martedì 9 giugno 2009

Benedetto XVI, un Papa che usa il vocabolario della scienza (Mazza)


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Su segnalazione del nostro Scenron leggiamo:

il segno

Un Papa che usa il vocabolario della scienza

Dal discorso al convegno di Verona alla «Sacramentum Caritatis» il Pontefice ricorre anche agli esempi scientifici per spiegare la realtà dello Spirito

DA ROMA

SALVATORE MAZZA

Una metafora che, lì per lì, spiazza.
Domenica scorsa Benedetto XVI ha fatto ri­corso a una «analogia suggerita dal­la biologia» per dire che «l’essere u­mano porta nel proprio 'genoma' la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore». Nell’esortazione post­sinodale Sacramentum caritatis, e­ra ricorso all’immagine della «fis­sione nucleare» per spiegare come «la conversione sostanziale del pa­ne e del vino nel suo corpo e nel suo sangue pone dentro la creazione il principio di un cambiamento radi­cale »; ossia una «fissione nucleare... portata nel più intimo dell’essere, un cambiamento destinato a susci­tare un processo di trasformazione della realtà, il cui termine ultimo sarà la trasfigurazione del mondo intero, fino a quella condizione in cui Dio sarà tutto in tutti».
Questo applicare la terminologia scientifica al linguaggio spirituale non è per papa Ratzinger, a ben ve­dere, solo un artificio retorico.
C’è, piuttosto, la convinzione, più volte e a vari livelli affermata, che le due sfere – scienza e fede – non solo non sono per forza destinate a conflig­gere, ma, al contrario, a integrarsi. Come nel caso della stella dei Ma­gi, i quali, ha detto la scorsa Epifa­nia, «erano con tutta probabilità de­gli astronomi», e che seguirono la cometa perché capaci, alla fine, di portare il loro sguardo al là del cie­lo stellato, comprendendo che al di sopra di tutto non c’è «un freddo e anonimo motore».
«La matematica come tale – spiegò ai delegati al Convegno ecclesiale di Verona il 19 ottobre del 2006 – è una creazione della nostra intelli­genza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’u­niverso suscita la nostra ammira­zione e pone una grande domanda.
Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelli­gente, in modo che esista una cor­rispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione og­gettivata nella natura. Diventa allo­ra inevitabile chiedersi se non deb­ba esservi un’unica intelligenza ori­ginaria, che sia la comune fonte del­l’una e dell’altra».
In tal modo «viene capovolta la ten­denza a dare il primato all’irrazio­nale, al caso e alla necessità, a ri­condurre ad esso anche la nostra in­telligenza e la nostra libertà»; e «su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della no­stra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, co­niugare tra loro la teologia, la filo­sofia e le scienze, nel pieno rispet­to dei loro metodi propri e della lo­ro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinse­ca unità che le tiene insieme».
Un punto di vista, questo del Pon­tefice, dai molteplici risvolti: «Il fat­to che la terra, il cosmo, rispecchi­no lo Spirito creatore – ha detto nel suo discorso alla Curia Romana il 22 dicembre scorso – significa pure che le loro strutture razionali che, al di là dell’ordine matematico, nel­l’esperimento diventano quasi pal­pabili, portano in sé anche un o­rientamento etico».

© Copyright Avvenire, 9 giugno 2009

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