venerdì 19 giugno 2009

Anno Sacerdotale: Rischio e grandezza nelle parole di Benedetto XVI (Paolo Bustaffa)


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Rischio e grandezza nelle parole di Benedetto XVI

Paolo Bustaffa

Anche nella Chiesa c'è "il rischio di una secolarizzazione strisciante".
Dalle parole del Papa, nell'omelia del "Corpus Domini", nascono e si allargano cerchi di riflessione su un tema di grande rilievo.
Richiamano il disegno che appare quando si getta il sasso in uno specchio d'acqua.
Partono dall'essenziale, in questo caso dal culto eucaristico, toccano il pensiero e, diversamente da quanto accade nell'acqua, non svaniscono ma ritornano all'essenziale.
Secolarizzazione è, dunque, una parola che propone una sosta per fare domande sullo spessore della fede personale e comunitaria.
Una sosta che si potrebbe esprimere anche con l'immagine paolina dell'atleta raccolto ai blocchi di partenza prima dello scatto.
Le parole del Papa sono sempre un invito a scendere in campo, a mettersi in gioco.
Sono di una severità, fatta di tenerezza e di fermezza, che chiede di crescere, di diventare "grandi", di cercare oltre e altrove.
Ricordano alla Chiesa la sua avventura di stare con amore dentro la storia per indicare a tutti un percorso verso la felicità non indifferente ma "altro" rispetto a quelli suggeriti da più parti.
C'è un compito affascinante ed è quello di trasmettere al mondo la luce di un mattino che ha cambiato la direzione della storia.
Luce ricevuta in dono e luce da offrire in dono.
Torna così alla mente, dall'omelia dell'Epifania 2001, il "mysterium lunae" della teologia patristica che Giovanni Paolo II aveva accostato al titolo della Costituzione conciliare "Lumen gentium".
"La Chiesa - ricordava papa Wojtyla a chiusura del Giubileo dell'Anno 2000 - non vive per se stessa ma per Cristo". Intende essere la "stella che fa da punto di riferimento, aiutando a trovare il cammino che porta a Lui".
Papa Benedetto ricorda che per essere "stella" è indispensabile alla Chiesa non lasciarsi "sopraffare dalle attività e dalle preoccupazioni terrene" ma vivere "quella partecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la liturgia".
L'affanno, anche quello pastorale, non porta all'incontro con Dio e, quindi, neppure a quello con l'uomo.
Si pone qui la lettera di Benedetto XVI alla vigilia dell'inizio dell'Anno Sacerdotale.
Definisce i preti "immenso dono" per la Chiesa e anche per l'umanità, nello stesso tempo, indica loro con le parole del santo Curato d'Ars la via per essere l'"alter Christus" nell'offrire "l'umile e quotidiana proposta delle parole, dei gesti di Cristo, cercando di aderire a lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile della propria esistenza".
Non tace l'infedeltà di alcuni ma anche da queste situazioni di sofferenza e di scandalo prende lo spunto per un colpo d'ala.
"Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa - scrive infatti - non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure…".
Soprattutto a questi testimoni di Cristo, a queste persone scelte per dire che anche oggi egli abita le case dell'uomo, il compito di evitare "il rischio di una secolarizzazione strisciante".
Non solo dei preti è, tuttavia, la "fatica apostolica" di dire Dio: nella lettera c'é l'invito, ripreso dal Concilio, ad "ascoltare il parere dei laici" con i quali gli stessi preti "formano l'unico popolo sacerdotale", così "da poter insieme a loro riconoscere i segni dei tempi".
I cerchi delle riflessioni incontrano ancora le parole del Curato d'Ars: "Dopo Dio, il sacerdote è tutto! (...) Lui stesso non si capirà bene che in cielo".
Citandole il Papa consegna un messaggio: si può stare con amore dentro la storia se, come insegna un umile parroco, si sta con amore davanti al Signore della storia.

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