martedì 4 agosto 2009

Secondo Melloni i Cattolici hanno cercato di "riacciuffare" frère Roger dopo la comunione per mano del card. Ratzinger


Vedi anche:

Appuntamento dei sacerdoti del mondo con il Papa nel giugno 2010 (Zenit)

Card. Ratzinger: "Emerge con chiarezza ciò che la fede può fare per una buona politica: essa non sostituisce la ragione, ma può contribuire all’evidenza dei valori essenziali. Attraverso la concretezza della vita nella fede conferisce a essi una credibilità, che poi illumina e risana anche la ragione" (2002)

San Giovanni Maria Vianney nella riflessione del cardinale Giovanni Colombo: Un prete felice perché innamorato (Osservatore Romano)

Il curato d'Ars modello sacerdotale in un discorso del card. Montini: Ma non si crede a un prete che se la gode (dal libro di padre Sapienza)

Appello del Papa perché in Pakistan si ponga fine alla violenza (Osservatore Romano)

Il Papa: "Abbiamo visto e sentito che c'è una parte indistrutta del mondo, anche dopo la torre e la superbia di Babele, ed è la musica: la lingua che noi possiamo tutti capire, perché tocca il cuore di noi tutti" (Concerto)

Un vescovo: se parlo faccio politica, se taccio tradisco Cristo. Recensione del nuovo libro di Leonardo Sapienza sull'Anno Sacerdotale (Izzo)

Pakistan, il Papa: attacco insensato a persone innocenti

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"L'Osservatore Romano? Fede, dottrina e rock & roll" (Bracalini). Vian: "Ho messo il clergyman alle nostre idee" (Tornielli)

L'appello del Papa per i fedeli perseguitati in Pakistan (Il Tempo)

Gotti Tedeschi: Obama ascolti bene la lezione dell’“economista” Benedetto XVI (Sussidiario)

Risposte alle obiezioni sull'Istruzione “Dominus Iesus”. Intervista del cardinal Ratzinger al quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung (2000)

Il Papa all'Angelus: i sacerdoti come i santi siano totalmente innamorati di Cristo (Radio Vaticana)

Il Papa ringrazia per la vicinanza spirituale che i fedeli gli hanno dimostrato dopo l'infortunio al polso (Izzo)

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Sanatoria per i preti con figli? (Galeazzi)

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Le intenzioni dei Nazisti verso la Chiesa. Dal diario di Joseph Goebbels (Messainlatino)

Se il Papa insegna ad amare il corpo (Rondoni)

“Alma Mater”. Esce a Natale il disco di Papa Ratzinger (Galeazzi)

Concilio Vaticano II ed ermeneutica della rottura: nel 1976 Paolo VI mette i puntini sulle "i" usando un linguaggio particolarmente forte

E' NATO IL NUOVO BLOG: I TESTI DI JOSEPH RATZINGER-BENEDETTO XVI

Su segnalazione di Eufemia leggiamo:

