggio cristiano le ricchezze della sua escatologia. L’anima cristiana non ha più parole e l’escatologia finale della resurrezione non ha più linguaggio. Rimane l’esperienza del mistero della Chiesa nel tempo. È attraverso il culto che il sapore dell’eternità entra nella vita cristiana e fa dell’evento cattolico non solo una partecipazione sociale ma l’esperienza del mistero divino della Trinità.
La centralità della liturgia spiega la volontà del Papa di riportare la liturgia tradizionale nel cuore della Chiesa, perché tutta la ricchezza del mistero che essa conservava si riversasse sulla vita della Chiesa, ritrovando il linguaggio del sacro, che non è la negazione, ma l’accesso al mistero e alla mistica. Una lettura comunitaria, umana e puramente sociale aveva pesato sulla nuova liturgia, intesa come una forma di socializzazione conviviale, con la fine del linguaggio del sacro che esprimeva la diversità del tempo e dello spazio in forma comunitaria. Il primo disegno di riforma conciliare era quello di riportare il mistero e la mistica alla dimensione comunitaria, senza negare la ricchezza della mistica personale che aveva arricchito la Chiesa nel secondo millennio cristiano.
La Chiesa ha conosciuto un periodo di secolarizzazione legato alla storia del ’900 e alla modernità. Ma si trova ora di fronte a un altro periodo, quello in cui la scienza e la tecnica costituiscono un nuovo universo, in cui la dimensione del Dio creatore sembra non avere alcuna parte e in cui l’uomo appare un frutto di una evoluzione puramente immanente. La negazione comunista di Dio, l’ateismo di Stato, costituiva una testimonianza indiretta al Dio negato e rendeva possibile un’esperienza religiosa motivata proprio dalla negazione di essa. Oggi non basta più la dimensione sociale del Cristianesimo, la sua capacità di parlare dei poveri e degli emarginati, la potenza della sua compassione, a motivare la realtà della fede.
Per questo papa Ratzinger mette così l’accento sul problema di Dio di cui la Chiesa rimane nel tempo dell’Occidente la testimonianza e il segno. Il linguaggio su Dio, e non quello sulla vita, è il tema principale che la potenza cosmica della conoscenza umana, l’invadenza della sua tecnica, l’incertezza delle conseguenze sociali del suo processo pongono alla Chiesa.
È il pericolo di una nuova totalità che esclude l’eccedenza dello spirito e della libertà, quindi della persona, nella vita sociale, una riforma più radicale dell’uomo nella dimensione di un corpo plasmabile dall’intervento dei tecnici del settore. Anche in Africa il Papa ha trovato questo mondo. Ma ha incontrato altresì il senso religioso dei popoli e ha potuto dare parole al linguaggio della giustizia rivolto, in nome dell’Africa, verso il mondo sviluppato, senza incorrere nei rischi della teologia della liberazione dell’America Latina. Il popolo africano è troppo diviso e oppresso per poter rigenerare ideologie ormai estinte.
In Africa il Papa ritrova il linguaggio su Dio nel modo della religione, della sua presenza e del suo significato che dà senso alla realtà. Nel momento in cui l’opinione pubblica e la politica occidentale lo pensano solo e fuori del proprio tempo, le Chiese africane lo accolgono come espressione del loro tempo, che è anch’esso un tempo del mondo. Ed è quindi motivato dai popoli tribali a parlare il linguaggio della libertà e della giustizia di fronte al potere della nuova totalità della scienza e della tecnica.

© Copyright La Stampa, 30 marzo 2009 consultabile online anche qui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

"In Africa il Papa ritrova il linguaggio su Dio nel modo della religione, della sua presenza e del suo significato che dà senso alla realtà" ha scritto Baget Bozzo su La Stampa. (Sic!). Come al solito, don Baget, non fa uso e limite alla sua ben nota e iper-sopravvalutata intelligenza a tutto tondo. Se questo fosse vero, e se le parole hanno un senso, allora mi chiedo? Se le cosè stanno come dice don Baget, il Papa, non poteva andarci prima in Africa? Io sono portato a pensare fermamente, in onore e amore allo Spirito santo che su tutti i cuori umani soffia, ogni Papa sia dotato delle parole di Dio, senza dover far alcun viaggio in qualsiasi parte del mondo. Ma si sa, a don Baget piace fare i ritirattini, i quadretti che toccano il cuore di chi si commuove di fronte all'immagine senza invece sporcarsi le mani del dolore vero e dell'odore della miseria.

Statemi accorti.
Matteo.