domenica 18 ottobre 2009
Card. Bagnasco: «La Chiesa non può tacere, peccherebbe di omissione. L’ora di religione islamica non fa parte della nostra cultura» (Vecchi)
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SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG
L’intervista - «La Chiesa non può tacere, peccherebbe di omissione. Vicina la scelta del nuovo direttore di Avvenire»
Bagnasco: no ai conflitti su tutto
L’Italia ha bisogno di coesione
Il capo dei vescovi: l’ora di religione islamica non fa parte della nostra cultura
Gian Guido Vecchi
La «lotta di tutti contro tutti» e il «clima di scontro sistematico alimentato ad arte» impediscono di vedere i problemi reali e fanno male a un Paese che ha bisogno di «coesione nazionale», perché «nessuno che abbia un minimo di buon senso può pensare di avvantaggiarsi dei disastri altrui».
Il cardinale Angelo Bagnasco, per la prima volta dopo il caso Boffo, parla dei rapporti tra la Cei e la Segreteria di Stato e della situazione nella Chiesa. E ancora interviene su immigrazione, omofobia, testamento biologico, ora di religione islamica: delineando la «visione della vita alternativa» di una Chiesa che rifiuta d’essere ridotta a «parte politica», non vuole «imporre» nulla ma rivendica la libertà di parlare e «contribuire al bene comune».
Eminenza, il mese scorso descriveva un’Italia «attraversata ciclicamente da un malessere tenace quanto misterioso», fatto di «risentimenti» e «contrapposizione permanente». E chiedeva di «voltare pagina ». A che punto siamo?
«Quando la polemica prende il sopravvento sui problemi reali della gente, come ad esempio l’occupazione o la sanità, la politica smarrisce il suo fine. Il rischio viene da lontano e certamente il bipolarismo ha enfatizzato, ma non creato la nostra atavica tendenza a dividerci piuttosto che ad affrontare le questioni nodali del Paese».
E quindi?
«Non credo giovi a nessuno questo scontro sistematico su tutto, alimentato ad arte, e cercato come fine a se stesso. Sono persuaso che la crisi economica imponga misure condivise e pesi equamente ripartiti se non vogliamo sciupare quella risorsa a beneficio di tutti che è la coesione nazionale».
Quanto lo scontro tra fazioni riflette il clima politico o mediatico e quanto invece la realtà del Paese?
«Lo scontro in atto riflette quel virus individualista che ha derubato la coscienza moderna di una certezza elementare, e cioè che si sta tutti sulla stessa barca. Se manca la coscienza della relazione come asse portante dell’esistere, come ci ha pure ricordato Benedetto XVI nella Caritas in veritate , va da sé privilegiare la parte rispetto al tutto, muoversi quindi in ordine sparso, in una sorta di lotta di tutti contro tutti».
Con il caso Boffo, il direttore di Avvenire che si è dimesso dopo l’attacco del Giornale ,anche la Chiesa è stata coinvolta negli scontri. Si è avvertita una mancanza di sintonia tra Cei e Segreteria di Stato, sullo sfondo il dissidio sulla «guida» nei rapporti con la politica. Cambia la relazione tra Chiesa e politica?
«Personalmente non vedo in atto degli scontri nella Chiesa, tantomeno tra la Cei e la Santa Sede. So piuttosto che c’è una sorta di divisione dei compiti che corrisponde alla diversa fisionomia delle due realtà che assolvono a compiti asimmetrici, essendo noi solo una espressione locale a differenza dell’altra che ha invece una vocazione universale».
Quali compiti, in sostanza?
«La Cei, come del resto ogni Conferenza episcopale del mondo, ha come compito, secondo le indicazioni esplicite della lettera apostolica Apostolos suos , al numero 15, 'la promozione e la tutela della fede e dei costumi, la traduzione dei libri liturgici, la promozione e la formazione delle vocazioni sacerdotali, la messa a punto dei sussidi per la catechesi, la promozione e la tutela delle università cattoliche e di altre istituzioni educative, l’impegno ecumenico, i rapporti con le autorità civili, la difesa della vita umana, della pace, dei diritti umani, anche perché vengano tutelati dalla legislazione civile, la promozione della giustizia sociale, l’uso dei mezzi di comunicazione sociale'. Differente e decisamente con un respiro più internazionale è il lavoro della Santa Sede che si fa carico sul piano diplomatico dei rapporti con i singoli Stati».
