domenica 29 marzo 2009

L'uovo di giornata: La Litizzetto, i preservativi e il Papa


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L'uovo di giornata

La Litizzetto, i preservativi e il Papa

Dopo aver pubblicato gli articoli di Pietro De Marco e di Carlo Meroni sulla polemica contro il Papa per le sue parole su Aids e preservativi avevo l’impressione che il più e il meglio fosse già detto.
Poi c’è stato l’exploit di Luciana Litizzetto a Che tempo che Fa e una disputa con un amico esperto di marketing.
Allora ho pensato che c’era ancora qualcosa da aggiungere. La comica e il mio amico hanno infatti utilizzato argomenti che al fondo si somigliano. Quella irresistibile linguacciuta della Litizzetto a un certo punto ha gridato: “Dire che il preservativo non serve è una bugia. È come dire che le cinture di sicurezza in auto non evitano gli incidenti mortali. Se vai a 200 all´ora può essere che ti spetasci, ma il più delle volte servono”. Il mio amico ha fatto un ragionamento simile: lui si vanta di occuparsi di “prodotti”, si picca di andare al sodo. Secondo lui la comunicazione del Papa è stata un errore in termini di marketing: ha danneggiato l’immagine di un prodotto che si è rivelato utile senza acquisire un vantaggio concorrenziale verso il suo brand.
Fica questa idea del marketing e dei prodotti, suona moderna, concreta, laica. E bella la storia delle cinture di sicurezza: dopo un primo momento di rifiuto oggi ce le mettiamo tutti (anche perché le auto ci assordano di bip) e guidare ci piace quanto prima. Ma portato fino in fondo questo ragionamento si ritorce contro i suoi sostenitori, la Litizzetto, il mio amico e tantissimi come loro, moderni, laici e concreti.
Ragioniamo infatti in termini di prodotto. Poniamo che un commerciante di biciclette giunga in un paese dove l’auto la fa da padrone. Non solo, gli abitanti di questo paese sono dei veri e propri maniaci delle corse anche se il contesto non lo consiglierebbe. Le strade non sono asfaltate, non c’è segnaletica né codice della strada: ognuno guida come gli pare e va dove più gli piace senza curarsi delle conseguenze. Risultato: ogni anno centinaia di morti e feriti per incidenti stradali. Ma c’è di più, la vita in quel paese è un inferno per tutti: ingorghi di traffico ovunque, e poi inquinamento, rumore, caos.
Da qualche tempo nel paese è diventato obbligatorio l’uso delle cinture di sicurezza, se ne importano a milioni perché il paese non è in grado di produrle. Gli automobilisti dal canto loro le indossano di malavoglia e spesso neppure nel modo giusto, non sono giudicate “cool”, non rispecchiano il mito del pilota dominante che divora la strada con un ruggito. Roba per signorine in utilitaria insomma.
Il nostro venditore di biciclette prima di dispera, poi si rimbocca le maniche e comincia la sua bella campagna di marketing. Lui vuole vendere biciclette e vuole convincere gli abitanti del paese che questo migliorerebbe molto la loro qualità della vita nel complesso. Meno morti sulle strade, meno passanti investiti, meno traffico, meno inquinamento, un rapporto diverso con l’ambiente e con il tempo. E’ una rivoluzione nei comportamenti quella che propone e pensa che ogni bicicletta venduta è qualcosa di più che una vita salvata, contribuisce alla salvezza di tutta la comunità. Diciamo che sceglie un marketing alla “pubblicità progresso”: funziona e gli conviene.
Le repliche della concorrenza automobilistica non tardano a farsi sentire e una su tutte: “ma come, abbiamo fatto installare le cinture di sicurezza, salvano delle vite: vuoi forse ancora più morti?”. Ma lui ha la risposta pronta: pensate che bastino le cinture per questo casino di paese? Ci vuole ben altro per fermare la mattanza. Ci vuole che migliorino le strade, che ci sia la segnaletica, il codice; serve che cambino le abitudini, non si può prendere la macchina per ogni minino spostamento, non si può pretendere di avere due, tre quattro macchine da guidare come pazzi.
Anche l’aria è ormai irrespirabile: le cinture non sono la soluzione di tutto questo, anzi, magari, a volte, danno quel senso di sicurezza in più che ti fa andare a 200 all’ora e “spetasciare” anche peggio.
Le macchine, dice il venditore di biciclette, utilizzatele pure, quando dovete fare viaggi lunghi e impegnativi, dove riscoprire il piacere della guida e del viaggio. Non fatene un pazzesco autoscontro cittadino.
Per il venditore di biciclette la questione delle cinture è marginale, non è la soluzione. Il suo messaggio punta più alto: la cintura forse ti salva la vita, la bici certamente te la cambia. Potrete essere contrari alle biciclette, odiarne persino la vista (tanto nessuno vi costringerà a comprarla), ma non potete negare che il venditore di biciclette fa il suo mestiere e anche bene.

