martedì 9 giugno 2009

A Savona torna la Messa tridentina e vi partecipa una grande folla (Granero)


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Su segnalazione di Elisabetta leggiamo:

Torna la messa in latino partecipa una grande folla fedeli sino alla strada nell'oratorio dei santi pietro e caterina

Ma la modernità non resta fuori: durante il "Kyrie" squilla un cellulare

Antonella Granero

Savona.
Con il "Kyrie eleison" suona anche un cellulare. Nonostante tutto, la modernità - ed insieme a lei i suoi prodotti deteriori - non rimane fuori dalla chiesa neppure se, all'interno, la messa che si celebra è quella in latino, secondo il rito di San Pio V. La messa cantata in gregoriano è tornata a Savona dopo quarant'anni di assenza ed almeno un paio di stagioni ricche di discussioni, battaglie e polemiche.
Per accoglierla, si è aperto l'oratorio dei Santi Pietro e Caterina in via dei Mille, per l'occasione affollato di fedeli sino ai gradini esterni e alla strada.
A richiamarli, forse, un misto di sentimenti antichi e rassicuranti - dal recupero delle tradizione al desiderio di una fede intransigente, radificata e codificata - ma anche di curiosità. Solo i prossimi appuntamenti (la cadenza delle messe in latino sarà mensile, prossimo appuntamento il 5 luglio) potranno dirlo con certezza. Ma su un fatto non si discute: ieri, alle 17.30, i fedeli che si sono ritrovati per assistere al rito celebrato dal parocco varazzino don Giulio Grosso - a ciò delegato dal vescovo Vittorio Lupi - erano davvero tanti.
Persino di più dei cento che erano stati preventivati dai giovani attivisti dell'associazione "Una Voce", alla quale si deve l'iniziativa. Ragazzi giovanissimi (il presidente ha 24 anni) che hanno raggiunto il loro obiettivo.
Ci sono le casse storiche della processione del Venerdì Santo, a guardare i fedeli: Cristo che cade sotto la Croce, la Flagellazione - casse seicentesche di origine napoletana - e l'Ecce Homo di Renato Cuneo (rifacimento di una cassa andata distrutta durante la seconda guerra mondiale).
La pianta elittica dell'oratorio, poi, sembra fatta apposta per raccogliere in un abbraccio caldo chi si rituffa nella tradizione. Tra loro ci sono anche volti noti: Enzo Sabatini, presidente della Società cattolica Nostra Signora di Misericordia, Checco Robatto - praticamente un'istituzione cittadina, inutile elencarne le cariche - Franco Bartolini, ex presidente della Carisa. Molti i semplici fedeli, qualche giovane, qualche anziano, soprattutto tante persone di mezza età, signore, signori, un po' di buona società savonese, tanta gente comune. Tutti, o quasi, cantano: cantano il gregoriano, cantano in latino. Cantano il Kyrie, ma anche il Gloria in excelsis Deo e il Credo. Per aiutarsi, seguono i foglietti distribuiti dai ragazzi di "Una Voce", ma tanti hanno tirato fuori dagli scaffali il vecchio messale in latino. Conservato gelosamente nelle case a dispetto dei cambiamenti voluti dal Concilio.
A tutti loro il sacerdote, come previsto nel rituale, dà le spalle, rivolto all'altare e al Santissimo.
Al di là della lingua, è il segno più evidente della radicale diversità del rito - reintrodotto da papa Benedetto XVI con il motu proprio Summorum Pontificum - che la Diocesi, nel 2007, aveva vietato in attesa delle decisioni del nuovo vescovo in arrivo. Il Concilio ha voluto che il sacerdote guardasse i fedeli: il celebrante qui si fa voce di tutti rivolta esclusivamente a Dio. A servir messa, accanto al sacerdote, sono in cinque. Due inginocchiati verso l'altare, spalle ai fedeli, praticamente per tutta la durate della messa. Un altro regge la coda della pianeta indossata da don Grosso mentre il sacerdote asperge di incenso l'altare e il santissimo.
Un gesto che, ormai, eravamo abituati a vedere solo nei riti ortodossi. E che, forse, tornerà ad essere un'abitudine anche a Savona.

© Copyright Il Secolo XIX, 8 giugno 2009

Il cellulare non e' segno di modernita' ma di maleducazione...non e' accettabile ne' nel rito antico ne' in quello conciliare.
R.

3 commenti:

don Marco (liturgista) ha detto...

Cara Granero, l'incenso è in grani ed è come la classe......non è acqua :)

Anonimo ha detto...

Al di là dell'imprecisione finale l'articolo è onesto e si vede affiorare, qua e là, una certa nostalgia del sacro che percorre molte più persone di quanto non si creda (o non si voglia credere). Quanto sarebbe bello che non ci dovessero essere articoli di giornale per una messa VO, significherebbe che anche il rito in forma straordinaria starebbe vivendo una sua ordinarietà... Sappiamo bene che non è così, e molti (vescovi e preti) sperano solo che sia un disturbo momentaneo, una contraddizione, per usare il vecchio armamentario marxista. Per quanti va bene qualsiasi celebrazione, magari neocatecumenale, ma non quella in cui tutto è dottrinalmente CHIARO. C'è un motivo? ...
Rut..Nam.

Anonimo ha detto...

Ho avuto la fortuna di andare "a dottrina" da piccolo, in un paesino di montagna. Ho avuto la fortuna di servire Messa, da chierichetto, prima del Vaticano II, imparando formule e canti in latino che non avevo bisogno di capire per riconoscerne l'importanza. Quando il rito è cambiato, non mi sono più ritrovato nelle nuove formule, nelle canzonette, nelle personalizzazioni con le quali ogni sacerdote ha cominciato a infarcire la "sua" Messa. Questo relativismo spinto per cui ogni celebrante si sentiva in dovere di "dire la sua" distruggendo il rito mi ha sempre infastidito. Insomma, quella Messa non la sentivo mia e l'ho sempre più subita che vissuta. Ma il parroco di quand'ero bambino, anche se parlava il "latinorum" di Don Camillo, era stato chiarissimo con me e chiarissime erano state le formule del Catechismo che mi aveva fatto andare a memoria. E quando mi trovai in condizione di scegliere obbedii a Roma, invidiando quei coraggiosi di Lefebvre. Ora, dopo tanto tempo, quando sento una sola preghiera in latino mi commuovo, come quando sento un pezzo di musica classica dolce o potente, che parla al cuore. Sarà perchè quella lingua mi ricorda la mia fanciullezza, certo, ma è anche perchè ne percepisco la forza che non schiaccia, la potenza che non annichilisce, la grandezza che ti fa sentire piccolo ma importante al tempo stesso, per la carica identitaria di cui trasuda. Prego che il Motu Proprio dia i suoi frutti.
Marco il tarsognino