mercoledì 14 gennaio 2009

Penitenzieria Apostolica. La coscienza sul banco degli imputati (Osservatore Romano)


Vedi anche:

Il rabbino di Venezia attacca il Papa. Insufficiente e "deboluccia" la prima reazione della Cei

Inutile polemizzare contro i bus atei di Genova. Essi non danneggiano la Chiesa che è capacissima di farsi del male da sè, senza aiuti esterni!

Gravi offese al Papa, Casini: mortificante la valutazione del rabbino di Venezia

Gravi offese al Papa, il rabbino Di Segni "difende" Benedetto XVI: il suo "originale e determinante contributo" al dialogo

Distrutto uno dei centri medici della Caritas a Gaza. Appello per la popolazione

Una precisazione sulla preghiera del Venerdì Santo (in attesa della reazione del Vaticano)

Offese a Benedetto XVI: l'editoriale di Elia Enrico Richetti per il mensile dei Gesuiti "Popoli"

Il rabbino di Venezia attacca Benedetto XVI sulla rivista dei Gesuiti

Joseph Ratzinger: "L’eredità di Abramo dono di Natale". Il rapporto fra Cristiani ed Ebrei (2000)

Giallo a San Pietro, smontati e rimontati presepe e albero

Il Prof. Cantelmi commenta l'omelia del Papa in occasione del Battesimo di tredici neonati (Liut)

Apre in Vaticano il Simposio promosso dalla Penitenzieria apostolica: intervista con il card. Stafford (Radio Vaticana)

Savino Pezzotta: "Ci vuole il Papa per capire come governare?"

VI Incontro Mondiale delle Famiglie: il dossier dell'Agenzia Fides

Tutti i numeri della fede. Quando Papa Ratzinger veste i panni di Galileo (Magister)

Sforza Fogliani: La lezione di diritto che il Papa ha dato all'Italia (Libero)

La Chiesa, Israele e gli Ebrei: due articoli del Prof. Giorgio Israel

Riccardo Chiaberge: Chi benedice Morucci in cattedra (e sbarra la porta al Papa)

