venerdì 23 ottobre 2009

La strada per Roma degli Anglicani (Paolo Gulisano)


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La strada per Roma degli anglicani

di Paolo Gulisano*

ROMA, venerdì, 23 ottobre 2009 (ZENIT.org).

Un secolo fa lo scrittore inglese Hilaire Belloc pubblicava un volume dal titolo “The path to Rome”, la strada per Roma (Il volume sarà preso rieditato in Italia). Si trattava del resoconto del pellegrinaggio a piedi effettuato dallo stesso autore da Toul, in Francia, fino alla Città Santa. Tale viaggio era tuttavia anche una trasparente metafora del cammino verso il Centro della Chiesa, verso Roma, che tutta l’Europa è chiamata a fare se non vuole smarrire definitivamente la propria anima e la propria identità. Belloc era un cattolico inglese, figlio di una illustre convertita che apparteneva al movimento di rinascita cattolica in Inghilterra che aveva avuto i suoi protagonisti nel cardinale Manning e soprattutto nel cardinale John Henry Newman, prossimo Beato.
La via per Roma indicata cento anni fa da Belloc, che fu protagonista della cultura britannica e fautore della conversione al cattolicesimo di un personaggio come Gilbert Keith Chesterton, è quella che hanno deciso di percorrere ora anche altri anglicani, i fedeli della "Traditional Anglican Communion", che già da tempo avevano fatto richiesta al Vaticano di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.
Si trattava di una richiesta epocale: per lungo tempo, da Newman a Tony Blair, la conversione dall’Anglicanesimo al Cattolicesimo aveva rappresentato una scelta individuale, personale, spesso sofferta perché facente seguito al tentativo - sempre frustrato - di lavorare “all’interno” della Confessione Anglicana per portarla all’unità con Roma. Ora invece siamo di fronte al passaggio di intere comunità anglicane alla piena comunione con Roma.
Una richiesta maturata negli ultimi anni e che aveva quasi messo in difficoltà la stessa Chiesa cattolica in Inghilterra, tanto che ora la materia è stata oggetto di una trattativa congiunta tra il Primate cattolico e quello anglicano, sotto la supervisione della Congregazione per la Dottrina della Fede, retta – come noto – da un prelato di cultura anglo-sassone qual è l’americano cardinale William Levada e che produrrà una Costituzione Apostolica, un documento ad hoc per consentire il passaggio di queste comunità al cattolicesimo.
Siamo dunque di fronte ad una svolta storica, per cui da parte cattolica non si ha più il timore di essere accusati di “indebito proselitismo”, e da parte anglicana si accetta che una parte organizzata dei propri fedeli possa effettuare una scelta di questo tipo.
E’ un ecumenismo “dal basso”, che rappresenta certo una grossa novità rispetto a quello che per lungo tempo è stato interpretato solo da organismi preposti, spesso orientati solo a cercare un “minimo comun denominatore” tra le due confessioni cristiane, con l’effetto di dimenticare che l’obiettivo di un vero dialogo ecumenico è il riconoscimento della Verità.
Occorre anche evidenziare che questi fedeli anglicani, dipinti come tradizionalisti dalla grande stampa, ovvero una sorta di lefevriani anglicani, sono in realtà cristiani che guardano al Cattolicesimo come la Chiesa in cui intendono non solo entrare individualmente, ma far rientrare la propria storia e la propria tradizione, riconciliandola con quella di Roma. Infatti il documento congiunto dei due primati afferma: "La Costituzione apostolica è un ulteriore riconoscimento della sostanziale coincidenza nella fede, nella dottrina e nella spiritualità della Chiesa cattolica e della tradizione anglicana".
Il problema è che negli ultimi anni la Chiesa anglicana è andata incontro ad una tale deriva relativista da portarla lontano non solo dalla Chiesa Cattolica, ma dalla sua stessa tradizione, quella che ora questi fedeli vogliono ricondurre nella piena comunione coi cattolici. Non si tratta di “conservatorismo”, o di divisioni tra anglicani: il problema è che nella confessione instaurata cinque secoli fa dal sovrano Enrico VIII e confermata dalla figlia Elisabetta I è diventato dominante un pensiero non-cristiano. Potrebbe sembrare un giudizio molto severo, ma è un dato di fatto che alla base di scelte superficialmente definite solo “liberal”, come l’ordinazione sacerdotale delle donne, le nozze di persone omosessuali, le battaglie ecologiste e pacifiste, c’è una vera e propria rivoluzione antropologica. Una rivoluzione che prevede l’abbandono della concezione dell’uomo quale essere dotato di una natura specifica e indirizzato verso un fine. Questo distacco ha portato con sé tutta una serie di tentativi di giustificazione dei cambiamenti in campo morale.
Descrivendo tali cambiamenti, il filosofo cattolico scozzese Alastair MacIntyre ha denunciato nelle sue opere - in particolare After the virtue - innanzitutto il cambiamento della concezione dell’uomo, perché non c’è morale senza uomo né uomo senza morale. L’allontanamento dalla visione aristotelica ci ha condotti a rappresentazioni parziali dell’etica, a tentativi fallimentari di giudizio morale, a interpretazioni svariate dell’uomo e dell’umanità.
Tale allontanamento è avvenuto impetuosamente nell’anglicanesimo, dove vige un disordinato pluralismo, un miscuglio senza armonia di frammenti ideologici male assortiti che fa capo ad un soggettivismo assoluto. Tale soggettivismo, che si riscontra dominante nel linguaggio morale contemporaneo, trova una corrispondenza pratica nell’“emotivismo”, una dottrina secondo cui tutti i giudizi di valore, e più specificamente, tutti i giudizi morali, non sono altro che espressioni di una preferenza, espressioni di un atteggiamento o di un sentimento, e appunto in questo consiste il loro carattere di giudizi morali o di valore.
Il fascino che la Chiesa Cattolica ha esercitato su quegli anglicani decisi a rifiutare questa deriva antropologica sta dunque nel fatto che essa rappresenta l’unica realtà in grado di riproporre ancora oggi al mondo quegli elementi capaci di ristabilire una concezione sana della morale che stavano alla base della concezione aristotelica: le virtù, i valori per l’uomo. A ciò si aggiunge, inoltre, la proposta che la Chiesa cattolica fa di ristabilire una concezione della ragione che non si identifichi semplicemente con quell’elemento capace di conoscere solo ciò che si può esaminare in maniera sperimentabile, ma con ciò che permette di giudicare il senso della vita dell’uomo, i suo fine e il modo per raggiungerlo.
A sua volta la Chiesa Cattolica in Inghilterra e in tutti i paesi di cultura anglo-sassone, dal Canada all’Australia agli Stati Uniti dove l’anglicanesimo si definisce “episcopalismo”, trarrà certamente arricchimento dalla nuova linfa portata da queste comunità dove l’appartenenza a Cristo è stata oggetto di una intensa e appassionata riflessione. Questi fedeli anglicani desiderosi dell'unione con la Chiesa cattolica troveranno l'opportunità di portare l’esperienza di quelle tradizioni anglicane che sono preziose per loro e conformi con la fede cattolica. In quanto esprimono in un modo distinto la fede professata comunemente, tali tradizioni sono un dono da condividere nella Chiesa universale. L'unione con la Chiesa non richiede l'uniformità che ignora le diversità culturali, come dimostra la storia del cristianesimo, e la Chiesa Cattolica ne trarrà sicuro giovamento.

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*Paolo Gulisano è uno scrittore e saggista, esperto del mondo britannico. Ha pubblicato diversi volumi su Tolkien, Lewis, Chesterton e Belloc.

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R.

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