martedì 10 marzo 2009
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Per ricordare la giornata, la città ha voluto intitolare al suo «vescovo» un centro per il recupero della gioventù disagiata e dei ragazzi rom
«Ormai sono diventato un po’ romano»
Il Papa: contrastare l’afflievolimento degli ideali che hanno reso Roma modello di civiltà
DA ROMA
SALVATORE MAZZA
Roma e il suo vescovo. Che viene dalla Baviera, ma, dice, «vivendo a Roma da tantissimi anni, ormai sono diventato un po’ romano». Il vescovo e il sindaco, insieme su quel colle del Campidoglio che da quasi tre millenni è l’indiscusso Caput mundi. Affacciati insieme prima sulla storia di questa «singolare metropoli», e subito dopo sul suo presente, segnato dalla «crisi economica» e dalle «condizioni precarie» in cui sono costretti molti romani. Invocando per questo «uno sforzo concorde fra le diverse istituzioni, per venire incontro a quanti vivono nella povertà», e, insieme, confermando il desiderio di collaborazione da parte delle parrocchie e di tutte le strutture ecclesiali già impegnate a «sostenere quotidianamente tante famiglie che faticano a mantenere un dignitoso tenore di vita». E, anche, citando Ovidio: « Perfer et obdura: multa graviora tulisti, 'Sopporta e resisti: hai superato situazioni molto più difficili'».
Il clima di grande cordialità che ha scandito, ieri mattina, la visita di Benedetto XVI in Campidoglio, undici anni dopo Papa Wojtyla, non ha certo lasciato in secondo piano, in un momento così particolare, il significato di questa visita. Che il dono fatto dal Pontefice al sindaco e ai membri della giunta, una copia autografata del Compendio della dottrina sociale della Chiesa, ha in qualche modo voluto sottolineare, al di là delle parole dei discorsi ufficiali, peraltro consonanti nell’identificare le urgenze della capitale e, così, insieme contrastare «l’affievolimento degli ideali umani e spirituali che hanno reso Roma modello di civiltà per il mondo intero».
Salutato dagli squilli di cornetta della Guardia capitolina, vestita nei costumi disegnati da Michelangelo, Papa Ratzinger è arrivato in Campidoglio alle 10 e 50 circa, accompagnato dal cardinale vicario Agostino Vallini. Ad attenderlo ai piedi della scala di Sisto IV, sulla sinistra del Palazzo Senatorio, il sindaco Gianni Alemanno con la moglie Isabella, che ha introdotto l’ospite nell’antico edificio del Comune scortandolo fino al suo ufficio al quarto piano, situato nella Torre di Niccolò V. Benedetto XVI e Alemanno, da soli, si sono quindi affacciati dal piccolo balcone dell’ufficio del primo cittadino, che domina il Foro romano; a loro dopo qualche istante s’è unito il sovrintendente ai Beni Culturali di Roma, Umberto Broccoli, che ha illustrato al Pontefice la spettacolare vista.
Rientrati all’interno, il sindaco ha presentato al Papa la Giunta comunale e alcuni ospiti, tra i quali il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Gianni Letta, e il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Quindi il corteo s’è avviato verso la sala del Consiglio comunale, dove a dare il benvenuto all’ospite «con ammirazione, rispetto e riconoscenza » è stato il presidente del Consiglio, Marco Pomarici. È stato poi il momento dei discorsi ufficiali.
Aperti da un emozionatissimo Alemanno, a ribadire che «Roma è e vuole essere la città della vita, dell’accoglienza e della speranza: questo – ha aggiunto – abbiamo scritto nell’epigrafe che tra breve scopriremo per ricordare una eccezionale giornata come l’odierna». Città della vita, ha proseguito il sindaco, «per il rispetto che si deve ad ogni persona umana, alla sua identità spirituale e alla sua integrità fisica», e «per questo, è nostro intendimento, con sempre maggiore consapevolezza, prevenire e sconfiggere ogni forma di violenza che ferisce i nostri quartieri, che colpisce e umilia la dignità delle donne, che viola l’innocenza dei bambini, che emargina i disabili e le persone più deboli».
Terminati i discorsi ufficiali, Benedetto XVI s’è affacciato sulla loggia principale del Palazzo Senatorio, da dove ha rivolto il suo saluto ai romani prima di fare rientro in Vaticano.