1949-2009 Due libri interpretano in modo opposto l’eredità ecumenica del priore

Taizé, lo scandalo dell’unità

Superare le divisioni fra i cristiani: l’utopia di frère Roger

di ALBERTO MELLONI

Chissà quanti sono quelli che da ragazze e da ragazzi hanno preso il treno verso nordovest, fatto il cambio a Chambesy e Macon, con improbabili coincidenze notturne, il freddo anche d’estate, l’autobus verso Cluny. E da lì sono saliti su quella collinetta di Borgogna da cui sarebbero scesi diversi. Fra di loro — centinaia di migliaia — si riconoscono al volo: perché non cascano nella finta dieresi e pronunciano correttamente il nome di Taizé (Tèsé, per la cronaca). Sulla collina abita ormai da sessant’anni una comunità monastica ecumenica, formata cioè da giovani di diverse Chiese che hanno seguito il solco spirituale di lotta e di contemplazione di un personaggio dalla gigantesca esilità: Roger Schutz.
Svizzero, pastore calvinista, frère Roger è un personaggio chiave della storia cristiana del Novecento. Assassinato da una poveretta psicolabile durante la preghiera il 16 agosto di quattro anni fa, il priore di Taizé se ne è andato lasciando dietro di sé, caso raro nella vita monastica, una comunità molto unita attorno alla povertà e alla effettiva fraternità: ma la sua esperienza continua a bruciare come una sfida al di fuori, in quegli ambienti che non hanno digerito la sua intuizione di fondo — cioè che la vita cristiana può e deve anticipare il non ancora di cui vive. Per rendersene conto bisognerebbe leggere un libro di Yves Chiron, tradotto di recente dalle edizioni Sanpaolo (Frère Roger 1915-2005, pp. 428, e 28, traduzione di Bruno Pistocchi), che maliziosamente mette in discussione il centro (niente di più, niente di meno) della figura del fondatore di Taizé e della comunità che da lui è nata.
Schutz è uno di quei cristiani che nel secolo scorso ha sentito come un urlo nella propria carne il bisogno di superare il più grande scandalo di sempre: cioè la divisione fra i cristiani, stigma della divisione del mondo e dei cuori nello stesso istante. Oggi si rischia di ritenerlo un problema superato. Gli uomini di Chiesa sono in grado di incontrare con poca spesa qualunque altro esponente d’altra confessione, usargli le migliori cortesie, sorridere nel dialogo e perfino ricordarlo nella preghiera: ma senza drammi. Sembra venuto meno non lo scandalo della divisione, ma il coraggio di chiamarlo col suo nome, di viverlo come una vocazione che incendia la vita. Per frère Roger la divisione delle Chiese, al contrario, è stata scandalo: e il suo modo di guarirne è stata l’intuizione di ripristinare l’unità qui ed ora, tutta e subito, dentro una comunità piccolissima e monasticamente stabile; creare in una qualunque collina di Borgogna la profezia di ciò che accadrà non perché qualcuno lo saprà produrre, ma perché la farà il Cristo in persona adunando i suoi e mutando in desiderio le indifferenze e il diplomatichese teologico.
Quando nel 1940-1949 una comunità così concepita muove i primi passi della sua preistoria, l’elemento dell’anticipazione dell’unità è già presente; diventa chiave dal 1949, anno nel quale i primi fratelli pronunziano i propri irrevocabili voti monastici e Roger diventa formalmente il priore di questo gruppetto di protestanti che riscoprono il monachesimo in una restaurata innocenza. Tale ardore d’unità porta Roger e i frères a cercare molto presto un contatto con la Chiesa cattolica e con la Chiesa ortodossa. Contatti difficili in anni in cui a Roma l’ecumenismo è peccato: ma che aprono fortunosamente alle due eleganti cocolle dei frères di Taizé la via del Vaticano II, dove partecipano come «osservatori» fra gli acattolici invitati al concilio. E dopo il concilio Taizé — che era stata negli anni Quaranta rifugio per gli ebrei in fuga, poi luogo di accoglienza di ragazzini orfani, supporto per i tedeschi prigionieri nel dopoguerra — diventa il luogo dove i ragazzi di tutta Europa imparano una spiritualità essenziale che tiene in equilibrio una apertura alle tragedie del mondo e un ecumenismo vissuto faccia a faccia, un dialogo diretto e un clima di preghiera, una vita visibilmente povera ancorché elegante (alle 5 il tè, come nelle buone famiglie, ma in ciotole di plastica al retrogusto di amuchina...), i canoni polifonici ripetuti all’infinito e il grande silenzio di una chiesa dove gli spazi non sono barriere, come un quadro di Rothko.
In questo clima anticipatore la comunità e migliaia di ospiti praticano l’intercomunione: cioè l’accesso all’eucarestia celebrata per lo più secondo il rito cattolico anche da parte di protestanti e ortodossi. Tollerata dalle autorità in un momento nel quale s’attendeva l’intercomunione fra il Papa e il patriarca ecumenico, l’intercomunione viene vissuta da Schutz non come una adesione o una sottomissione alla Chiesa cattolica, ma come la fedeltà alla chiamata che aveva sentito: quella di anticipare nel corpo della comunità l’unità visibile, che o è eucaristica o non è.
Culmine di questa fedeltà «strategica» a se stesso la sua partecipazione alla comunione nei funerali di Giovanni Paolo II, comunicata dallo stesso cardinale Ratzinger, che del divieto dell’intercomunione era custode.
Da parte cattolica c’è stato il tentativo di riacciuffare quel gesto tutto spirituale e di dire che esso rilevava l’essere «ormai» cattolico di frère Roger: una sciocchezza che il responsabile dell’ecumenismo vaticano, il cardinale Walter Kasper ha smentito. Ma è attorno a questa illusione che maliziosamente gioca Chiron. Ricca di dati quando racconta la giovinezza di Schutz nella natìa Svizzera, la sua formazione e gli inizi della comunità, la biografia di Chiron accumula dosatissime forzature, allude a simpatie e a fioretti d’infanzia, sottolinea la presenza di avi veterocattolici o cattolico-romani della famiglia Schutz. Fino a sfigurare il desiderio di unità di una generazione e manipolare lo Schutz storico per farne la caricatura di un criptocattolico codardo. Operazione che parla della povertà dell’ecumenismo d’oggi e che irrita sia chi abbia conosciuto Roger a Taizé (o a Bari, o nella casa di Corso Vittorio, nelle bidonvilles dove la comunità s’era stabilita, negli incontri europei di Capodanno su cui Wojtyla fece una vera e propria cattura) sia chi abbia a cuore l’etica della ricerca. Chiron mostra come una manciata di dati nuovi o esatti non bastino a fare quella verità fragile e riconoscibile che è la verità storica: un libro che non riesce a far sentire quell’ansia di unità delle Chiese, dell’Europa, del mondo che la parabola della comunità di Taizé ha disegnato non parla di Schutz, ma della sciatteria di un tempo in cui ciò è possibile. Uno dei grandi profeti di quella sete d’unità oggi incagliata fra opportunismi, ecclesiasticismi, politicismi dei cristiani, Olivier Clement, ha scritto in un suo libretto del 1997 tradotto ora da Lindau ( Taizé un senso alla vita , pp. 96, e 11, traduzione di Barbara Borsa) che «se la storia non è nutrita di eternità diventa zoologia» e che il senso di Taizé era proprio questo: nutrire di eternità la storia. Chi la storia la vorrebbe solo capire, raccogliere, raccontare, non ha strumenti per pesare questo tipo di convinzioni: ma deve saper rendere conto esattamente di questo germogliare della stessa intenzione; nella vita di un giovane svizzero degli anni Quaranta, poi in un fiume di ragazze e ragazzi che al termine del viaggio che evocavo all’inizio, seduti sui tronchi, sotto il cartellone «accueil», capivano che quella parola — l’accoglienza — non era una tappa obbligata prima di avventurarsi fra la chiesa e le tendopoli, ma un modo per mettere a disposizione di tutti una urgenza, uno scandalo, una speranza.

