sabato 13 giugno 2009
Guarigioni miracolose? La parola anzitutto ai medici (Osservatore Romano)
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Lo studio medico delle guarigioni ritenute miracolose
Guarigioni miracolose?
La parola anzitutto ai medici
di Patrizio Polisca
Università di Tor Vergata
Presidente della Consulta Medica
della Congregazione delle Cause dei Santi
Lo studio scientifico delle guarigioni ritenute miracolose riveste un ruolo centrale nell'iter processuale di una causa di beatificazione o canonizzazione, ma il riconoscimento del "miracolo" non appartiene alla scienza medica, essendo una nozione di pertinenza teologica.
Il significato del "miracolo" è essenzialmente legato alla religione e alla teologia pur contenendo valenze di rilevanza scientifica e filosofica. Infatti da una parte esso si collega alle leggi naturali - ambito scientifico-filosofico - dall'altra rimanda alla sua significatività soprannaturale, ambito teologico. Che cosa può dire la scienza al riguardo? Le possibili risposte: trovarsi di fronte a un evento le cui cause sono ignote; trovarsi di fronte a un evento inusitato che contraddice l'esperienza comune (ad esempio: guarigione istantanea di grave malformazione congenita, reversibilità di un fenomeno certamente irreversibile); trovarsi di fronte a un certo evento il quale, in base alle conoscenze oggi acquisite, resta inusitato e inspiegabile.
Una parte preponderante dei miracoli è rappresentata, oggi come al tempo di Gesù, dai "miracoli di guarigione". Questo il motivo per il quale il loro studio medico-scientifico viene affidato a periti medici i quali, riuniti in Consulta medica - organo consultivo della Congregazione per le Cause dei Santi - appositamente istituita, sono chiamati a esprimere un giudizio finale di spiegabilità scientifica o meno circa la guarigione proposta. L'assetto definitivo della Consulta medica si deve a Pio XII, dopo la sua istituzione che risale a Sisto V.
Un giudizio conclusivo viene raggiunto in sede di Consulta medica, dopo le esposizioni dei periti d'ufficio, dei vari esperti, che a seconda della natura delle guarigioni in esame possono essere internisti, chirurghi, pediatri, cardiologi e così via, fino alla "discussione collegiale".
I procedimenti per giungere al definitivo giudizio non sono mai semplici poiché la documentazione presentata, cioè accertamenti vari, spesso complessi - esami radiologici, endoscopici, esami istologici, cardiologici, neurologici, oltre la valutazione delle testimonianze - è corposa e richiede competenze specifiche: neurologiche, cardiologiche, pediatriche, e via dicendo.
Il giudizio conclusivo della Consulta medica viene infine espresso attraverso la definizione della diagnosi della malattia con relativa prognosi, della terapia e infine, della guarigione stessa con riferimento alla sua spiegabilità scientifica o meno. Accertata all'unanimità o a netta maggioranza l'inspiegabilità di una determinata guarigione questa passa all'esame della Consulta teologica per la eventuale definizione di miracolo.
La metodologica attuata in sede di Consulta medica è la stessa che presiede alla ricerca scientifica la quale, prendendo le mosse dalla osservazione, passa alla formulazione dell'ipotesi interpretativa (diagnosi) con le conseguenti deduzioni e infine la verifica, decorso della malattia, sua guarigione o cronicizzazione o exitus. Certamente si tratta di una visione scientifica di stampo realista, consapevole di poter raggiungere una conoscenza reale dei fenomeni naturali attraverso la scoperta delle loro cause, presupponendo la nozione di un universo razionale. "È la razionalità del mondo a provocare nell'uomo la ricerca della causa dei fenomeni" diceva Max Planck. Al giudizio di spiegabilità scientifica delle guarigioni si perviene attraverso un percorso metodologico ormai ben consolidato e così individuabile.
La "malattia" può essere definita come la rottura del normale equilibrio fisiologico tra le funzioni vitali (omeostasi) basato su delicati meccanismi biologici di autoregolazione. La "diagnosi" è il giudizio attuale sulla malattia in esame e rappresenta una lettura adeguata del soggetto malato tramite l'osservazione e il collegamento logico della sintomatologia interpretata secondo un modello biologico.
La diagnosi deve essere di solito accreditata e suffragata da prove idonee al raggiungimento di un sufficiente livello di certezza. La povertà di prove valide o di limitato valore ai fini del giudizio diagnostico sulla malattia può indurre in errore o a difficoltà interpretative del caso clinico in esame. Soprattutto è dalla qualità delle prove diagnostiche assunte che si può desumere, con maggiore o minore certezza, l'attendibilità della diagnosi.
Il criterio delle prove diagnostiche è sempre da riportare all'epoca in cui esse furono eseguite. Se queste appartengono a casi clinici risalenti a molti anni prima, per cui è realmente impossibile rintracciare elementi di valutazione probanti, si parla di "caso storico".