Si dice che la stagione del «ruinismo», della Chiesa che parla «a voce alta», appartenga ormai alla storia.
«Come ebbe modo di scrivergli personalmente lo stesso Benedetto XVI il 23 marzo 2007, alla fine del suo mandato, il cardinale Ruini 'ha guidato i vescovi italiani in una fase delicata e cruciale della storia del popolo italiano' e 'con tenacia e coraggio' ha così 'reso un servizio non solo al Popolo di Dio ma all’intera Nazione italiana'. La stagione del mio predecessore va interpretata però non semplicemente come una vicenda legata alla sua persona, ma come una fedele interpretazione della linea di Giovanni Paolo II prima e poi di Benedetto XVI».
Alcuni temono che il suo ruolo di presidente della Cei si faccia più arduo.
«Non esiste una Chiesa dell’era Ruini e oggi una Chiesa dell’era Bagnasco perché la Chiesa anzitutto appartiene solo a Gesù Cristo e, nel caso specifico, la Chiesa che è in Italia intende essere vicina al magistero del Papa, per tradurne le istanze nel nostro contesto. Questa a me pare la prospettiva da privilegiare: senza operare riduzioni troppo personalistiche e lasciando emergere che se una linea c’è è quella che si lascia ispirare dalla vicinanza non solo geografica con il Santo Padre ».
Lei ha detto che la Chiesa non può essere né «coartata» né «intimidita». Vi siete sentiti strumentalizzati?
«La Chiesa non è conosciuta realmente per quello che pensa e per quello che fa. Spesso si va avanti per luoghi comuni, rieditando interpretazioni superate dalla storia. Ad esempio, continuare a presentarci sempre come una parte politica e non invece come una istanza religiosa e culturale che ha tutto il diritto di entrare nei dibattiti pubblici che hanno a che fare con l’uomo e con la società, è riduttivo. Così come perpetuare pregiudizi di vario genere che tendono a fare una caricatura delle nostre posizioni piuttosto che cercare di porsi in dialogo con esse è ugualmente riduttivo. Penso che anche oggi, come in ogni epoca storica, la Chiesa sia portatrice di una visione della vita alternativa e spesso in controtendenza che non vuole imporre: chiede solo di essere lasciata libera di proporla, nella ferma convinzione di contribuire al bene comune».
È passato un mese e non avete ancora nominato il nuovo direttore di Avvenire.Quale figura state cercando?
«La scelta è vicina, trattandosi di una persona che deve incarnare il sentire cattolico dentro le trame delle vicende quotidiane, con uno sguardo capace di far emergere la realtà ancor prima delle sue interpretazioni ».
Si racconta che i candidati considerati graditi alla Segreteria di Stato siano guardati con sospetto alla Cei, e viceversa...
«È un’illazione che non gode del conforto della realtà. I rapporti sono improntati a grande stima, affetto e collaborazione, nel rispetto delle responsabilità asimmetriche di cui ciascuno si fa carico per il bene della Chiesa, del Paese e del mondo».
Al sinodo per l’Africa si denuncia la disperazione degli immigrati respinti. Come devono cambiare le leggi?
«Il problema dell’immigrazione non può essere risolto nel chiuso del nostro Paese perché si tratta di un fenomeno globale che esige una risposta concertata. Penso che l’Europa non possa rinnegare le sue radici cristiane che ne hanno fatto storicamente una terra di passaggio e di progressiva integrazione, attraverso una politica che sappia rigorosamente tenere insieme il principio dell’accoglienza e quello della legalità. La storia è lì per ricordarci, casomai la memoria fosse svanita, che anche in epoche molto più statiche e lontane il mondo è sempre stato attraversato dalle persone e dalle merci. Perché proprio quando il mondo si è fatto ancora più piccolo dovremmo bloccare questo processo di sempre?».
Ha parlato di una «deriva mediatica» che altera le parole di Benedetto XVI. Da cosa sarebbe motivata?
«Si preferisce talvolta una lettura parziale che tende a distorcere il messaggio evangelico perché appaia o risuoni come incoerente o anacronistico, e la Chiesa venga dipinta come animata solo dalla volontà 'di alzare muri e scavare fossati', soprattutto in materia di etica. In realtà, a ben guardare, dietro ogni 'no' della Chiesa c’è sempre e ancor prima un 'sì', ben più grande e impegnativo».
C’è un annoso problema sul rapporto tra principi etici e leggi. Il testamento biologico, ad esempio: si vuole imporre per legge la nutrizione e l’idratazione forzata, ma non è forse la coscienza il luogo ultimo delle decisioni etiche?
«La coscienza retta e formata resta sempre l’ultima frontiera davanti a cui arrestarsi, ma solo una visione individualista potrebbe ridurla a un soliloquio. In realtà nessuna decisione è umana se vissuta nell’isolamento e non aperta a un confronto con gli altri e, prima ancora, con la verità delle cose. È innegabile che il momento della prova estrema è oggi vissuto sempre più in solitudine, ma questo è più l’effetto di un degrado umano che non la prova della nostra civiltà».
Dopo l’affossamento della legge antiomofobia — e le polemiche sulla deputata cattolica del Pd, Paola Binetti, che ha votato per l’incostituzionalità — si accusano cattolici e Chiesa d’essere indifferenti alle ripetute aggressioni contro i gay.
«La Chiesa non è contro nessuno, tantomeno contro le persone, di qualsiasi orientamento sessuale esse siano. La violenza e l’aggressione sono sempre gratuite e inaccettabili. La Chiesa ritiene poi che la sessualità sia l’incontro tra persone di sesso diverso in un contesto stabile e fecondo. Si può non condividere questa lettura del dato antropologico, ma la Chiesa non può venire meno a questo che è un dato non solo religioso o culturale, ma profondamente naturale, e che essa propone a tutti senza discriminare nessuno».
Si propone l’ora di religione islamica nelle scuole, lei che ne dice?
«L’ora di religione cattolica, nelle scuole di Stato, si giustifica in base all’articolo 9 del Concordato, in quanto essa è parte integrante della nostra storia e della nostra cultura. Pertanto, la conoscenza del fatto religioso cattolico è condizione indispensabile per la comprensione della nostra cultura e per una convivenza più consapevole e responsabile.
Non si configura, quindi, come una catechesi confessionale, ma come una disciplina culturale nel quadro delle finalità della scuola. Non mi pare che l’ora di religione ipotizzata corrisponda a questa ragionevole e riconosciuta motivazione».
Il cardinale Carlo Maria Martini scriveva sulCorriere :«Io ritengo che la Chiesa debba intervenire poco e solo quando è veramente necessario». È d’accordo?
«Credo che il problema non sia il molto o il poco intervenire sulla scena pubblica, pur apprezzando personalmente una certa sobrietà sia nel parlare che nello scrivere. Penso che il criterio vero sia l’uomo e il suo destino: specie quando è messo in crisi, la Chiesa, che dell’uomo è amica e alleata, non può tacere. Sarebbe peccato di omissione. Essa è inviata ad annunciare a tutti la grande speranza che è il Signore Gesù».
© Copyright Corriere della sera, 18 ottobre 2009 consultabile online anche qui.
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2 commenti:
Non ho capito bene questa proposta sull'ora di religione islamica. Si tratta di inquadrarla tra gli insegnamenti alternativi che la legge prevede possono essere impartiti agli alunni che non hanno chiesto di fruire dell'ora di religione?
sempre pacato e ragionevole il Card. Bagnasco: merce rara oramai, tra laici e consacrati.
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