venerdì 27 febbraio 2009
Il Papa: la crisi dall'idolatria del denaro (Bobbio)
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Il Papa: la crisi dall'idolatria del denaro
Alberto Bobbio
Città del Vaticano
È la seconda volta che ne parla. Parole semplici, ferme, parole severe. È il segno di una preoccupazione lunga, perché per ritrovare parole quasi uguali a quelle di ieri bisogna tornare indietro di qualche mese, all'apertura ad ottobre del Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio.
Anche allora Ratzinger aveva parlato a braccio, come ieri mattina davanti ai «suoi» parroci, perché il Papa è vescovo di Roma.
Di solito è un colloquio, una sorta di question time, cioè i preti interrogano e il Papa risponde. Ieri mattina la prima domanda è stata sulla crisi economica, sulla recessione che colpisce le famiglie, sui risparmi che se ne vanno come il vento. Benedetto XVI ha detto: «Il crollo delle grandi banche americane mostra quello che è l'errore di fondo: l'avarizia e l'idolatria che oscurano il vero Dio. È sempre la falsificazione di Dio in mammona che ritorna».
Alcuni mesi fa all'apertura del Sinodo aveva rilevato che «due sono le possibilità di costruire la casa della propria vita: sulla sabbia e sulla roccia». Sulla sabbia edifica «chi costruisce solo sulle cose visibili e tangibili, sul successo, sulla carriera e sui soldi e lo vediamo nel crollo delle grandi banche: questi soldi scompaiono, sono niente». Il concetto è lo stesso e richiama le fondamenta della vita, che vanno poste sulla roccia della Parola di Dio.
È il segno che il Papa e suoi collaboratori più stretti stanno da tempo studiando i risvolti non solo macroeconomici, ma anche etici e morali della crisi finanziaria. Un'analisi approfondita si troverà certamente nella prossima enciclica sociale, annunciata ormai da un anno e di cui si conosce anche il titolo «Caritas in veritate».
Ieri il Pontefice ha detto ai parroci che ci sta lavorando «da molto tempo».
La si attendeva prima di Natale, ma poi lo stravolgimento delle piazze finanziarie, la recessione in atto e la questione di una nuova etica pubblica rispetto al mercato, al liberismo, ma anche ai nuovi protezionismi degli Stati, hanno fatto slittare la pubblicazione e, secondo quanto si è appreso, il testo già quasi pronto alla fine dell'estate scorsa è stato completamente riscritto. Benedetto XVI, ai «suoi» parroci, ha confidato che si tratta di «temi difficili», perché da «un lato bisogna parlarne con competenza» e dall'altro bisogna farlo «con la consapevolezza ed un'etica guidata dalla coscienza formata dal Vangelo».
Era l'idea, appunto, proposta durante la riflessione all'inizio del Sinodo e confermata ieri.
Al parroco che gli chiedeva come la Chiesa deve porsi di fronte alla crisi, Benedetto XVI ha risposto «che la Chiesa ha sempre il compito di essere vigilante, comprendendo le ragioni del mondo economico e di illuminare questo ragionamento con la fede che ci libera dal peccato. Per questo deve farsi sentire ai diversi livelli per aiutare a correggere tanti interessi personali e di gruppi, nazionali e sovrannazionali, che si oppongono alle correzioni che devono essere fatte alla radice dei problemi».
Eppure il Papa è consapevole che «una correzione radicale e totale» è difficile da ottenere. Tuttavia, ha aggiunto, «dobbiamo fare di tutto perché ci siano correzioni sufficienti, e poi dobbiamo ostacolare l'affermarsi dell'egoismo che si presenta anche sotto le forme della scienza». Al fondo anche della crisi c'è il peccato originale, cioè il peccato di chi non riconosce Dio: «Se non esistesse il peccato originale, potremmo fare appello alla lucidità della ragione e riformare così l'umanità». Ma la ragione «è oscurata alla radice dall'egoismo e dall'avarizia di volere il mondo solo per sé».
Piegano cioè la volontà, che «non è più disponibile a fare il bene per gli altri, ma solo per se stessi».
Benedetto XVI ha sottolineato che di fronte a tutto ciò la Chiesa deve proporre denunce «ragionate, ragionevoli e concrete», lasciando da parte il «moralismo».
Ma ha ricordato che i modelli economici buoni si realizzano solo se ci sono «i giusti», cioè se si cambia la propria rotta di vita. E i «giusti non ci sono se non si fa il lavoro umile e quotidiano di convertire gli uomini».
© Copyright Eco di Bergamo, 27 febbraio 2009
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