martedì 6 gennaio 2009

La comunità islamica di Milano: "Evento inatteso". La manifestazione è finita proprio al momento della Messa (Il Giornale)


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di Redazione

Aveva ragione il cardinale Biffi. Correva l’anno 2000, Giuliano Amato governicchiava a vista e le Torri Gemelle ancora si stagliavano nel cielo di Manhattan quando l’allora arcivescovo di Bologna disse che «i criteri per ammettere gli immigrati non possono essere soltanto economici, occorre che ci si preoccupi seriamente di salvare l’identità della nazione».
Di gran lunga preferibile, quindi, un’immigrazione compatibile formata da cristiani balcanici, filippini, latinoamericani, camerunensi, rispetto a un’immigrazione invasiva di musulmani che «hanno un diverso giorno festivo, una concezione della donna lontanissima dalla nostra, una visione integralista della vita pubblica».
Il discorso biffiano fu salutato, ovvio, da un coro di pernacchie.
A spernacchiare c’era la sinistra di sgoverno con in primissima fila il segretario della Cgil Cofferati, che poi da sindaco di Bologna qualche pernacchia se la prese pure lui, quando un bel giorno cercò di far conoscere l’esistenza della legge italiana anche sotto i portici peggio frequentati. Versacci, facezie, sorrisini, alzate di spalle, ma qualcuno con Biffi andò giù più pesante: l’eterno Gheddafi, dittatore che grazie alla nostra incapacità di costruire centrali nucleari promette di avere un crescente peso nelle vicende nazionali, lo definì «un adoratore del diavolo».
E Tettamanzi, in quel tempo arcivescovo di Genova, che cosa faceva? Già intonava il suo mantra prediletto: «Dialogo, dialogo».
I genovesi ovviamente si esasperarono e un gruppo cominciò a recitare rosari autogestiti nella Cattedrale di San Lorenzo, non si capisce se per allontanare il pericolo di una nuova moschea o per allontanare proprio l’arcivescovo. Se era quest’ultimo il loro obiettivo, Nostra Signora li esaudì alla grande: di lì a poco a Genova arrivò Bertone, salesiano che non crede nel più prosaico e cristiano «aiutati che Dio ti aiuta».
Tettamanzi venne mandato a Milano, forse sperando che il cambiamento d’aria inducesse un cambiamento di repertorio: da «Dialogo, dialogo» a «Mia bela Madunina».
Niente da fare. Anzi, un mantra all’apparenza innocuo, decisivo quanto il «Pace, pace» rivolto da Veltroni agli israeliani, è arrivato col tempo a somigliare all’inquietante richiamo di un muezzin: l’arcivescovo il mese scorso ha solennemente chiesto la costruzione di una moschea per ogni quartiere. I maomettani l’hanno preso in parola e senza aspettare le autorizzazioni comunali con una bella preghiera collettiva si sono presi piazza del Duomo, perché se bisogna cambiare l’anima di una città bisogna cominciare dal cuore. Un attacco al simbolo.

Di fronte alla chiusura forzata della sua cattedrale, al fatto che ai fedeli cristiani durante la manifestazione è stato impedito di pregare davanti al Crocefisso, Tettamanzi ha taciuto, tace, non dice più niente, nemmeno «Dialogo, dialogo», forse consapevole che stavolta rischia una stecca memorabile, di quelle che affossano una carriera, o meglio il suo finale.

Non è il caso di insistere sui silenzi di un arcivescovo in scadenza, che a marzo compie i fatidici 75 anni e ci si augura raggiunga a Gerusalemme il predecessore Martini, per scrivere a quattro mani un inevitabile best-seller pensieroso e omissorio. Chi non sta per andare in pensione, chi non ha nessuna intenzione di dimettersi da italiano né da cristiano, deve mettersi al lavoro. I politici devono andare a rileggersi il profetico discorso di Biffi (contenuto nel «Liber Pastoralis Bononiensis», pagine 620-627) perché anche se molti buoi sono già scappati chiudere la stalla (e Lampedusa) sarebbe ancora utile.
Gli amministratori devono smetterla di giocare coi grattacieli, non siamo mica a Dubai, qui l’urgenza urbanistica è riportare i milanesi a Milano: lo sapevate che dentro la cerchia dei bastioni, insomma in centro, ormai vivono soltanto diecimila persone? La prova di forza musulmana si è consumata in un deserto demografico. La natura non tollera vuoti: inutile scandalizzarsi della preghiera islamica se in piazza del Duomo, da anni, si vedono solo piccioni e turisti. Ai preti della diocesi, in grande maggioranza senza grilli dialoghistici per la testa, è difficile chiedere di più: in città le messe sono fra le più coinvolgenti d’Italia e le iniziative sociali molto numerose. Però bisogna sostenerli, con soldi e impegno volontario. A San Giovanni Battista, alla Bicocca, periferia nord, c’è un oratorio dove si aiutano i bambini a fare i compiti e gli anziani a mantenersi in salute (nell’annessa infermeria provano la pressione e fanno le punture). Altro che moschea di quartiere: a Milano, e in tutt’Italia, ci vuole l’oratorio di quartiere. Sono i luoghi dell’amore disinteressato e fanno miracoli: chi ci entra si converte, anche se è un musulmano o perfino, caso estremo, se è un lettore di Corrado Augias.

© Copyright Il Giornale, 6 gennaio 2009 consultabile online anche qui.

Come ambrosiana vedo nel marzo 2009 un mese di speranza che mi auguro non sara' disattesa.
Abbiamo bisogno di voci chiare, forti, decise, risolute, non certo di toni mediaticamentepoliticamentepoliticamente corretti
.
R.

1 commento:

Anonimo ha detto...

condivido l'articolo. come milanese non posso più tollerare l'immobilismo di Tettamanzi e i silenzi del comune. Milano è una città cristiana da secoli: lo Stato sarà laico ma la cultura no e se si rinuncia a difendere e a tramandare la cultura non solo non si sarà liberi ma si sarà esposti al predominio di un'altra cultura. Che non mi piace e non condivido. Per nulla.