La povertà diagnostica per esiguità di prove vincolanti o fortemente indicative di uno stato morboso inficia la plausibilità del giudizio diagnostico e, quindi, finale poiché vengono a mancare elementi di supporto affidabili e necessari per la giusta definizione interpretativa della patologia in questione.
Un aspetto essenziale della malattia è rappresentato dal suo "decorso" che si identifica con la sua storia naturale nei suoi tratti di durata, gravità e complicanze e che risulta decisivo ai fini del giudizio prognostico sulla malattia stessa. Appare, perciò, indispensabile la raccolta dei documenti medici riferentisi al periodo della malattia precedente la guarigione (certificazioni mediche, prove diagnostiche, cartelle cliniche, testimonianze del personale di assistenza, familiari e via dicendo, ottenuti tramite interrogatori particolareggiati sullo svolgimento dei fatti in sede processuale che extragiudiziale). Tutto ciò al fine di confrontare la compatibilità della guarigione con quanto si conosce della storia naturale della malattia in esame o in dipendenza di cure appropriate.
La prognosi, inoltre, rappresenta un giudizio di previsione, ossia di probabilità o possibilità circa il decorso e l'evoluzione della malattia per ciò che concerne la sopravvivenza quoad vitam o il recupero funzionale, quoad valetudinem.
Ai fini della spiegabilità della asserita guarigione miracolosa è di fondamentale importanza studiare da parte dei periti il rapporto di causalità tra guarigione e terapia "ricercandone la proporzionalità causale efficiente". Soprattutto l'esame e il giudizio dei periti medici viene focalizzato sulla sufficienza o sull'insufficienza causale della terapia a risolvere una certa situazione, a seconda delle possibili scelte terapeutiche del momento.
La guarigione per essere definita scientificamente non spiegabile o straordinaria - i termini devono essere assunti quali sinonimi - e quindi utile alla definizione teologica di miracolo necessita di speciali attribuzioni.
Si deve al cardinale Prospero Lambertini, poi Benedetto XIV, il merito di aver precisato le caratteristiche del miracolo anche sotto l'aspetto medico-scientifico. Infatti nella De servorum beatificatione et beatorum canonizatione (libro IV, capitolo VIII, 2 - 1734) egli fissava precisi criteri per il riconoscimento della straordinarietà o inspiegabilità di una guarigione: Primum est, ut morbus sit gravis, et vel impossibilis, vel curatu difficilis ("bisogna che la malattia sia grave, incurabile o difficoltosa a trattarsi"). Secundum, ut morbus, qui depellitur, non sit in ultima parte status, ita ut non multo post declinare debeat ("in secondo luogo, bisogna che la malattia vinta non sia all'ultimo stadio o al punto da poter guarire spontaneamente"). Tertium, ut nulla fuerit adhibita medicamenta, vel, si fuerint adhibita, certum sit, ea non profuisse ("in terzo luogo occorre che nessun farmaco sia stato impiegato, o, se impiegato, che ne sia stata accertata la mancanza di effetti"). Quartum, ut sanatio sit subita, et momentanea ("in quarto luogo bisogna che la guarigione avvenga all'improvviso e istantaneamente"). Quintum, ut sanatio sit perfecta, non manca, aut concisa ("in quinto luogo è necessario che la guarigione sia perfetta, e non difettosa o parziale"). Sextum, ut nulla notatu digna evacuatio, seu crisis praecedat temporibus debitis, et cum causa; si enim ita accidat, tunc vero prodigiosa sanatio dicenda non erit, sed vel ex voto, vel ex parte naturalis ("in sesto luogo bisogna che ogni escrezione o crisi degne di nota siano avvenute a tempo debito, ragionevolmente in dipendenza di una causa accertata, precedentemente alla guarigione; in tale eventualità la guarigione non sarebbe da considerare prodigiosa, ma piuttosto, totalmente o parzialmente naturale"). Ultimum, ut sublatus morbus non redeat ("per ultimo bisogna che la malattia debellata non si riproduca").
I criteri stabiliti da Benedetto XIV sottendono, realmente: una forte sproporzione tra la guarigione e la gravità della malattia iniziale che appare inguaribile o difficilmente curabile; il mancato rapporto causale con la terapia praticata; la rapidità della risoluzione; la completezza della guarigione e la stabilità nel tempo della stessa. Questi rappresentano anche al presente il giusto riferimento per il giudizio di non-spiegabilità poiché colgono realmente nella sua sostanza l'inspiegabilità del fenomeno definendo compiutamente una guarigione "non scientificamente spiegabile".
Una guarigione che contenga i caratteri della inspiegabilità, sopra esposti, mostra, alla interpretazione clinico-biologica un imprevedibile salto qualitativo, di ordine essenziale, cioè riguardante la intrinseca natura o sostanza degli avvenimenti biologici che esulano dalle ordinarie previsioni rendendosi evidente la loro innaturale risoluzione. In tali casi la guarigione non appare più compatibile con le leggi scientifiche conosciute.
(©L'Osservatore Romano - 12-13 giugno 2009)
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