INCONTRO MONDIALE DELLE FAMIGLIE (CITTA' DEL MESSICO): RACCOLTA DI ARTICOLI E DISCORSI

La coscienza sul banco degli imputati

di Johan Ickx

La Penitenzieria non è nata come un ufficio per la risoluzione dei casi di foro interno, e neanche la disciplina della riserva papale ne spiega a sufficienza le origini. Se tali affermazioni sono comuni anche tra gli storici moderni, occorre dire che l'errore è dovuto al fatto - come afferma il Boudinhon - che si è voluto esaminare il passato d'una istituzione partendo dal suo ruolo attuale, mentre è chiaro che non è possibile applicare alla storia delle origini della Penitenzieria i principi giuridici che la reggono al presente. Questo errore spiega come non si sia ricercata l'origine storica delle numerose facoltà attribuite fin dai primi tempi della Penitenzieria, e che non riguardavano in nessun modo la riserva papale. Per quanto si voglia andar lontano nella storia di questo ufficio, esso ebbe poteri assai vasti, indipendenti dai casi riservati e riguardante soprattutto, ma non esclusivamente, il foro esterno.
È da ritenersi quindi che la Penitenzieria sia nata come ufficio burocratico per la risoluzione nel foro esterno dei casi (e non dei peccati) riservati alla Sede Apostolica, e di altri delitti ritenuti dai vescovi particolarmente gravi, per i quali esisteva già da tempo sia la riserva episcopale che la pratica dei pellegrinaggi penitenziali a Roma. Che le assoluzioni fossero date nel foro esterno è dimostrato dal fatto che esse non erano segrete, le suppliche venivano registrate e i canonisti d'ufficio, gli auditores experti in iure, trattavano queste censure nel diritto penale della Chiesa e non in quello della disciplina del sacramento della Penitenza. Il Boudinhon afferma giustamente che la Penitenzieria ai suoi inizi era une sorte de bureau des menues faveurs du pape (Chouet). Il cardinale Gaucelmo nel chiedere le facoltà a Clemente vi in Avignone nel 1342 così si esprime: Isti sunt casus pro quibus Maior Paenitentiarius ad continuam instantiam diversarum personarum Vestrae Sanctitati omni die vel quasi pro animarum salute oportet iuxta sibi commissi officii exercitium vestre Penitenziarie debitum continue infestare.
Si può collocare la prima apparizione sulla scena storica della figura di un cardinale penitenziere intorno all'anno 1179. È notevole il fatto che questi cardinali, almeno all'inizio, erano stati dei legati a latere, e quindi investiti di un ampia delega della plenitudo potestatis pontificia - come ha spiegato bene monsignor Agostino Maccarone - per delle missioni importanti dal punto di vista ecclesiale, ruolo che anche i penitenzieri minori avranno da svolgere nel XIII secolo: infatti questi risultano abilitati a giudicare, riformare, assolvere, condannare, scomunicare e deporre. Si presume che siano stati personaggi di spicco e di stretta fiducia dei Papi (è troppo presto per dirlo, ma forse si dovrebbe cercare addirittura un legame attraverso gli studi fatti nelle grandi scuole di allora; in particolare Parigi potrebbe offrire una chiave di lettura). Il cardinale stesso per molti decenni deve essere stato un primus inter pares tra i penitenzieri, dei quali non cessava mai il ministero, neanche durante la sede vacante. Peraltro, non si trovano mai le parole confessarius, confessio e così via, ma sempre paenitentiarius (nella descrizione dei sigilli da Meyer appare chiaramente non un confessore, ma un magistrato-giudice). Abbiamo anche notato come fu l'evoluzione del diritto a spingere i vescovi e i tribunali locali, più di prima, alla comune prassi di rivolgersi a Roma, e non viceversa, proprio perché era in pericolo l'intera costruzione sociale e i fondamenti sui quali questa era creata.
Si è visto che l'apparizione della figura del penitenziere maggiore si collega perfettamente al contesto della riforma gregoriana in atto e all'evoluzione nel diritto canonico in quel tempo. Infatti, il cambiamento nel diritto canonico del XII secolo è importante per l'Occidente medievale come lo è stata la rivoluzione copernicana per i tempi nostri. Nel diritto da un lato si vede riflesso l'ordine sociale che sta cambiando, con una netta divisione tra clero e laici e la scoperta, o meglio la ratificazione di un foro "della coscienza", umanizzando così un diritto troppo a lungo rimasto "barbaro" o "romano antico", anche se erano in atto delle usanze che puntavano in quella direzione di umanizzazione sotto la spinta della teologia cristiana, prima ancora che la base giuridica ben definita fosse fondata.
Abbiamo potuto dimostrare che fu proprio in quel contesto della nascita del diritto canonico (e civile) moderno, che anche presso la curia romana urge la necessità di "giudici professionali", e si sottolinea "giudici", che si occupino degli errori più grandi, se non di quelli "enormi", per i quali si faceva ricorso al Papa o che il Papa riservava per sé. Per il fatto che quest'ultimi potevano avere un impatto sociale o erano di natura tale da poter capovolgere l'ordine pubblico, furono tolti fuori dal foro interno e pertanto i penitenzieri, come giudici, e più tardi la penitenzieria, come tribunale, si occupavano esclusivamente del foro esterno. Quando questi esperti giudiziari circoscrivevano in modo sempre più dettagliato il foro esterno, essendo così in grado di definire anche il foro interno, allora si imbattevano su un terzo terreno che era sempre esistito e di natura completamente privata e personale: se un errore poteva suscitare scandalo pubblico o meno, in altre parole se era occulto o noto, in ultima istanza contava l'attitudine, la disposizione del peccatore o criminale dinanzi a Dio, e questo era il terreno della coscienza, del tutto segreta. L'unicità del tribunale della penitenzieria sta proprio nel fatto che si occupava di quel terreno, ed è stata la singolarità della Chiesa ad aver dato via libera alla sua nascita tra il 1150 e il 1250: un tribunale della coscienza, con le cui sentenze il penitente, indifferentemente se doveva scontare una pena per la società o meno, poteva riscuotere - come il cavaliere di Gascogne intorno all'anno 1000 - la sua colpa verso il suo Creatore.

(©L'Osservatore Romano - 14 gennaio 2009)

Nessun commento: