venerdì 19 giugno 2009

Se il Papa Teologo si ispira al Curato: bellissimo commento di Lucio Brunelli


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LETTERA DEL SANTO PADRE AI PRESBITERI PER L'INDIZIONE DELL'ANNO SACERDOTALE: RASSEGNA STAMPA

Su segnalazione di Elisabetta leggiamo:

Se il Papa Teologo si ispira al Curato

Lucio Brunelli

Fare il prete oggi è diventato un mestiere difficile. Una volta, molto tempo fa in Occidente, diventare preti era anche una forma di emancipazione sociale.
Oggi la mentalità comune, non più cristiana, guarda ai sacerdoti con una punta di commiserazione.
Quasi fossero persone condannate da un'autorità dispotica ad essere private dell'amore, l'amore di una donna e quello dei propri figli.
Nelle chiacchiere da bar, o da talk show che è lo stesso, quando si affronta l'argomento c'è sempre qualche sapientone che dice che l'unico antidoto contro i casi di pedofilia è proprio «liberare» i preti dalle catene del celibato.
Quasi non fosse più concepibile che una persona normale oggi, per Grazia di Dio, possa compiere liberamente una scelta così radicale. E sentirsi in ciò veramente realizzato, anzi potenziato, anche sotto il profilo affettivo.
Il Papa lo sa che i tempi sono difficili.
Ieri ha scritto una lettera di otto pagine agli oltre 400mila preti della Chiesa cattolica. Sarà il manifesto dell'Anno sacerdotale che egli ha indetto a partire da oggi, 19 giugno, in occasione dei 150 anni dalla nascita del santo curato d'Ars.
I grandi giornali on line dando la notizia titolavano sul nuovo «monito» del Papa, come se Benedetto XVI avesse preso carta e penna per strigliare i sacerdoti, denunciare la vergogna degli scandali a sfondo sessuale, richiamare all'ordine quanti chiedono l'abrogazione dell'obbligo del celibato sacerdotale.
Solo un misto di ignoranza e pregiudizio può ridurre a queste povere cose la lettera del Papa.
Ratzinger ovviamente ha ben presente la situazione reale. Ha sempre chiamato con il suo nome la «sporcizia» che c'è anche nella Chiesa. E non ignora le crescenti rivendicazioni che giungono da gruppi organizzati, ultimamente anche dall'Austria, per la fine del celibato dei preti.
Ma nella lettera spiega come dalla crisi del clero cattolico non si esce tanto con una «puntigliosa rilevazione delle debolezze dei ministri della Chiesa» quanto con una «rinnovata e lieta coscienza della grandezza del Dono di Dio concretizzata in splendide figure di pastori».
La sua è una lettera da meditare, prima ancora che da analizzare. Impreziosità di citazioni bellissime del santo curato d'Ars, don Giovanni Maria Vianney, vissuto in un piccolo borgo francese (meno di trecento anime) nella prima metà dell'Ottocento.
Ed è proprio questa la prima cosa che impressiona. Un papa teologo, intellettuale, prende a modello un modesto parroco di campagna.
Un prete i cui studi erano stati un disastro, respinto dai seminari, in difficoltà nell'apprendimento del latino, in crisi ogni volta che doveva prendere la parola in pubblico.
Eppure, una figura, quella del santo curato d'Ars, che stupì e attirò folle dall'intera Francia.
Senza compiere prodigi particolari, solo passando la maggior parte del giorno nel confessionale. E il resto visitando ammalati, sostenendo ragazze in difficoltà, sempre disponibile con tutti i suoi parrocchiani.
L'immagine del buon pastore.
«Il torrente della divina misericordia», che travolge ogni umana misura. Compreso quel suo continuo sentirsi inadeguato al ruolo. Compresa ogni inutile rigidezza e formalismo clericale. Modernissimo, in questo. Perché di questo approccio amorevole - e non solo di «moniti» - ha bisogno l'uomo lontano dei nostri giorni. «Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono - diceva il curato d'Ars - ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui». E ai preti incerti sul comportamento da usare in confessionale: «Vi dirò qual è la mia ricetta: dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto".

© Copyright Eco di Bergamo, 19 giugno 2009

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