venerdì 19 giugno 2009

Lettera del Papa: con tenerezza e chiarezza a tutti i preti del mondo (Curatola)


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LETTERA DEL SANTO PADRE AI PRESBITERI PER L'INDIZIONE DELL'ANNO SACERDOTALE: RASSEGNA STAMPA

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Benedetto XVI: con tenerezza e chiarezza a tutti i preti del mondo

Filippo Curatola
direttore “L’Avvenire di Calabria” (Reggio Calabria-Bova / Locri-Gerace)

Una lettera della quale i mass media hanno immediatamente colto un rigo solo e lo hanno già diffuso come fosse l'intero contenuto: l'accenno alle debolezze dei presbiteri.
È una lettera, invece, decisamente più ricca, che spinge ogni prete a guardare se stesso, e la sua vita, il suo tempo e la sua missione, allo specchio della coscienza e dentro il mistero del "dono". Il dono con cui Cristo si è offerto "una volta per tutte" e con cui ogni ministro é chiamato "a perpetuare l'offerta in sua memoria".
Ne diamo un rapido profilo (testo integrale della lettera in pdf: clicca qui).

Il dono dei sacerdoti.

Papa Benedetto ha indetto l'Anno Sacerdotale per "promuovere l'impegno di interiore rinnovamento dei sacerdoti" in modo che essi offrano "una più forte e incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi". Citando un'espressione del Curato d'Ars ("Il Sacerdozio é l'amore del cuore di Gesù") Benedetto XVI evoca "con tenerezza" il dono che i sacerdoti sono per la Chiesa e per il mondo. A loro, alle loro fatiche apostoliche, al loro servizio infaticabile e nascosto, alla loro carità tendenzialmente universale pensa con amore il Papa. E, con tenerezza e gratitudine, da una parte ricorda – assieme a quello del primo parroco accanto al quale iniziò il suo ministero – il volto di tanti presbiteri incontrati lungo le stagioni della sua vita; e dall'altra "le innumerevoli situazioni di sofferenza" dei sacerdoti: quelli fra di loro "offesi nella loro dignità", o "impediti nella loro missione", o "perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue".

I limiti e le infedeltà.

Non tace, tuttavia, il Papa su quelle situazioni che recano dolore alla Chiesa e danno scandalo al mondo. Sono indubbiamente storie che riempiono di tristezza, ma osserva che anche queste possono diventare l'occasione perché la Chiesa intera riscopra la grandezza immensa del sacerdozio. Ed, ampiamente richiamando le affermazioni stesse del Curato d'Ars, mette in luce l'unicità del ministero sacerdotale e lo sconfinato senso di responsabilità che ogni presbitero dovrebbe avvertire dentro se stesso, chiamato com'é ad accompagnare dalla nascita alla morte, ed oltre, la vita dei cristiani.

L'icona del Curato d'Ars.

Qui il Papa si sofferma a tracciare un rapido profilo degli elementi che hanno fatto di Giovanni M.Vianney un prete "secondo il cuore di Dio": l'umiltà senza limiti e insieme la coscienza di essere un dono per gli altri. "Sembrava sopraffatto – scrive il Papa – da uno sconfinato senso di responsabilità". Ed aggiunge che affermava che se capissimo bene cos'é un prete "moriremmo: non di spavento, ma di amore". È chiaro che il ministero del sacerdote opera "oggettivamente", ma sono straordinari i frutti di grazia che nascono quando s'incontrano "la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro". Una santità che portava Giovanni M.Vianney ad essere stabilmente in Chiesa (dove dimorava, e dove poteva essere da chiunque cercato), ma presente anche nelle case della sua gente. E nel suo donarsi a tutti – agli ammalati, alle famiglie, ai poveri, alle orfanelle, alle esigenze delle missioni – privilegiava il rapporto con i laici cristiani. “Il suo esempio – afferma il Papa richiamando le scelte del Concilio Vaticano II – mi induce a evidenziare gli spazi di collaborazione che è doveroso estendere sempre più ai fedeli laici, coi quali i presbiteri formano l’unico popolo sacerdotale”.

La testimonianza della sua vita.


