giovedì 6 agosto 2009
Preti per il nostro tempo secondo Papa Montini (Osservatore Romano)
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In una pubblicazione di padre Leonardo Sapienza
Preti per il nostro tempo secondo Papa Montini
di Nicola Gori
Un'analisi della figura del sacerdote all'interno della società contemporanea, condotta con una capacità introspettiva e una visione profetica non comuni. Era il 17 febbraio 1969 quando Paolo VI, incontrando nella Cappella Sistina i parroci di Roma, rivolgeva loro un discorso che, letto a distanza di 40 anni, si rivela ancora attuale e denso di indicazioni.
Si deve al rogazionista padre Leonardo Sapienza, addetto per il protocollo della Prefettura della Casa Pontificia, se questo discorso - insieme con il messaggio rivolto dallo stesso Papa Montini a tutti i sacerdoti il 30 giugno 1968 - viene oggi recuperato e di nuovo proposto all'attenzione comune della Chiesa impegnata nell'Anno sacerdotale voluto da Benedetto XVI.
In un elegante volumetto di 30 pagine, dal titolo Paolo VI - Parole ai sacerdoti, edito dalla Tipografia Vaticana, padre Sapienza ha voluto così rendere omaggio al Pontefice bresciano nel trentunesimo anniversario della sua morte, avvenuta il 6 agosto 1978 a Castel Gandolfo.
La pubblicazione evidenzia il singolare intreccio tra l'insegnamento di Paolo VI e il messaggio di questo speciale Anno dedicato alla figura del prete.
Un intreccio che emerge dalla sensibilità pastorale che caratterizza le meditazioni offerte da Montini al suo clero. Nel menzionato discorso ai parroci di Roma, volutamente scritto di proprio pugno e non lasciato all'improvvisazione, il Papa individuava alcuni rischi a cui possono andare incontro i preti nell'esercizio del loro ministero: primo fra tutti, l'attivismo a scapito dell'interiorità. Di fronte allo svuotarsi delle parrocchie, la risposta naturale del pastore è quella di andare in cerca delle pecorelle smarrite. Questo slancio missionario non solo è lodevole e auspicabile, ma risponde anche al mandato di Cristo. Tuttavia - avvertiva il Pontefice - vi sono altri elementi da non sottovalutare. Anzitutto, non bisogna ricercare forme nuove di metodo nel ministero quando questo è ancora valido e fecondo. Inoltre - si chiedeva Montini - perché inventare forme "strane d'apostolato di dubbia riuscita" anziché perfezionare quelle tradizionali e farle rifiorire secondo gli insegnamenti del concilio Vaticano II?
La preoccupazione di Paolo VI era rivolta soprattutto a salvaguardare la natura autentica del presbitero e a metterlo in guardia dai rischi del secolarismo. Egli avvertiva il bisogno e il dovere della missione: ma questa non doveva essere conseguita in antitesi e a scapito del ministero sacramentale e liturgico, quasi fosse un intralcio. Soprattutto, Montini vedeva un lento e inesorabile secolarismo invadere anche la vita del prete, trasformandolo in "un uomo come qualsiasi altro, nell'abito, nella professione profana, nella frequenza agli spettacoli, nell'esperienza mondana, nell'impegno sociale e politico, nella formazione di una famiglia propria con l'abdicazione al sacro celibato". Dinanzi a questa deriva, Paolo VI riproponeva le parole evangeliche di Gesù, che chiamò ed elesse i suoi discepoli perché fossero "nel mondo" e non "del mondo": coloro che erano chiamati a continuare l'annuncio del Regno di Dio dovevano abbandonare ogni cosa per seguire Cristo.
Questa separazione dal comune modo di vivere - a volte dolorosa sino al limite dell'immolazione eroica - è la condizione indispensabile richiesta da Gesù ai suoi apostoli. Il ministero sacerdotale, perciò, manifesta per sua natura la diversità delle funzioni all'interno della Chiesa. Nessun proposito di rinnovamento o di modernità potrà disconoscere l'importanza fondamentale della separazione del sacerdote dal resto della società. Non che il desiderio di inserire il presbitero nel complesso sociale in cui vive ed esercita il ministero sia errato: ma - ammoniva Paolo VI - da "proposito generoso di uscire dal guscio d'una condizione cristallizzata e privilegiata, può tradursi in una suggestione erronea gravissima, la quale può paralizzare la vocazione sacerdotale in ciò che ha di più intimo, di più carismatico, di più fecondo; e può demolire di colpo l'edificio della funzionalità pastorale". Il rischio, ancora una volta, è di esporre i sacerdoti - soprattutto i giovani - agli influssi delle correnti più pericolose e alle mentalità più discutibili del momento, rendendoli vulnerabili all'insidia delle ideologie e del secolarismo.
Un altro richiamo Paolo VI rivolgeva al clero a proposito della affannosa ricerca di voler cambiare le strutture della Chiesa. Possibile, lecita operazione e soprattutto utile? Il Pontefice non aveva dubbi: non si può pensare di eliminare le difficoltà e la materialità della Chiesa-istituzione, per conservare un cristianesimo puro e di vaga e libera interpretazione. Chi ha esperienza e autorità necessarie - si chiedeva - per condurre in porto una così delicata operazione, considerando oltretutto che la prima cosa che si propone è quella di distruggere e non riformare le strutture già esistenti?
Papa Montini indicava in particolare due elementi che suggerivano prudenza e saggezza. Anzitutto - evidenziava - l'ammodernamento della legislazione ecclesiastica era già in corso. E poi - rilevava - le strutture oggetto di contestazione "sono spesso tutt'altro che contrarie agli effetti che il loro cambiamento vorrebbe conseguire". Nessuna vena polemica nelle parole del Pontefice: semmai una consapevolezza che certi difetti innegabili e la superficialità a volte potevano indurre a criticare. Ma in Paolo VI c'era la certezza che scaturiva dalla conoscenza della parte più intima e nascosta della Chiesa: l'amore, l'obbedienza, la fiducia e lo zelo - ne era sicuro - avrebbero immesso linfa vitale nel vecchio tronco delle strutture. Del resto, come avrebbe potuto essere autentico un cristianesimo senza magistero, senza ministero, senza unità e potestà derivante da Cristo? Era questo il grido appassionato che Montini rivolgeva ai sacerdoti. Anche se non nascondeva il travaglio interiore di chi soffre con e per la Chiesa, senza alcuna ambizione terrena: "L'autorità nella Chiesa! Per chi ne sperimenta il grave peso, e non ne ambisce l'onore - ammetteva - non è facile farne l'apologia!".
Nel messaggio a tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica, affidato ad alcuni rappresentanti del clero il 30 giugno 1968, a conclusione dell'Anno della fede, Paolo VI trasmetteva un'emozione particolare già in quel suo iniziale collocarsi in una "comunione di riverenza, di simpatia, di fraternità con [i] sacerdoti", un'"istanza interiore continua, piena di stima, di sollecitudine, di carità". E il Pontefice giungeva persino a chiedersi se non avesse parlato abbastanza ai suoi preti, esprimendo loro al tempo stesso ammirazione e gratitudine "per quello che siete, per quello che fate nella Chiesa di Dio": della quale - riconosceva - "voi siete, con i vostri vescovi, gli operai più validi, le colonne, i maestri, gli amici, i dispensatori diretti dei misteri di Dio".
Montini conosceva bene i sacrifici, le difficoltà, le contrarietà dell'apostolato: dal vertice stesso del servizio sacerdotale al più umile incarico ministeriale, tutto è animato dallo stesso spirito di sacrificio, dalla stessa preoccupazione per la missione. Ogni sacerdote è uomo di Dio, partecipe della sacralità del suo ufficio, in persona Christi, affinché tutti conoscano e godano della grazia, nella partecipazione all'annuncio della buona Novella. Per questo - avvertiva il Pontefice - c'è bisogno di sacerdoti ben preparati, collaudati ed esperti della dimensione mistico-ascetica della loro persona: un supplemento di coscienza e di consapevolezza - lo definiva - attraverso la preghiera, la meditazione che renda loro familiare la consacrazione all'unico amore e al totale servizio di Dio e del suo disegno di salvezza. Ed è fondamentale non solo l'esempio, ma proprio la certezza d'un unico ministero che si svolge secondo i gradi e i carismi, ma che sempre fa capo - per il Papa come per l'umile sacerdote - al supremo unico Maestro che sta alla radice di ogni figura sacerdotale e del suo compito ecclesiale.
(©L'Osservatore Romano - 7 agosto 2009)
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