lunedì 19 gennaio 2009
Dai primi discepoli ai giorni nostri l'itinerario che porta a Gesù Cristo. L'incontro tra storia e fede (Biffi)
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Dai primi discepoli ai giorni nostri l'itinerario che porta a Gesù Cristo
L'incontro tra storia e fede
di Inos Biffi
Il percorso per giungere a Gesù Cristo non può che essere un percorso di tipo storico, e coincidere con quello seguito dai discepoli che lo hanno riconosciuto e quindi dalla Chiesa che essi hanno formato. Occorre, per questo, che ne sia disponibile l'esperienza storica, al fine di poterne emettere il giudizio relativo; bisogna, cioè, che sia possibile il "Vieni e vedi" (Giovanni, 1, 46).
Riportandoci esattamente al momento dell'esistenza storica di Gesù di Nazaret, noi osserviamo il succedersi dei seguenti momenti. Il primo riguarda la relazione all'avvenimento Gesù, alla storia umana della sua "normalità", avvertita dai suoi parenti e conterranei e dai discepoli che egli raccoglie. È il primo aspetto del "vedere", aperto come tale a qualsiasi forma e livello di riferimento storico. Basta essere nella condizione di constatare. Gesù non è un mito.
Il secondo momento, per altro obiettivamente connesso con il primo dell'avvertenza storica, è il passaggio dal riscontro ovvio della normalità allo stupore, o alla constatazione di un'"eccedenza", che traspare dai gesti, dai "miracoli" di Gesù; un'"eccedenza" a sua volta disponibile, che viene colta allo stesso modo da quanti gli stanno dintorno, ed è motivo di interrogazione sulla sua identità: "Chi è costui?" (Matteo, 8, 27).
A giudizio stesso di Gesù questa "eccedenza", che contrassegna la sua vita e le sue opere contiene in sé la capacità di suscitare il riconoscimento, avendo un intrinseco valore di testimonianza (Giovanni, 5, 36), per cui il rifiuto del riconoscimento è suscettibile di condanna (Giovanni, 15, 24). In ogni modo, fin che il senso di tale "eccedenza", presente nella storicità di Gesù, non viene compiutamente interpretato, l'identità di Gesù rimane preclusa.
Senonché sorge l'interrogativo: è possibile tale compiuta interpretazione in forza del puro giudizio razionalmente fondato sui dati della constatazione della storia o fenomenologia di Cristo con i mirabilia che le accompagnano? Ed è come dire: la ragione storica sa raggiungere una lettura integrale di quanto appare di Gesù di Nazaret, e quindi di quanto egli è?
Da questo profilo, è sintomatico quanto avviene nell'episodio della confessione di Pietro (Matteo, 16, 13-17). Gesù dichiara a Pietro che la sua confessione in cui viene riconosciuto nella sua perfetta identità - "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente" - non risulta dalle facoltà o possibilità "naturali" di Pietro. La manifestazione dell'identità di Cristo non è frutto della "carne" e del "sangue", ma è dono del Padre: "Non la carne e il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli". Fuori di questa rivelazione soprannaturale, di questo lumen divinae inspirationis o nova lux intelligibilis - per usare il linguaggio di san Tommaso - è possibile solo un'approssimazione, alla fine priva di qualsiasi valore: Gesù sarebbe Giovanni il Battista, Elia, Geremia o uno dei profeti, ma la sua vera identità restava preclusa.
Con questa rivelazione del Padre, noi diremmo, fu data a Pietro la fides oculata, cioè un vedere che non si delimitava nei confini di una pura visione fenomenologica, ma penetrava nel mistero dal quale quella fenomenologia era sostenuta. La fides oculata concludeva esemplarmente in Pietro il circolo incominciato con l'incontro storico di Simone, condotto a Gesù dal fratello Andrea (Matteo, 1, 41-42).
Ma va notato: con questa stessa rivelazione alla fides oculata avveniva non un riconoscimento del Gesù della fede, nel quale si fosse trasformato il Gesù di tutt'altro genere della storia; non una traslazione dal Gesù della storia al Gesù della fede; bensì la confessione che grazie alla fede riconosceva in pienezza, secondo verità e integralità, il Gesù della storia. Fuori dall'orizzonte della fede si perde automaticamente anche il vero Gesù della storia, che non è diviso in se stesso, per una specie di "schizofrenia".
