domenica 18 ottobre 2009

Card. Bagnasco: «La Chiesa non può tacere, peccherebbe di omissione. L’ora di religione islamica non fa parte della nostra cultura» (Vecchi)


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L’intervista - «La Chiesa non può tacere, peccherebbe di omissione. Vicina la scelta del nuovo direttore di Avvenire»

Bagnasco: no ai conflitti su tutto
L’Italia ha bisogno di coesione


Il capo dei vescovi: l’ora di religione islamica non fa parte della nostra cultura

Gian Guido Vecchi

La «lotta di tutti contro tutti» e il «clima di scontro sistematico alimentato ad arte» im­pediscono di vedere i problemi reali e fanno male a un Paese che ha bisogno di «coesione nazionale», perché «nessuno che abbia un minimo di buon senso può pensare di avvan­taggiarsi dei disastri altrui».
Il cardinale An­gelo Bagnasco, per la prima volta dopo il ca­so Boffo, parla dei rapporti tra la Cei e la Se­greteria di Stato e della situazione nella Chie­sa. E ancora interviene su immigrazione, omofobia, testamento biologico, ora di reli­gione islamica: delineando la «visione della vita alternativa» di una Chiesa che rifiuta d’essere ridotta a «parte politica», non vuole «imporre» nulla ma rivendica la libertà di parlare e «contribuire al bene comune».

Eminenza, il mese scorso descriveva un’Italia «attraversata ciclicamente da un malessere tenace quanto misterioso», fat­to di «risentimenti» e «contrapposizione permanente». E chiedeva di «voltare pagi­na ». A che punto siamo?

«Quando la polemica prende il sopravven­to sui problemi reali della gente, come ad esempio l’occupazione o la sanità, la politica smarrisce il suo fine. Il rischio viene da lonta­no e certamente il bipolarismo ha enfatizza­to, ma non creato la nostra atavica tendenza a dividerci piuttosto che ad affrontare le que­stioni nodali del Paese».

E quindi?

«Non credo giovi a nessuno questo scon­tro sistematico su tutto, alimentato ad arte, e cercato come fine a se stesso. Sono persuaso che la crisi economica imponga misure con­divise e pesi equamente ripartiti se non vo­gliamo sciupare quella risorsa a beneficio di tutti che è la coesione nazionale».

Quanto lo scontro tra fazioni riflette il clima politico o mediatico e quanto invece la realtà del Paese?

«Lo scontro in atto riflette quel virus indi­vidualista che ha derubato la coscienza mo­derna di una certezza elementare, e cioè che si sta tutti sulla stessa barca. Se manca la co­scienza della relazione come asse portante dell’esistere, come ci ha pure ricordato Bene­detto XVI nella Caritas in veritate , va da sé privilegiare la parte rispetto al tutto, muover­si quindi in ordine sparso, in una sorta di lot­ta di tutti contro tutti».

Con il caso Boffo, il direttore di Avvenire che si è dimesso dopo l’attacco del Giorna­le ,anche la Chiesa è stata coinvolta negli scontri. Si è avvertita una mancanza di sin­tonia tra Cei e Segreteria di Stato, sullo sfondo il dissidio sulla «guida» nei rappor­ti con la politica. Cambia la relazione tra Chiesa e politica?

«Personalmente non vedo in atto degli scontri nella Chiesa, tantomeno tra la Cei e la Santa Sede. So piuttosto che c’è una sorta di divisione dei compiti che corrisponde alla di­versa fisionomia delle due realtà che assolvo­no a compiti asimmetrici, essendo noi solo una espressione locale a differenza dell’altra che ha invece una vocazione universale».

Quali compiti, in sostanza?

«La Cei, come del resto ogni Conferenza episcopale del mondo, ha come compito, se­condo le indicazioni esplicite della lettera apostolica Apostolos suos , al numero 15, 'la promozione e la tutela della fede e dei costu­mi, la traduzione dei libri liturgici, la promo­zione e la formazione delle vocazioni sacer­dotali, la messa a punto dei sussidi per la ca­techesi, la promozione e la tutela delle uni­versità cattoliche e di altre istituzioni educati­ve, l’impegno ecumenico, i rapporti con le autorità civili, la difesa della vita umana, del­la pace, dei diritti umani, anche perché ven­gano tutelati dalla legislazione civile, la pro­mozione della giustizia sociale, l’uso dei mez­zi di comunicazione sociale'. Differente e de­cisamente con un respiro più internazionale è il lavoro della Santa Sede che si fa carico sul piano diplomatico dei rapporti con i sin­goli Stati».