© Copyright Corriere della sera, 3 agosto 2009

Il superamento della divisione fra Cristiani non si fa con bacetti ed abbracci ma con discussioni teologiche approfondite.
Un miscuglio di identita' diversa non fa bene a nessuno.
Quanto a Frère Roger si legga:


Il segreto di Frère Roger. Da 33 anni convertito alla religione cattolica (Il Giornale)

Frère Roger ha fatto un percorso ecumenico completamente nuovo (Le Monde)

6 commenti:

sonny ha detto...

Buongiorno Raffaella. Condivido in toto la tua opinione. Questo ecumenismo alla "volemose bene" ha prodotto dei disastri fotonici( come si dice dalle mie parti,che purtroppo sono anche quelle di Melloni)
Riguardo al già citato professore, preferisco non esprimere giudizi perchè potrei diventare estremamente disgustosa!

hagrid ha detto...

Il metodo che A.M. applica a Chiron è quello che intesse la sua attivtà di articolista e di storico [che mons. Marchetto ha perfettamente inchiodata alle sue responsabilità di piccola inquisizione progressista]; preferisce dimenticare il caso di Max Thurian, principale collaboratore di frere Roger, che è morto sacerdote cattolico. Dove è il male se un profeta dei nostri tempi alla fine, e in perfetta coerenza con il suo carisma, scopre che la sua casa sta a Roma?

euge ha detto...

Cari amici è proprio l'atteggiamento del " volemose bene" tanto caro a tipi come Melloni, che tanti disastri ha provocato non solo all'interno della chiesa ma, anche nei rapporti con altre religioni. Il dialogo quello vero, lo abbiamo detto tante volte non funziona così. Se molti ora si permettono di maltrattare la religione cattolica, i suoi insegnamenti e la figura del Pontefice, lo si deve anche a questo atteggiamento irresponsabile. Il dialogo è basato sul rispetto reciproco ma, non ci potrà mai essere rispetto, se non si fa chiarezza su punti fondamentali ed anche scomodi che devono essere affrontati e chiariti. Molto più facile ignorare ed andare avanti come pecoroni.

Anonimo ha detto...

Ogni articolo che pubblica Melloni, c'è un attacco a Ratzinger. La foto pubblicata dal Corriere non è quella del blog, con la carezza, ma quella della comunione presa passivamente. Oggi Langone sul Foglio gli risponde per le rime. Saluti, Eufemia

PREGHIERA
di Camillo Langone

Il cuculo della chiesa cattolica
Alberto Melloni, che
da molti anni vive a carico della Sposa di
Cristo becchettandone la dote, ieri sul Corriere
ha insinuato che la divisione dei eristiani
sia colpa dei cristiani. Mentre chiunque
abbia almeno sfogliato il Vangelo (e
un vaticanista come Melloni poteva sforzarsi
di farlo) sa che la divisione è colpa di
coloro che per superbia hanno disubbidito
alla volontà di Gesù (fondamento su Pietro,
preghiera dell`unità, remissione ecclesiastica
dei peccati...). Colpevoli sono perciò,
evidentemente ed esclusivamente, gli
anticristiani detti protestanti. Melloni è di
Reggio Emilia, città di asili senza bambidi
ponti senza fiumi, di bandiere senza
patria, di cooperative senza cooperazione:
prego che diventi inoltre la città dei cuculi
senza nido.

massimo ha detto...

colpisce il livore,il fastidio,l'ansia il pregiudizio dei toni in questo articolo,davvero questo"progressista"pare un inquisitore.d'altri tempi.

euge ha detto...

E' la specialità di melloni apparire progressista salvo poi dimostrarsi inquisitore d'altri tempi quando si tratta di attaccare la chiesa e soprattutto il Papa.