Clima cordiale Pontefice e sindaco d’accordo sullo «sforzo concorde tra le diverse istituzioni per venire incontro a quanti vivono nella povertà»
© Copyright Avvenire, 10 marzo 2009
Il forte vento ha fatto volare la mozzetta del Pontefice. Anche piccoli rom degli insediamenti Casilino 900 e Tor di Quinto tra la folla
Festa tra fiori, striscioni e palloncini
DA ROMA GIOVANNI RUGGIERO
Di questa giornata storica, come l’ha chiamata il sindaco, chissà se si ricorderà anche il vento che ha spazzato le nuvole rendendo il cielo terso e a un certo punto ha fatto volare anche la mozzetta del Papa coprendogli il volto, quando si è affacciato dal balconcino della torre medievale che guarda sui Fori. Resterà fissa ad ogni modo, a ricordarla, la lapide in marmo su cui campeggia una conchiglia, simbolo di unità e della continuità che fregia anche lo stemma pontificio di Benedetto XVI. La potranno vedere tutti i romani, quelli che verranno, nell’austera aula Giulio Cesare da dove si governa Roma. Porta inciso con elegante carattere 'bodoni': «A Sua Santità, Benedetto XVI, i cittadini romani, nel giorno di Santa Francesca Romana, con l’impegno di fare Roma la capitale della vita e della solidarietà».
Una Roma un po’ infreddolita (pare che sulla piazza michelangiolesca del Campidoglio ci sia sempre un po’ più di vento), ha accolto il Papa al suo arrivo. La città, per il tempo della visita, è stata blindata con misure straordinarie. I romani che lo hanno salutato al suo arrivo puntuale, anzi qualche minuto in anticipo sul cerimoniale, hanno faticato non poco per superare ostacoli e barriere. Poi, però, hanno aspettato che si affacciasse dal balcone del Palazzo Senatorio che dà sulla piazza. Intorno a Marco Aurelio si è visto un giardino di fiori. Sono stati scelti quelli che richiamano i colori di Roma e del Vaticano: fiori rossi e gialli e poi altri gialli inframmezzati con i bianchi.
Molti striscioni danno il benvenuto al Papa, e ci sono anche sette palloncini bianchi a ondeggiare nel vento che saranno liberati quando Benedetto XVI, dopo la visita, parte alla volta del Convento di Santa Romana. Tra i romani ci sono anche aderenti a diverse associazioni. Ci sono quelli della Comunità di Sant’Egidio, delle Acli (e si scopre che sono tutti dipendenti comunali che fanno parte dell’Associazione), poi i volontari dell’Unitalsi che accompagnano alcuni malati. Uno potrà apparire enigmatico. Dice: «Casilino 900 saluta il Santo Padre ». Casilino 900 è la sigla di una sofferenza: quella del più grande insediamento Rom della Capitale. Sono infatti due bambini Rom a reggerlo mentre altri loro coetanei fanno festa e applaudono divertiti, quando i fedeli di Vitorchiano nelle pittoresche uniformi mandano al cielo gli squilli di tromba che salutano l’arrivo del Santo Padre.
E non sono i soli: accanto a loro ecco i ragazzi Rom di Tor di Quinto. Hanno anche una squadra di calcio e si fanno chiamare gli ' Ercolini', perché li ha aiutati in questa loro impresa, che nella borgata è straordinaria come un miracolo, don Giovanni D’Ercole. Li accompagna Salvatore Puddeu, quel ragazzo di Salerno che ha scelto di vivere in una baracca del campo per stare vicino ai questi bambini e aiutarli. Anche Roma vuole aiutarli. Il sindaco Gianni Alemanno si è dimostrato sensibile a questa emergenza e la giornata storica di ieri ha legato i Rom al Papa, con la decisione di dedicare il Centro del comune specializzato nella formazione e nel recupero dei giovani in difficoltà e dei ragazzi Rom a Benedetto XVI. Nella piazza non hanno atteso invano, mentre nel palazzo del Campidoglio si svolgeva la riunione del consiglio in forma solenne alla presenza del Pontefice. Il Papa, infatti, si è affacciato al balcone e gli è piaciuto dirsi romano. Civis romanus sum, ma lo ha detto con le sue parole: «Vivendo a Roma da tantissimi anni, ormai sono diventato un po’ romano; ma più romano mi sento come vescovo». Poi ha aggiunto, prima della benedizione: «Roma è bella per la generosità e la santità di tanti suoi figli» .
E così la gente a queste parole, quando i varchi sono stati aperti, è tornata verso casa inorgoglita.
© Copyright Avvenire, 10 marzo 2009
il monastero
Dalle Oblate di Santa Francesca Romana: siete un polmone spirituale della città
«Donne tutte di Dio e del prossimo»
DA ROMA
SALVATORE MAZZA
Un invito forte per continuare a essere «polmone spirituale» della comunità cittadina. Affinché «a tutto il fare, a tutto l’attivismo di una città non venga a mancare il respiro spirituale». Roma, infatti, «ancora oggi ha bisogno di donne «tutte di Dio e tutte del prossimo, capaci di raccoglimento e di servizio generoso e discreto». È la raccomandazione che Benedetto XVI ha affidato ieri mattina alle Oblate di Santa Francesca Romana, nella visita compiuta al loro monastero a Tor de’ Specchi subito dopo aver lasciato il Campidoglio, nel quarto centenario della canonizzazione della santa. Papa Ratzinger, accompagnato dal cardinale vicario Agostino Vallini e accolto dalla superiora, madre Maria Camilla Rea, e dal vescovo ausiliare del Centro, monsignor Ernesto Mandara, appena arrivato s’è voluto raccogliere per qualche minuto in preghiera sulla tomba della santa. Quindi, rivolgendosi alle Oblate, ha sottolineato come «il vostro monastero si trova nel cuore della città. Come non vedere in questo quasi il simbolo della necessità di riportare al centro della convivenza civile la dimensione spirituale, per dare senso pieno alle molteplici attività dell’essere umano? Proprio in questa prospettiva – ha proseguito il Pontefice – la vostra comunità, insieme con tutte le altre comunità di vita contemplativa, è chiamata ad essere una sorta di 'polmone' spirituale della società, perché...non venga a mancare il riferimento a Dio e al suo disegno di salvezza». Per Benedetto XVI «è questo il servizio che rendono in particolare i monasteri, luoghi di silenzio e di meditazione della Parola divina, luoghi dove ci si preoccupa di tenere sempre la terra aperta verso il cielo». E, nel mettere in evidenza la «peculiarità» del Monastero di Tor de’ Specchi, che «naturalmente riflette il carisma di santa Francesca Romana», Benedetto XVI ha osservato che «qui si vive un singolare equilibrio tra vita religiosa e vita laicale, tra vita nel mondo e fuori dal mondo... Un modello che non è nato sulla carta, ma nell’esperienza concreta di una giovane romana: scritto da Dio stesso nell’esistenza straordinaria di Francesca, nella sua storia di bambina, di adolescente, di giovanissima sposa e madre, di donna matura, conquistata da Gesù Cristo, come direbbe san Paolo. Non per nulla le pareti di questi ambienti sono decorate da immagini della vita di lei, a dimostrare che il vero edificio che Dio ama costruire è la vita dei santi». Anche ai nostri giorni, ha quindi concluso il Papa, «Roma ha bisogno di donne – e naturalmente anche di uomini, ma qui voglio sottolineare la dimensione femminile – donne, dicevo, tutte di Dio e tutte del prossimo: donne capaci di raccoglimento e di servizio generoso e discreto; donne che sanno obbedire ai pastori, ma anche sostenerli e stimolarli con i loro suggerimenti, maturati nel colloquio con Cristo e nell’esperienza diretta sul campo della carità, dell’assistenza ai malati, agli emarginati, ai minori in difficoltà».
Nel salutare il Papa, Madre Camilla Rea aveva sottolineato il «forte» legame della comunità alla Sede Apostolica secondo l’eredità lasciata da Santa Francesca – «la più romana tra tutti i santi», secondo la definizione di Paolo V Borghese – «che ci ha trasmesso l’affetto e la venerazione per il successore di Pietro». «Sin dai tempi antichi – ha detto la Superiora, rivelando una tradizione non di dominio pubblico – quando sua santità lascia la Città del Vaticano, noi usiamo esporre nella nostra cappella una reliquia di Santa Francesca e ciascuna offre preghiere fino al suo rientro nei Palazzi apostolici».
© Copyright Avvenire, 10 marzo 2009
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1 commento:
Cara Raffaella, ti segnalo il dossier di 'Fides' sul viaggio del Papa in Camerun e Angola
http://www.fides.org/aree/news/newsdet.php?idnews=29747&lan=ita
:-)
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