martedì 24 febbraio 2009

In quel «pregate per me» tutta la forza di Pietro. L'Angelus del Papa dopo una settimana di amare polemiche (Corradi)


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Accenna così alle polemiche che nascono dove la fede degenera in intellettualismo e l’umiltà viene sostituita dall’arroganza di essere migliori dell’altro"
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L’ANGELUS, DOPO LA SETTIMANA DI AMARE POLEMICHE

In quel «pregate per me» tutta la forza di Pietro

MARINA CORRADI

Dalla finestra sul sagrato di San Pietro, alla folla dei pellegrini della domenica Benedetto XVI ha chiesto di pregare per lui: «Perché possa compiere fedelmente l’alto compito che la Provvidenza mi ha affidato quale successore dell’apostolo Pietro». Pregate per me, ha detto il Papa , e la sua domanda ha fatto il giro del mondo e delle redazioni dei giornali. Che il Papa abbia paura?, si è chiesto qualcuno.
Dopo settimane aspre di polemiche, per lo più dall’estero, giunte fino a Roma, equivoci e contestazioni – in qualche caso un po’ vili – che hanno riempito le prime pagine, che il Papa sia stanco, e vacilli sotto al gran peso della cattedra di Pietro? Se anche davvero così fosse, non sarebbe uno scandalo. L’onere poderoso di guidare la Chiesa, e quell’oltre un miliardo di cristiani in tutti i continenti e le latitudini, universo su cui non tramonta mai il sole; e l’urgenza, che tanto Benedetto XVI ha fatto sua, di annunciare che la speranza cristiana non è storia di un evo lontano, ma è affidabile, qui, oggi e ora; e le persecuzioni aperte ma anche, in Occidente, quel nichilismo che rode, cercando di confondere e cancellare un’antica memoria: davvero enorme è il peso sulle spalle del Papa.
E non ci meraviglia quella domanda, «pregate per me», ai fedeli della domenica, quando il sagrato è colmo di facce amiche, venute spesso da molto lontano. Forse da quella finestra anche al Papa viene il desiderio di guardare qualcuno negli occhi, laggiù nella folla, quello e non un altro, lontano eppure vicino, domandando a uno sconosciuto: prega per me. Per il mondo, certo, una domanda simile è strana: non chiedono preghiere i potenti, i leader, le star dai palchi e i maîtres à penser dalle loro cattedre di carta. Non chiedono intanto perché non ci sono abituati; dovendo poi proprio farlo, chiederebbero qualcosa di più utile che preghiere – agli occhi del mondo pie parole vane, inutile esercizio dei deboli. E dunque quella domanda umile da san Pietro commuove, prima di tutto come segno di una radicale diversità di sguardo e di cuore.
In un tempo che afferma l’individuo come padrone assoluto di sé e della sua vita – a volte, anche di quella degli altri – il Papa ricorda la radice dei cristiani, che è essere creature, dunque figli, e quindi ontologicamente legati a ogni altro uomo.
Pregare dunque è il riconoscimento di un non farsi da soli, e invece dipendere: da un Altro, dagli altri - come dalla vite i tralci.
Ma è anche, quella domanda in san Pietro, leggibile nell’eco di altre parole dette poche ore prima al Seminario maggiore romano: quando Benedetto XVI ha citato la comunità dei Gàlati per dire che oggi come allora anche dentro la Chiesa la fede può degenerare in intellettualismo, e l’umiltà nell’arroganza di chi si sente migliore. È un rischio vecchio come la storia, ma più evidente ora che ogni parola viene amplificata e infinitamente ripetuta da mille potenti casse di risonanza.

L’orgoglio di pronunciare una frase che nel rimando dei media acquista peso e autorevolezza potrebbe coinvolgere anche la Chiesa nel gioco infinito dei relativismi e delle personali 'verità'.

Ma, ha ricordato Benedetto XVI all’Angelus, integro rimane 'il primato della cattedra di Pietro, che presiede alla comunione universale della carità'. Il giogo, dunque, è sulle spalle di uno. Non è una democrazia la Chiesa, è tutt’altro, corpo di Cristo e sua eredità. A guidarla un uomo, di cui puoi ben immaginare la profondità della solitudine – nelle sere in cui lo spazio immenso del Colonnato è vuoto, e accese solo le luci di due finestre, negli appartamenti del Papa . Un Papa che domanda: che siamo un cuore solo e un’anima sola. Che chiede: pregate per me – e il mondo, che parla un’altra lingua, si stupisce. Ma nei conventi e nelle missioni fra gli ultimi, nelle clausure e nelle parrocchie più lontane hanno ascoltato, domenica dalla radio, quell’appello. Pregano, i cristiani, per il Papa ; tenaci, fedeli, senza fare rumore.

© Copyright Avvenire, 24 febbraio 2009

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Bell'articolo. Peccato che Avvenire abbia fatto ben poco per supportare il Papa indegnamente attaccato.
Alessia

Raffaella ha detto...

Non posso che corcordare, cara Alessia!
Il fatto che le polemiche siano state piu' accese all'estero non e' una scusa...
R.

euge ha detto...

Care Alessia e Raffaella condivido il vostro punto di vista. Anche se l'articolo di Avvenire è bellissimo, da tanto l'idea delle famose lacrime di coccodrillo; Nel senso che è perfettamente inutile correre ai ripari dopo che in mezzo a tutto il bailamme dei giorni scorsi, nessuno dico nessuno, dopo un esame di coscenza, si sia preso la briga di scrivere due righe in sostegno al Papa.
Avvenire è il giornale della CEI e dove erano tutti?
Troppo comodo intervenire quando la frittata è fatta. A questo punto mi chiedo, quanto sia sincero quest'articolo.

mariateresa ha detto...

penso che sia sincero, mi piace molto Marina Corradi. E' una donna sensibile e l'ha dimostrato tante volte.Diciamo che negli ultimi tempi il giornale si è dato altre priorità. Rispettabili per carità.
Ma intanto il nostro nocchiero sulla barca stava da solo mentre buona parte dell'equipaggio faceva nannina.

euge ha detto...

E' questo mariateresa che non posso giustificare; in un simile comportamento io non posso che vedere la voglia di non metterci la faccia o di stare con il piede in due scarpe ed in certi casi non si può.