© Copyright L'Occidentale, 28 marzo 2009

6 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sembra che all'esempio delle cinture di sicurezza manchino alcuni elementi di non secondaria importranza per una corretta valutazione. Probabilmente la Luciana voleva darli ma nella foga se ne è scordata. Queste sacrosante cinture di sicurezza hanno alcune peculiarità che le tolgono un pochino dell'aura di salvatrici universali. Dunque:

1) Alcune pur all'apparenza integre durante l'incidente non reggono alla decelerazione del corpo e si rompono senza frenarlo;

2) Alcune sembrano agganciate bene ma al momento dell'incidente si aprono senza opporre resistenza;

3) Alcune trascorso qualche giorno sotto il sole diventano di burro pur rimanendo all'apparenza solide;

4) Vanno allacciate solo oltre una certa velocità (quando il rischio sale) mentre nessuno le usa quando procede a velocità più o meno moderata per scaldare il motore :-)

Contando su di esse è impossibile abbattere la mortalità a zero perchè in concomitanza dell'evento avverso o non sono attivate o possono essere del tutto inefficaci. La loro infingardia maggiore però è dovuta al fatto che tra quelle efficaci e quelle non efficaci non vi è alcuna differenza chiaramente visibile. Chi le indossa pensa sempre di averne una valida mentre di questo se ne potrà accertare solo dopo l'incidente. Oltretutto all'atto del montaggio il venditore aveva persuaso della bontà del prodotto non citando la possibilità di essere scoperti da protezione nel bisogno. Così tutti viaggiavano con questa potenzialmente illusoria sicurezza riducendo ulteriormente il seguito alle comuni norme di prudenza. Effettivamente questa situazione potrebbe incrementare la ricorrenza degli incidenti fino a vanificare la diminuzione della mortalità per ogni evento. In ultima analisi è possibile formulare l'ipotesi (largamente verificata alla prova sperimentale) che queste cinture di sicurezza possono aumentare la mortalità complessiva secondo un semplice principio matematico: numero incidenti/diminuzione relativa mortalità dovuta a cinture*incremento incidenti ove l'ultimo fattore sia maggiore del secondo. Chi può sostenere che questa evenienza non sia possibile?

Mi rivengono in mente le parole di un certo Joseph...

Saluti e buona domenica a tutti.

Stefano G.

Carla ha detto...

Affidarsi solo al preservativo per combattere l'AIDS è come contare solo sugli analgesici per il mal di testa, senza sconfiggere le cause. Quindi del preservativo si può dire solo che è meglio di niente. e comunque, sull'efficacia, si potrebbe citare (come Ferrara, in un articolo pubblicato anche su qusto blog) l'esempio di Washington D.C. - dove certo non mancano i preservativi, così diffusi che te li tirano dietro - e la sua altissima percentuale di malati di AIDS, pari a quella di alcune zone dell'Africa particolarmente colpite da questo flagello. Per cui, si rende necessario promuovere comportamenti contro la promiscuità sessuale. Ah, già, però dimenticavo. Questo è da stato etico e non da stato laico, come direbbe "saggiamente" il nostro Presidente della Camera che ieri ha criticato la legge sul testamento biologico.

Anonimo ha detto...

Credo che il presidente della Camera cominci ad avere la fissazione della laicità dello stato come tanti " laiconi" che non vanno più in la del loro naso.
Il lavaggio del cervello lo vada a fare a chi a voglia di starlo a sentire.

gianniz ha detto...

Secondo voi, è possibile che uno stato, laico o meno, sia a-etico?

Anonimo ha detto...

no, a meno di diventare anarchico

Carla ha detto...

Infatti, questa contrapposizione tra stato etico e stato laico è piuttosto, inconsistente, e prescinde dal diritto naturale come substrato del diritto positivo, postulato, quest'ultimo, universalmente riconosciuto, perfino (anche se solo a parole) dai cc.dd. "paladini della laicità".