Benedetto XVI richiama poi, in maniera suggestiva (per il richiamo che fa delle sue appassionate parole) e in qualche modo sofferta (per lo scenario che presenta questa stagione della Chiesa e del mondo), la testimonianza quotidiana del Curato d’Ars: la sua preghiera davanti al Tabernacolo, la celebrazione della messa, l'ascolto delle confessioni. “Era convinto che dalla messa dipendesse tutto il fervore della vita di un prete”. “La causa della rilassatezza del sacerdote – diceva – è che non fa attenzione alla messa! Mio Dio – esclamava – come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!”. E, poiché il Papa spera che oggi si ritorni ad avere “un’inesauribile fiducia nel sacramento della penitenza” e “a rimetterlo al centro delle… preoccupazioni pastorali”, ricorda come il Curato d'Ars restasse a volte nel confessionale fino a 16 ore al giorno: incoraggiando gli afflitti, scuotendo i tiepidi, trasformando il cuore della gente, facendo toccare dal vivo “l’amore misericordioso" di Dio. Ars era diventato “il grande ospedale delle anime”. “La grande sventura per noi parroci – diceva – è che l’anima si intorpidisce” abituandosi “allo stato di peccato o di indifferenza” di tanti fedeli. Per questo praticava un’ascesi severa con veglie e digiuni. Ad un confratello sacerdote dette un giorno questa spiegazione: “Vi dirò qual è la mia ricetta: dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto”. “Le anime – nota il Pontefice – costano il sangue di Gesù e il sacerdote non può dedicarsi alla loro salvezza se rifiuta di partecipare personalmente al caro prezzo della redenzione”.

I consigli evangelici.

Benedetto XVI esorta i sacerdoti a vivere, sulle orme di questo santo, il “nuovo stile di vita” inaugurato da Cristo, quello dei consigli evangelici. E richiamando le parole di Papa Giovanni XXIII, ricorda che la povertà, la castità e l'obbedienza sono “la via regolare della santificazione cristiana” da praticare secondo lo stato proprio di ognuno. In quanto povero, il Curato d’Ars poteva dire: “Il mio segreto è semplice: dare tutto e non conservare niente”. Mentre la sua castità “brillava nel suo sguardo” quando si volgeva verso il Tabernacolo “con gli occhi di un innamorato”. E totalmente obbediente affermava: “Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n’è una sola: servirlo come lui vuole essere servito”.

I segni dei tempi.

Rivolge poi ai sacerdoti un invito a saper leggere i segni dei tempi, a cogliere in particolare "la nuova primavera che lo Spirito sta suscitando ai giorni nostri nella Chiesa, non per ultimo attraverso i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità”. Sottolinea inoltre la necessità della “comunione fra i sacerdoti col proprio vescovo” in “una fraternità sacerdotale effettiva ed affettiva", che non solo sostiene la piena gioiosa osservanza del dono del celibato, ma fa diventare davvero credibili, davanti agli occhi dei laici, i pastori della Chiesa e i loro primi collaboratori. Difatti, ricorda il Papa – richiamando Paolo VI – “l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o – se ascolta i maestri – lo fa perché sono dei testimoni”.

Il ricordo di Paolo.

Il Pontefice non dimentica un richiamo a Paolo di Tarso, testimone credibile ed appassionato. "L’Anno Paolino che volge al termine – scrive – orienta il nostro pensiero anche verso l’Apostolo delle genti, nel quale rifulge davanti ai nostri occhi uno splendido modello di sacerdote, totalmente donato al suo ministero. L’amore del Cristo ci possiede – egli scriveva – e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti. Ed aggiungeva: Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro. Quale programma migliore potrebbe essere proposto ad un sacerdote impegnato ad avanzare sulla strada delle perfezione cristiana?".

Il volto della Madre.

Il Papa, infine, affida l'Anno Sacerdotale a Maria, la Madre, la quale è misticamente accanto ad ogni sacerdote mentre celebra l'Eucaristia come fu accanto al Figlio mentre era affisso alla croce. E come lì offrì al Padre il Figlio, così offre ogni giorno al Padre ogni presbitero che identifica se stesso in quell'unico Figlio cui ha donato la vita, il tempo e il respiro. Sia la Madre – auspica Benedetto XVI – a "suscitare nell’animo di ogni presbitero un generoso rilancio di quegli ideali di totale donazione a Cristo e alla Chiesa che ispirarono il pensiero e l’azione del Santo Curato d’Ars".

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