Certamente, anche senza la percezione della fede, restano dei segni e delle tracce storiche di Cristo, ma se tali segni e tracce sono separati dall'identità di Gesù percepita dalla fede, il Gesù storico resta incompreso, frainteso e, potremmo persino dire, non esistente, dal momento che l'unico Gesù storicamente esistente è Gesù di Nazaret Figlio di Dio, quale venne confessato da Pietro.
Quanto alla risurrezione, nella quale è sfolgorata tutta l'identità di Gesù, non ha creato un Gesù della fede, diverso da quello che era stato il Gesù della storia, ma ha esaltato e fatto riconoscere chi veramente fosse colui che l'esperienza aveva incontrato nella sua storicità.
A questo punto il discorso si fa ecclesiale: la Chiesa appare la testimonianza di Cristo, il luogo della presenza di Cristo, veduto e in atto nella fede. La Chiesa, d'altronde, è nata proprio da questa visione e da questa fede.
Ma qui sorgono due interrogativi. Il primo: si può dire che la Chiesa succede all'esperienza immediata dell'evento storico di Cristo, da cui la testimonianza è iniziata? Chi, come noi tutti post Christum natum, non ha più la possibilità cronologica, o per esperienza immediata, del giudizio storico - che abbiamo distinto dal giudizio di tipo metafisico - di quale base e sostegno fenomenologico dispone per il suo giudizio e la sua confessione e adesione a Gesù?
La Chiesa è chiamata a fare da interferente e a sostituire con la propria testimonianza e garanzia questo giudizio personale? O invece la sua missione è quella di ripresentare in se stessa, di essere l'epifania dell'evento di Gesù nella sua storicità, così che tale giudizio possa essere veramente formulato, e possa risultare fondata l'adesione del credente?
Da questo profilo può suggestivamente risaltare la funzione della documentazione della Scrittura, che è vivente nella Chiesa, come guida nell'itinerario storico su cui matura la visione della fede, restando sempre lo Spirito a sopperire all'impotenza della carne e del sangue e a rivelare Gesù Cristo mediante il dono degli "occhi illuminati del cuore"?
In ogni caso, oggi e in qualsiasi tempo, Cristo è presente nel mondo perché, e nella misura in cui, è presente nella fede della Chiesa e nella testimonianza cristiana, in cui continua, quasi "sacramentalmente", la confessione di Pietro e la rivelazione del Padre. Propriamente, fuori da questo confine e dalla comunione con questa fede della Chiesa, Cristo non è in modo compiuto né presente né riconoscibile.
La cultura può recepire Cristo, ed esserne toccata, ma come riflesso operoso di questa sua presenza nella fede ecclesiale, la quale non è destinata a rimanere chiusa e sterile, ma esattamente ad "applicare" e a imprimere nel mondo, in modo multiforme, la presenza di Cristo che vive in lei, anche se tale presenza nel mondo o nella cultura rimane sempre incerta e quasi precaria, dal momento che la sua genesi e suo il fondamento non si trovano originariamente nel mondo.
Ma un secondo interrogativo sembra importante: sono oggi disponibili, per quanto riguarda Gesù Cristo, strumenti o percorsi documentari di natura storico-critica tali da permettere a ogni serio ricercatore di giungere all'obiettiva storia di Gesù e di farne una valutazione, antecedentemente al giudizio e all'adesione della fede?
Certamente: questi strumenti e questi percorsi sono disponibili. È possibile con essi arrivare a un insieme di fatti e di "constatazioni" relativi alla figura di Cristo, nella linea delle constatazioni di quanti lo hanno incontrato storicamente, e quindi di formulare valutazioni pertinenti.
Solo che, per il giudizio ultimo e compiuto, è necessario il lumen divinum, e la percezione della fede. Questa, tuttavia, non fa aggiunte arbitrarie, non maggiora né inventa dei dati o dei fatti: permette, invece, di averne una lettura completa, e di emettere, così, un giudizio esauriente e "completo" della documentazione diligentemente raccolta e investigata.
Il cultore della storia critica avente come oggetto Gesù di Nazaret, se per grazia diviene credente, non rimuove, quindi, e non altera né deprezza il suo lavoro di ricerca; non devìa dal suo itinerario e dalla sua scienza; al contrario, ne coglie tutta la imprescindibilità, ne raggiunge la soddisfazione, pervenendo obiettivamente alla sua meta. Con la fede, il ricercatore trova proprio quella Realtà che ha dato consistenza alla storia di Gesù; rinviene quel Cristo, Figlio di Dio, che fu esattamente il Gesù di Nazaret, materia immediata della sua analisi.
(©L'Osservatore Romano - 18 gennaio 2009)
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