martedì 27 gennaio 2009
Gli ebrei e il Papa. Il negazionismo strumentalizzato (Sarto)
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Gli ebrei e il Papa
Il negazionismo strumentalizzato
Angelo Sarto
Le deliranti e sconsiderate frasi negazioniste del vescovo lefebvriano Richard Williamson, peraltro non nuovo a corbellerie del genere e non soltanto in merito alla Shoah, hanno aperto un nuovo fronte critico nel rapporto tra la Santa Sede e il mondo ebraico, dopo la revoca della scomunica alla Fraternità San Pio X, decisa dal Papa e sancita con un decreto a firma del cardinale Re.
Williamson, lo ricordiamo, lo scorso ottobre, intervistato da una Tv svedese, aveva detto di non credere all'esistenza delle camere a gas e di stimare in trecentomila, e non in milioni, le vittime ebraiche dei nazisti. Non appena la notizia della revoca della scomunica ha cominciato a circolare, dalla Svezia è stata prontamente rilanciata l'intervista al prelato inglese, anglicano convertito al cattolicesimo tradizionalista, uno dei quattro sacerdoti che nel giugno 1988 Marcel Lefebvre consacrò vescovi per garantirsi una successione, pur in mancanza dell'approvazione papale, creando così di fatto uno scisma.
Nonostante la presa di distanze della stessa Fraternità San Pio X, le imbarazzanti parole di Williamson sono state strumentalizzate lasciando intendere che con la revoca della scomunica la Chiesa in qualche modo tollerasse se non facesse proprie le tesi negazioniste.
Da destra e da sinistra, ma soprattutto dal mondo ebraico italiano e internazionale, sono giunte critiche durissime e la richiesta, pressante, di un chiarimento, di una presa di posizione papale.
Innanzitutto è assai curioso notare come intellettuali, atei devoti, esponenti di altre religioni, pretendano di dettare l'agenda degli interventi del Pontefice sulla base di una evidente strumentalizzazione: il ritiro della scomunica, avvenuto dopo che i vescovi lefebvriani hanno manifestato il loro desiderio di unione con la Santa Sede, non significa aver ritrovato l'unità tra la Fraternità San Pio X e la Chiesa cattolica.
La revoca della scomunica è un passo propedeutico, l'inizio di un confronto e di un cammino. Basterà ricordare, fatte ovviamente le debite distinzioni, quanto successo nel 1965, quando Paolo VI e il patriarca Atenagora cancellarono le reciproche scomuniche. Il fatto non ha portato di per sé all'unità tra cattolici e ortodossi.
Appare inoltre del tutto pretestuoso voler legare la revoca della scomunica alle dichiarazioni improvvide del vescovo lefebvriano.
Tra le due cose non esiste alcun legame.
Certo è che quelle parole pesano e fanno soffrire.
Fanno soffrire innanzitutto Benedetto XVI, un Papa che più di ogni altro predecessore ha riflettutto e scritto sul legame speciale che unisce ebrei e cristiani e che ora si trova nel mirino di continui attacchi da parte di esponenti dell'ebraismo, talvolta francamente pretestuosi, come nel caso della preghiera del Venerdì Santo secondo il rito antico recentemente liberalizzato, che proprio Papa Ratzinger aveva voluto correggere di suo pugno per togliere il riferimento all'«accecamento» del popolo d'Israele (termine usato da San Paolo) trasformando la preghiera in una richiesta a Dio perché «illumini» gli ebrei.
Ciò che appare inaccettabile è l'equazione che si legge in questi giorni in molte dichiarazioni e in molti commenti: se si riaccoglie uno come Williamson, significa che la Chiesa tollera il negazionismo. No, non è così.
E vale la pena di ricordare la parole con cui Benedetto XVI iniziò il suo commosso discorso durante la visita al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, il 28 maggio 2006: «Ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti all'innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte», domandando perdono, «un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa».
E ancora, all'udienza del 31 maggio 2006: «Nel campo di Auschwitz-Birkenau, come in altri simili campi, Hitler fece sterminare oltre sei milioni di ebrei. Ad Auschwitz-Birkenau morirono anche circa 150.000 polacchi e decine di migliaia di uomini e donne di altre nazionalità». Parole che ci piacerebbe sentir pronunciare da Williamson o dal superiore della Fraternità San Pio X, il vescovo Bernard Fellay.
Non c'è bisogno che il Papa le ripeta. È chiaro a tutti che cosa la Chiesa pensa e insegna al riguardo.
© Copyright L'Eco di Bergamo, 27 gennaio 2009
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1 commento:
E' Chiaro soltanto per chi vuole comprendere finiamola di strumentalizzare qualcosa che ha segnato un certo periodo storico per i propri tornaconti.
Lasciate fuori Benedetto XVI da questa polemica insensata ma, costruita ad arte
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