mercoledì 14 gennaio 2009
Penitenzieria Apostolica. La coscienza sul banco degli imputati (Osservatore Romano)
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La coscienza sul banco degli imputati
di Johan Ickx
La Penitenzieria non è nata come un ufficio per la risoluzione dei casi di foro interno, e neanche la disciplina della riserva papale ne spiega a sufficienza le origini. Se tali affermazioni sono comuni anche tra gli storici moderni, occorre dire che l'errore è dovuto al fatto - come afferma il Boudinhon - che si è voluto esaminare il passato d'una istituzione partendo dal suo ruolo attuale, mentre è chiaro che non è possibile applicare alla storia delle origini della Penitenzieria i principi giuridici che la reggono al presente. Questo errore spiega come non si sia ricercata l'origine storica delle numerose facoltà attribuite fin dai primi tempi della Penitenzieria, e che non riguardavano in nessun modo la riserva papale. Per quanto si voglia andar lontano nella storia di questo ufficio, esso ebbe poteri assai vasti, indipendenti dai casi riservati e riguardante soprattutto, ma non esclusivamente, il foro esterno.
È da ritenersi quindi che la Penitenzieria sia nata come ufficio burocratico per la risoluzione nel foro esterno dei casi (e non dei peccati) riservati alla Sede Apostolica, e di altri delitti ritenuti dai vescovi particolarmente gravi, per i quali esisteva già da tempo sia la riserva episcopale che la pratica dei pellegrinaggi penitenziali a Roma. Che le assoluzioni fossero date nel foro esterno è dimostrato dal fatto che esse non erano segrete, le suppliche venivano registrate e i canonisti d'ufficio, gli auditores experti in iure, trattavano queste censure nel diritto penale della Chiesa e non in quello della disciplina del sacramento della Penitenza. Il Boudinhon afferma giustamente che la Penitenzieria ai suoi inizi era une sorte de bureau des menues faveurs du pape (Chouet). Il cardinale Gaucelmo nel chiedere le facoltà a Clemente vi in Avignone nel 1342 così si esprime: Isti sunt casus pro quibus Maior Paenitentiarius ad continuam instantiam diversarum personarum Vestrae Sanctitati omni die vel quasi pro animarum salute oportet iuxta sibi commissi officii exercitium vestre Penitenziarie debitum continue infestare.
Si può collocare la prima apparizione sulla scena storica della figura di un cardinale penitenziere intorno all'anno 1179. È notevole il fatto che questi cardinali, almeno all'inizio, erano stati dei legati a latere, e quindi investiti di un ampia delega della plenitudo potestatis pontificia - come ha spiegato bene monsignor Agostino Maccarone - per delle missioni importanti dal punto di vista ecclesiale, ruolo che anche i penitenzieri minori avranno da svolgere nel XIII secolo: infatti questi risultano abilitati a giudicare, riformare, assolvere, condannare, scomunicare e deporre. Si presume che siano stati personaggi di spicco e di stretta fiducia dei Papi (è troppo presto per dirlo, ma forse si dovrebbe cercare addirittura un legame attraverso gli studi fatti nelle grandi scuole di allora; in particolare Parigi potrebbe offrire una chiave di lettura). Il cardinale stesso per molti decenni deve essere stato un primus inter pares tra i penitenzieri, dei quali non cessava mai il ministero, neanche durante la sede vacante. Peraltro, non si trovano mai le parole confessarius, confessio e così via, ma sempre paenitentiarius (nella descrizione dei sigilli da Meyer appare chiaramente non un confessore, ma un magistrato-giudice). Abbiamo anche notato come fu l'evoluzione del diritto a spingere i vescovi e i tribunali locali, più di prima, alla comune prassi di rivolgersi a Roma, e non viceversa, proprio perché era in pericolo l'intera costruzione sociale e i fondamenti sui quali questa era creata.
Si è visto che l'apparizione della figura del penitenziere maggiore si collega perfettamente al contesto della riforma gregoriana in atto e all'evoluzione nel diritto canonico in quel tempo. Infatti, il cambiamento nel diritto canonico del XII secolo è importante per l'Occidente medievale come lo è stata la rivoluzione copernicana per i tempi nostri. Nel diritto da un lato si vede riflesso l'ordine sociale che sta cambiando, con una netta divisione tra clero e laici e la scoperta, o meglio la ratificazione di un foro "della coscienza", umanizzando così un diritto troppo a lungo rimasto "barbaro" o "romano antico", anche se erano in atto delle usanze che puntavano in quella direzione di umanizzazione sotto la spinta della teologia cristiana, prima ancora che la base giuridica ben definita fosse fondata.
Abbiamo potuto dimostrare che fu proprio in quel contesto della nascita del diritto canonico (e civile) moderno, che anche presso la curia romana urge la necessità di "giudici professionali", e si sottolinea "giudici", che si occupino degli errori più grandi, se non di quelli "enormi", per i quali si faceva ricorso al Papa o che il Papa riservava per sé. Per il fatto che quest'ultimi potevano avere un impatto sociale o erano di natura tale da poter capovolgere l'ordine pubblico, furono tolti fuori dal foro interno e pertanto i penitenzieri, come giudici, e più tardi la penitenzieria, come tribunale, si occupavano esclusivamente del foro esterno. Quando questi esperti giudiziari circoscrivevano in modo sempre più dettagliato il foro esterno, essendo così in grado di definire anche il foro interno, allora si imbattevano su un terzo terreno che era sempre esistito e di natura completamente privata e personale: se un errore poteva suscitare scandalo pubblico o meno, in altre parole se era occulto o noto, in ultima istanza contava l'attitudine, la disposizione del peccatore o criminale dinanzi a Dio, e questo era il terreno della coscienza, del tutto segreta. L'unicità del tribunale della penitenzieria sta proprio nel fatto che si occupava di quel terreno, ed è stata la singolarità della Chiesa ad aver dato via libera alla sua nascita tra il 1150 e il 1250: un tribunale della coscienza, con le cui sentenze il penitente, indifferentemente se doveva scontare una pena per la società o meno, poteva riscuotere - come il cavaliere di Gascogne intorno all'anno 1000 - la sua colpa verso il suo Creatore.
(©L'Osservatore Romano - 14 gennaio 2009)
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