Si dice che la stagione del «ruinismo», della Chiesa che parla «a voce alta», appar­tenga ormai alla storia.

«Come ebbe modo di scrivergli personal­mente lo stesso Benedetto XVI il 23 marzo 2007, alla fine del suo mandato, il cardinale Ruini 'ha guidato i vescovi italiani in una fa­se delicata e cruciale della storia del popolo italiano' e 'con tenacia e coraggio' ha così 'reso un servizio non solo al Popolo di Dio ma all’intera Nazione italiana'. La stagione del mio predecessore va interpretata però non semplicemente come una vicenda lega­ta alla sua persona, ma come una fedele inter­pretazione della linea di Giovanni Paolo II prima e poi di Benedetto XVI».

Alcuni temono che il suo ruolo di presi­dente della Cei si faccia più arduo.

«Non esiste una Chiesa dell’era Ruini e og­gi una Chiesa dell’era Bagnasco perché la Chiesa anzitutto appartiene solo a Gesù Cri­sto e, nel caso specifico, la Chiesa che è in Italia intende essere vicina al magistero del Papa, per tradurne le istanze nel nostro con­testo. Questa a me pare la prospettiva da pri­vilegiare: senza operare riduzioni troppo per­sonalistiche e lasciando emergere che se una linea c’è è quella che si lascia ispirare dalla vicinanza non solo geografica con il Santo Pa­dre ».

Lei ha detto che la Chiesa non può esse­re né «coartata» né «intimidita». Vi siete sentiti strumentalizzati?

«La Chiesa non è conosciuta realmente per quello che pensa e per quello che fa. Spes­so si va avanti per luoghi comuni, rieditando interpretazioni superate dalla storia. Ad esempio, continuare a presentarci sempre co­me una parte politica e non invece come una istanza religiosa e culturale che ha tutto il di­ritto di entrare nei dibattiti pubblici che han­no a che fare con l’uomo e con la società, è riduttivo. Così come perpetuare pregiudizi di vario genere che tendono a fare una carica­tura delle nostre posizioni piuttosto che cer­care di porsi in dialogo con esse è ugualmen­te riduttivo. Penso che anche oggi, come in ogni epoca storica, la Chiesa sia portatrice di una visione della vita alternativa e spesso in controtendenza che non vuole imporre: chie­de solo di essere lasciata libera di proporla, nella ferma convinzione di contribuire al be­ne comune».

È passato un mese e non avete ancora no­minato il nuovo direttore di Avvenire.Qua­le figura state cercando?

«La scelta è vicina, trattandosi di una per­sona che deve incarnare il sentire cattolico dentro le trame delle vicende quotidiane, con uno sguardo capace di far emergere la realtà ancor prima delle sue interpretazio­ni ».

Si racconta che i candidati considerati graditi alla Segreteria di Stato siano guar­dati con sospetto alla Cei, e viceversa...

«È un’illazione che non gode del conforto della realtà. I rapporti sono improntati a grande stima, affetto e collaborazione, nel ri­spetto delle responsabilità asimmetriche di cui ciascuno si fa carico per il bene della Chie­sa, del Paese e del mondo».

Al sinodo per l’Africa si denuncia la di­sperazione degli immigrati respinti. Come devono cambiare le leggi?

«Il problema dell’immigrazione non può essere risolto nel chiuso del nostro Paese per­ché si tratta di un fenomeno globale che esi­ge una risposta concertata. Penso che l’Euro­pa non possa rinnegare le sue radici cristiane che ne hanno fatto storicamente una terra di passaggio e di progressiva integrazione, at­traverso una politica che sappia rigorosa­mente tenere insieme il principio dell’acco­glienza e quello della legalità. La storia è lì per ricordarci, casomai la memoria fosse sva­nita, che anche in epoche molto più statiche e lontane il mondo è sempre stato attraversa­to dalle persone e dalle merci. Perché pro­prio quando il mondo si è fatto ancora più piccolo dovremmo bloccare questo processo di sempre?».

