lunedì 23 marzo 2009

Un milione di persone a Luanda per la Messa. Papa Ratzinger attraversa le periferie con la papamobile (Bobbio)


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Un milione di persone a Luanda per la Messa. Ratzinger attraversa le periferie

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Alberto Bobbio

Luanda (Angola)

L'appello finale di Benedetto XVI, che si alza dalla capitale-simbolo dei mali dell'Africa e della ingordigia dei Paesi ricchi, è un'invettiva lanciata al cuore del mondo: «La cupidigia riduce in schiavitù i poveri».
Parla davanti ad un milione di persone sulla spianata di terra rossa di Cimangola.
Con la «papamobile» ha appena percorso 14 chilometri di contrasti stridenti e di dolore. Ha attraversato il centro di Luanda e poi è sceso sul lungomare. In fondo ha infilato strade di polvere dentro le favelas, che stringono la capitale. Ha visto le baracche che saturano l'orizzonte a perdita d'occhio.
La televisione di Stato trasmette le immagini dall'elicottero e così va in scena la sofferenza di Luanda. L'auto del Papa rallenta, gira attorno alle buche, la gente corre tra le baracche per vederla sfilare in mezzo al loro dramma quotidiano. Ci sono i vescovi dell'Africa australe, quella che sta sotto l'equatore, a celebrare insieme al Papa. Ognuno porta con sé un pezzo della sofferenza di questo continente. L'ultima è quella per la morte delle due ragazze e dei feriti nella calca davanti allo stadio prima dell'incontro con i giovani del giorno prima, a causa dell'impreparazione della polizia angolana a gestire in sicurezza eventi di massa. Il Papa li ricorda all'inizio della celebrazione.
Poi Benedetto XVI evoca altre sofferenze, ma soprattutto parla della guerra, che distrugge «famiglie, intere comunità, la fatica degli uomini e la speranza». Ricorda che questa è «purtroppo un'esperienza familiare in Africa»: «La potenza distruttiva della guerra civile, il precipitare nel vortice dell'odio e della vendetta, lo sperpero degli sforzi di generazioni di gente per bene». Ieri la Chiesa angolana ha dedicato la domenica alla preghiera per la riconciliazione nazionale. E il Papa sottolinea che «il Vangelo insegna la vera riconciliazione», quella «frutto del cambiamento del cuore, di un rinnovato modo di pensare». Ci sono ragioni politiche e ragioni pastorali nelle sue parole. C'è un Paese dove pochi corrono e molti arrancano sempre più poveri, ma c'è anche una Chiesa che in questi giorni è stata spronata a migliorare l'azione pastorale.
Ratzinger offre ancora la sola ricetta che funziona: «Il potere dell'amore di Dio può cambiare i cuori e farci trionfare sul potere del peccato e della divisione». Spiega che è venuto in Africa per predicare «questo messaggio di perdono, di speranza e di nuova vita». Prima di lui altri lo hanno portato e Benedetto XVI chiede alla gente di essere riconoscente verso «generazioni e generazioni di missionari che hanno contribuito e continuano a contribuire allo sviluppo umano e spirituale» dell'Angola. Ma ci sono anche i laici, i genitori, i catechisti, che «hanno sacrificato la propria vita» per trasmettere il Vangelo. Fa bene il Papa a ricordarli, perché spesso si tratta di martiri dimenticati.
Poi volge lo sguardo al mondo. La sua è un'analisi preoccupata. Esclama: «Quanto grandi sono le tenebre in tante parti del mondo!». Hanno avvolto anche l'Africa, compresa l'Angola. Ratzinger dice che sono «nuvole tragiche del male»: «Pensiamo al flagello della guerra, ai frutti feroci del tribalismo e delle rivalità etniche, alla cupidigia che corrompe il cuore dell'uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e più giusta, una società veramente ed autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori». Invece accade che un «insidioso spirito di egoismo» divida «le famiglie, soppianti la generosità e l'abnegazione» e conduca alla «droga, all'irresponsabilità sessuale, all'indebolimento del legame matrimoniale, alla distruzione delle famiglie e all'eliminazione di vite umane innocenti mediante l'aborto».
Parla in Africa, ma non parla solo all'Africa, perché le preoccupazioni di Benedetto XVI sono per tutto il mondo. Ma invita a non perdere la speranza. Lo fa con un'espressione molto bella: «Dio non ci dà mai per spacciati». Anche questo vale per tutti. In particolare vale però per gli angolani che escono faticosamente da anni di guerra e si trovano in mezzo ad una ricostruzione piena di ingiustizie. Il Papa li consola, spiega che «il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro, richiede tempo, fatica», ma ha bisogno di «perseveranza» e soprattutto di un cambiamento di mentalità, quella «che vede gli altri come strumenti da usare piuttosto che come fratelli e sorelle da amare, da rispettare, da aiutare lungo la via della libertà, della vita e della speranza».
Eppure tutto ciò non basta, perché un cambiamento il Papa attende anche nell'atteggiamento del mondo. Lo chiede all'Angelus, recitato sotto il sole della grande spianata, lo chiede agli uomini e alle donne di tutto il mondo: «Volgano i loro occhi all'Africa, a questo grande continente così colmo di speranza, ma ancora così assetato di giustizia, di pace, di un sano e integrale sviluppo che possa assicurare al suo popolo un futuro di progresso e di pace».
Benedetto XVI in particolare ieri ha auspicato la fine del conflitto nella regione dei Grandi Laghi, dove s'intrecciano i confini di Congo, Uganda, Rwuanda e Burundi, e dove è in corso «un difficile processo di dialogo». Il Papa ha chiesto «conforto» per chi soffre e «forza» per chi sta negoziando, per arrivare alla cessazione della violenza.

© Copyright Eco di Bergamo, 23 marzo 2009

2 commenti:

mariateresa ha detto...

per chi ha pazienza e sa il francese, questo lungo articolo di henri Tincq

http://www.slate.fr/story/les-bonnes-et-les-mauvaises-raisons-de-la-cur%C3%A9e-contre-le-pape

In particolare questa frase
"Mais le désaveu sans nuance et l'exécution sommaire sont des méthodes d'autant plus insupportables que la connaissance des dossiers est médiocre, l'information incomplète, partiale et biaisée, l'interprétation expéditive, la répétition des mêmes mots abusive. C'est le règne de la doxa - c'est-à-dire d'une opinion médiatique dominante contre laquelle, au nom du «politiquement correct», personne n'ose s'insurger - ; celui de l'amalgame qui, pour entretenir les fonds de commerce de la polémique, mélangent des affaires qui n'ont pas toujours à voir entre elles. A cet égard, le pape n'est pas plus épargné que le sont les personnalités politiques civiles ou que l'ont été ses propres prédécesseurs.".
L'articolo si può discutere, ma l'approccio è onesto.Mi ha fatto paicere.

mariateresa ha detto...

mi ha fatto piacere, ehm.