lunedì 15 giugno 2009

Le attese dell’enciclica sociale di Benedetto XVI (Rosati)


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Le attese dell’enciclica sociale

Domenico Rosati

Finalmente, il 29 giugno, festa dei santi Pietro e Paolo, giunge in porto l'enciclica sociale di Benedetto XVI.
Finalmente, perché lo stesso autore ha segnalato la difficoltà della sua gestazione.
Che cosa dirà, e come? Le encicliche papali sono documenti speciali, modulati sul crinale di una continuità secolare da cui però ci si sporge sull'attualità dei «segni dei tempi».
«Fai attenzione soprattutto - mi disse una volta il cardinale Pavan, grande preparatore di lettere papali - ai passaggi che richiamano l'insegnamento dei predecessori di felice memoria: sembra che lo confermino e invece lo cambiano».
Anche stavolta? Si può immaginare che il lungo travaglio non abbia sconvolto l'impianto dottrinale evocato dal titolo: «Caritas in veritate», espressione chiaramente sintonizzata sul registro della «verità sull'uomo» insita nel Vangelo, data in deposito alla Chiesa e presentata, specie nel magistero di papa Ratzinger, come canone di autenticazione, o purificazione, di ogni processo umano.
Trattandosi di teologia morale - ché tale è per definizione il magistero sociale della Chiesa - si può prefigurare un discernimento tra ciò che è vero e ciò che è falso, auspicabile o indesiderabile, nelle azioni che gli uomini realizzano per svolgere il tema della giustizia nel mondo. In uno dei tanti accenni alla fase di elaborazione fu il papa stesso a parlare dell'esigenza di una «grande consapevolezza etica, diciamo creata e svegliata da una coscienza formata dal Vangelo».
Né sarebbe immaginabile, su questo punto, una discontinuità con i contenuti delle sue precedenti encicliche, quella sull'identità di Dio come carità e quella della la speranza come via di salvezza. Ora però, affrontando i problemi economico-sociali, papa Benedetto ha incontrato due ostacoli in più.
Il primo, di indole generale, è la complessità della materia: «Se non è affrontata con competenza una certa realtà economica non può essere credibile». Il secondo, di carattere specifico, è l'incombere della crisi: «La crisi finanziaria ed economica che ha colpito i Paesi industrializzati, quelli emergenti e quelli in via di sviluppo, mostra in modo evidente come siano da ripensare certi paradigmi economico-finanziari che sono stati dominanti negli ultimi anni». Ripensare i paradigmi, cioè cambiare i criteri di misura, fermi i valori di riferimento. Si annuncia qui, se non un mutamento esplicito, una volontà di non eludere un corpo a corpo con una prova che investe in estensione e profondità i destini del genere umano. Qualche espressione forte è stata già pronunciata sotto forma di denuncia degli «errori fondamentali» insiti nel crollo delle grandi banche americane, come pure è scontato il richiamo alla radice dell'errore, insita «nell'avarizia umana come peccato» o, per citare San Paolo, «nell'avarizia come idolatria» che falsifica l'immagine di Dio soppiantandolo con «mammona». Quanto il papa si inoltrerà su questo percorso non è dato sapere. Una lettura controluce del breve discorso di sabato 13 alla Fondazione Centesimus annus lascerebbe intendere un certo scostamento dalla filosofia del «capitalismo democratico» di Michel Nowak, largamente importata anche nelle università pontificie e tutta imperniata sulla centralità di un mercato capace di autoregolarsi anche mediante le pratiche della sussidiarietà e nettamente ostile all'ingerenza pubblica. Papa Benedetto ha voluto infatti rammentare che «la proprietà si giustifica moralmente nel creare... occasioni di lavoro e crescita umana per tutti»: qualcosa di analogo alla «funzione sociale» descritta dalla Costituzione italiana. A scavare, la miniera delle citazioni sarebbe inesauribile.
Ad esempio, un esponente di un dicastero ecclesiastico incaricato di produrre materiali per la redazione del nuovo testo ha recentemente richiamato la diagnosi di Pio XI sulla depressione post 1929: «Una dispotica padronanza dell'economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento». Così distrutto il mercato, a esso è «subentrata la egemonia economica, l'internazionalismo bancario o imperialismo internazionale del denaro».
C'è persino chi asserisce che «la prossima enciclica papale non sarà certamente marxista, ma forse un po' marxiana sì»; e ciò semplicemente perché tra i consulenti pontifici figura il vescovo di Monaco di Baviera che non solo si chiama Marx (Reinhart) ma ha dichiarato che «poggiamo tutti sulle spalle di Marx (Karl)», aggiungendo che «il movimento marxista ha cause reali e pone questioni giustificate». Troppa grazia. Basterebbe fermarsi a Pio XI, «di felice memoria».

© Copyright Il Mattino, 15 giugno 2009 consultabile online anche qui.

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