Ha parlato di una «deriva mediatica» che altera le parole di Benedetto XVI. Da co­sa sarebbe motivata?

«Si preferisce talvolta una lettura parziale che tende a distorcere il messaggio evangeli­co perché appaia o risuoni come incoerente o anacronistico, e la Chiesa venga dipinta co­me animata solo dalla volontà 'di alzare mu­ri e scavare fossati', soprattutto in materia di etica. In realtà, a ben guardare, dietro ogni 'no' della Chiesa c’è sempre e ancor prima un 'sì', ben più grande e impegnativo».

C’è un annoso problema sul rapporto tra principi etici e leggi. Il testamento biologi­co, ad esempio: si vuole imporre per legge la nutrizione e l’idratazione forzata, ma non è forse la coscienza il luogo ultimo del­le decisioni etiche?

«La coscienza retta e formata resta sempre l’ultima frontiera davanti a cui arrestarsi, ma solo una visione individualista potrebbe ri­durla a un soliloquio. In realtà nessuna deci­sione è umana se vissuta nell’isolamento e non aperta a un confronto con gli altri e, pri­ma ancora, con la verità delle cose. È innega­bile che il momento della prova estrema è og­gi vissuto sempre più in solitudine, ma que­sto è più l’effetto di un degrado umano che non la prova della nostra civiltà».

Dopo l’affossamento della legge antio­mofobia — e le polemiche sulla deputata cattolica del Pd, Paola Binetti, che ha vota­to per l’incostituzionalità — si accusano cattolici e Chiesa d’essere indifferenti alle ripetute aggressioni contro i gay.

«La Chiesa non è contro nessuno, tanto­meno contro le persone, di qualsiasi orienta­mento sessuale esse siano. La violenza e l’ag­gressione sono sempre gratuite e inaccettabi­li. La Chiesa ritiene poi che la sessualità sia l’incontro tra persone di sesso diverso in un contesto stabile e fecondo. Si può non condi­videre questa lettura del dato antropologico, ma la Chiesa non può venire meno a questo che è un dato non solo religioso o culturale, ma profondamente naturale, e che essa pro­pone a tutti senza discriminare nessuno».

Si propone l’ora di religione islamica nel­le scuole, lei che ne dice?

«L’ora di religione cattolica, nelle scuole di Stato, si giustifica in base all’articolo 9 del Concordato, in quanto essa è parte integran­te della nostra storia e della nostra cultura. Pertanto, la conoscenza del fatto religioso cattolico è condizione indispensabile per la comprensione della nostra cultura e per una convivenza più consapevole e responsabile.
Non si configura, quindi, come una cateche­si confessionale, ma come una disciplina cul­turale nel quadro delle finalità della scuola. Non mi pare che l’ora di religione ipotizzata corrisponda a questa ragionevole e ricono­sciuta motivazione».

Il cardinale Carlo Maria Martini scriveva sulCorriere :«Io ritengo che la Chiesa deb­ba intervenire poco e solo quando è vera­mente necessario». È d’accordo?

«Credo che il problema non sia il molto o il poco intervenire sulla scena pubblica, pur apprezzando personalmente una certa so­brietà sia nel parlare che nello scrivere. Pen­so che il criterio vero sia l’uomo e il suo desti­no: specie quando è messo in crisi, la Chiesa, che dell’uomo è amica e alleata, non può ta­cere. Sarebbe peccato di omissione. Essa è in­viata ad annunciare a tutti la grande speran­za che è il Signore Gesù».

© Copyright Corriere della sera, 18 ottobre 2009 consultabile online anche qui.

2 commenti:

Carla ha detto...

Non ho capito bene questa proposta sull'ora di religione islamica. Si tratta di inquadrarla tra gli insegnamenti alternativi che la legge prevede possono essere impartiti agli alunni che non hanno chiesto di fruire dell'ora di religione?

Karol ha detto...

sempre pacato e ragionevole il Card. Bagnasco: merce rara oramai, tra laici e consacrati.